Guerra Made in China: le nuove armi di Pechino pronte a “invadere” il mercato
Dai cieli del Kashmir al Medio Oriente, il battesimo di fuoco dei caccia cinesi apre una nuova fase nella corsa agli armamenti. Così, dopo l'intelligenza artificiale DeepSeek, il Dragone si prepara a conquistare anche questo settore. Puntando in primis sui Brics e sugli alleati della Russia
Il primo test in battaglia, superato. Il conflitto di inizio maggio tra India e Pakistan non è stato solo, per le due potenze nucleari, il più sanguinoso degli ultimi decenni. Ma potrebbe anche aver rappresentato un momento di svolta nella corsa globale alle armi.
È l’ipotesi fatta da diversi esperti, chiamati a commentare le rivendicazioni dell’esercito pakistano. Durante il breve conflitto, scoppiato in risposta all’attacco terroristico nel Kashmir del 22 aprile, Islamabad ha dichiarato di aver abbattuto almeno cinque aerei da guerra indiani, di cui tre Rafale di produzione francese, usando missili cinesi lanciati da caccia cinesi. Un bilancio in parte smentito dal capo di stato maggiore indiano Anil Chauhan, che ha confermato la perdita di un numero imprecisato di aerei da combattimento.
Si è trattato della prima volta che gli aerei J-10C, e i relativi missili PL-15, sono stati usati in battaglia, offrendo una dimostrazione pratica delle capacità cinesi. Oltretutto contro un avversario, l’India, che si sta affidando sempre più ad aziende occidentali, dopo aver dipeso in passato dalle forniture russe.
Un possibile spartiacque per le aziende cinesi di armamenti, che negli ultimi anni hanno scalato le classifiche dei produttori mondiali, fino a raggiungere, e in alcuni casi superare, le dimensioni di colossi come Boeing e Airbus. Il tutto nel contesto di un aumento generalizzato della spesa militare a livello globale. L’anno scorso, secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la spesa mondiale in armi è aumentata del 9,4 per cento, il tasso più alto dalla fine della Guerra fredda, superando i 2.700 miliardi di dollari.
Ascesa mondiale
I principali esportatori sono ancora gli Stati Uniti, con una quota del 43 per cento, relativa al periodo tra il 2020 e il 2024. Più di sette volte il dato della Cina, che con il 5,9 per cento delle esportazioni totali si colloca al quarto posto a livello mondiale. Un divario che difficilmente sarà colmato in tempi brevi, anche se le differenze con gli altri due Paesi nel podio degli esportatori di armi sono ben più ridotte. Il più vicino è la Russia, che ha visto le sue esportazioni scendere dal 21 per cento nel periodo 2015-2019 al 7,8 per cento nei quattro anni dal 2020 al 2024. Un calo drastico che l’ha fatta scendere al terzo posto, alle spalle della Francia con il 9,6 per cento (mentre l’Italia è sesta con il 4,8 per cento). I margini di crescita, per Pechino, sembrerebbero esserci, considerando le dimensioni raggiunte negli ultimi anni dalle grandi aziende statali cinesi. Tra le prime dieci aziende di armamenti per ricavi, quattro sono ora cinesi, mentre fino a dieci anni fa non ne figurava nessuna tra le prime 100.
Quest’ascesa si è accompagnata a una crescita marcata delle capacità produttive in ambito militare: tra il 2021 e il 2024 Pechino ha raddoppiato la disponibilità di armi nucleari e più che raddoppiato quella di missili balistici e da crociera. Oltre ad avere il più grande esercito al mondo, negli ultimi anni la Cina è anche riuscita a diventare la prima potenza al mondo nella costruzione di navi.
Attualmente il grosso delle armi cinesi vendute all’estero finiscono a un unico cliente, proprio il Pakistan, che assorbe due terzi delle esportazioni. Il clamore delle dichiarazioni di Islamabad potrebbe quindi convincere nuovi potenziali acquirenti a contattare Pechino, anche tra i Paesi che hanno finora guardato ai produttori occidentali. O che acquistavano dalla Russia, che dopo l’invasione dell’Ucraina ha dovuto limitare drasticamente le esportazione di armamenti.
Effetto vetrina
Sembrano averlo pensato anche i mercati, che inizialmente hanno premiato il titolo dell’azienda dei caccia J-10C. Il lunedì successivo al cessate il fuoco tra India e Pakistan, le azioni di Avic Chengdu Aircraft hanno guadagnato il 20,6 per cento mentre il titolo della francese Dassault Aviation, che produce i Rafale, ha ceduto il 6,2 per cento. Pur avendo perso parte dei guadagni, le azioni della compagnia cinese non sono più scesi sotto ai livelli di inizio conflitto.
Ci vorrà tempo per sapere se a questo entusiasmo iniziale seguirà un aumento significativo delle esportazioni di armi cinesi. Ma c’è chi è già convinto che l’annuncio degli abbattimenti possa rappresentare un nuovo “momento Deepseek” per la Repubblica popolare.
Questo almeno è stato il tenore di molte reazioni sulle piattaforme social cinesi, a cui ha voluto dare risalto il South China Morning Post nei giorni del conflitto. Lo ha fatto evocando il caso che lo scorso gennaio ha sconvolto il mondo l’intelligenza artificiale, con l’irruzione di un modello sviluppato dalla cinese Deepseek a una frazione del costo dei concorrenti statunitensi, nonostante prestazioni paragonabili, e distribuito gratuitamente. Un precedente che molti esperti hanno interpretato come una minaccia per i modelli “chiusi”, come quello adottato da OpenAI, su cui la Silicon Valley ha investito miliardi di dollari. Con la possibilità che, dopo pannelli fotovoltaici, batterie e auto elettriche, la concorrenza cinese possa trasformare anche il business nascente dell’intelligenza artificiale.
Per quanto riguarda il conflitto il Scmp, quotidiano di Hong Kong, ha tenuto a specificare che la posizione di Pechino è rimasta «cauta». Una prudenza dettata in parte dalle possibili ricadute del conflitto tra il Pakistan, legato alla Cina da un’amicizia che Pechino definisce «ferrea», e l’India, con cui il governo spera di risolvere l’annosa disputa sui confini.
Alla ricerca di clienti
Anche per questo durante il conflitto i media ufficiali hanno evitato di dare conferme dirette sull’utilizzo in combattimento del caccia J-10C, limitandosi a decantarne le caratteristiche. L’emittente statale Cctv, ad esempio, ha pubblicato sul suo profilo Weibo un post promozionale sul missile PL-15, esaltando la «gittata di oltre 145 chilometri», la capacità di «ingaggio oltre il raggio visivo» e quella di operare «in tutte le condizioni atmosferiche».
Sui social invece le rivendicazioni pakistane hanno acceso gli entusiasmi di esperti e utenti comuni. C’è chi considera dei sistemi cinesi come una buona notizia dal punto di vista della deterrenza, in un contesto di tensioni crescenti nello Stretto di Taiwan oltre che con Giappone, Filippine e ovviamente Stati Uniti. Ma alcuni vedono anche un possibile vantaggio commerciale. «Questa è la migliore pubblicità per le armi cinesi», uno dei commenti riportati dal Scmp.
Sembra pensarla così l’analista Bilal Khan, secondo il quale la notizia degli abbattimenti, se confermata, contribuirà a promuovere le aziende cinesi anche presso le «potenze del Medio Oriente e del Nord Africa» che in genere non hanno accesso «alla tecnologia occidentale più all’avanguardia». La Cina è già il principale fornitore di armi in Africa occidentale, dove il 26 per cento delle importazioni totali proviene da aziende cinesi, ed è il secondo in assoluto in Africa, alle spalle della Russia. Ora Pechino, ha detto Khan a Cnn, potrebbe puntare con decisione su Paesi tradizionalmente legati a Mosca, come «Algeria, Egitto, Iraq e Sudan».
Il “caso” egiziano
Tra questi, uno dei Paesi che sembra aver già manifestato interesse per i J-10C usati dal Pakistan è l’Egitto. Spesso paragonato ai caccia statunitensi F-16V, proposti anche al Cairo per sostituire i vecchi F-16 acquistati negli anni ’80, il J-10C è una versione più avanzata del J-10 (noto anche come “Vigorous Dragon”), un caccia di quarta generazione monomotore multiruolo presentato per la prima volta 27 anni fa. Come il modello statunitense, anche il J-10C dispone della sofisticata tecnologia Aesa, o Active electronically scanned array, un radar a scansione elettronica in grado di tracciare un gran numero di obiettivi allo stesso tempo. Una tecnologia che, secondo il Financial Times, gli addetti ai lavori hanno monitorato attentamente durante gli scontri nei cieli di inizio maggio, valutando la sua capacità di individuare gli obiettivi e di guidare i missili.
Anche se la notizia della vendita dei J-10C è stata bollata come «falsa» da Pechino, non mancano segnali dell’interesse egiziano per i velivoli. Secondo indiscrezioni degli scorsi mesi, poi smentite, il Cairo avrebbe fatto il primo ordine per i J-10C ad agosto 2024 a cui sarebbe seguito, lo scorso febbraio, l’arrivo di un primo lotto. A dare la notizia era stato il Daily News Egypt, ricordando che il J-10C è dotato di missili aria-aria a lungo raggio, i PL-15, capaci di colpire bersagli fino a 300 chilometri: abbastanza per consentire di intercettare gli aerei nemici prima che entrino nello spazio aereo egiziano.
I due Paesi hanno anche tenuto la loro prima esercitazione aerea congiunta, durata ben 18 giorni. Conclusa il 5 maggio, due giorni prima dell’inizio del conflitto tra India e Pakistan, “Eagles of Civilisation 2025” ha visto anche la partecipazione dei J-10C, oltre al KJ-500, aereo con tecnologia avanzata di preallarme e controllo, l’elicottero Z-20 e l’aerocisterna YU-20, per il rifornimento in volo.
Per l’Egitto l’eventuale scelta di un caccia cinese rientrerebbe nella politica di diversificazione perseguita recentemente anche da altri Paesi della regione come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, alla ricerca di forniture a costo più contenuto e con meno vincoli. Ma anche di una possibile leva negoziale per ottenere dagli Stati Uniti maggiori garanzie sulla difesa. A beneficiare di questa tendenza, negli ultimi anni, erano state anche le aziende russe prima che l’invasione dell’Ucraina le costringesse a dare la priorità all'”operazione militare speciale”. Lasciando campo libero ad altri concorrenti come la Cina.
Uno dei Paesi che ha ridotto drasticamente le proprie importazioni dalla Russia è proprio l’Egitto, che in passato acquistava principalmente da Mosca. Uno dei primi dieci importatori mondiali di armi, negli ultimi anni i suoi principali fornitori sono diventati nell’ordine Germania, Italia e Francia. Ma il Cairo sta guardando anche a est come dimostra la recente adesione ai Brics. Il gruppo che inizialmente riuniva Brasile, Russia, India e Cina, con l’aggiunta poi del Sudafrica, si è allargato nel 2024 a Iran, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e, appunto, Egitto. Oltre a rafforzare i legami economici e diplomatici del Cairo con le potenze non occidentali, questa scelta potrebbe influenzare le future decisioni in materia di approvvigionamento. «La Cina è disposta a vendere equipaggiamenti bellici ad alta tecnologia a nazioni amiche senza condizioni politiche, e questo credo sia il motivo principale per cui è così attraente per il Medio Oriente», ha sottolineato Song Zhongping, analista militare, ed ex istruttore dell’Esercito popolare di liberazione, spesso citato dalla stampa nazionale.
I Paesi già in fila
L’interesse per i J-10C sembra essersi allargato anche ad altri nuovi membri del club delle economie emergenti. Come l’Indonesia, entrata nei Brics lo scorso gennaio, che sta guardando anche ai jet cinesi tra le diverse alternative per modernizzare le proprie forze aeree. In questo caso il recente utilizzo in battaglia è considerato un fattore di cui Giacarta sta tenendo conto. Lo ha dichiarato a Reuters il viceministro della Difesa della Difesa, Donny Ermawan Taufanto, specificando che il governo prenderà in considerazione gli annunci sui possibili abbattimenti dei jet indiani, anche se sta valutando l’acquisto dei J-10C da più di un anno, da prima quindi del conflitto tra India e Pakistan. Tra le altre opzioni, il governo indonesiano sta considerando un’offerta francese per l’acquisto di altri jet Rafale, oltre ai 42 acquistati nel 2022 al costo di 8,1 miliardi di dollari, 6 dei quali saranno consegnati nel 2026.
Per quanto riguarda i jet cinesi, si parla anche di un rinnovato interesse da parte dell’Iran, entrato nei Brics nel 2024. Dopo il conflitto di 12 giorni con Israele, l’Iran starebbe prendendo in considerazione sistemi cinesi per ricostruire le proprie difese aeree e rilanciare la propria aviazione. Per il momento Pechino ha smentito la notizia della consegna di batterie missilistiche HQ-9B dopo il cessate il fuoco del 24 giugno, specificando che il Paese «si oppone fermamente alla proliferazione delle armi di distruzione di massa» e «rafforza costantemente le sue capacità di controllo in materia di non proliferazione». Ma in Cina molti incoraggiano Teheran a rivolgersi alle aziende locali. «I Paesi in via di sviluppo dovrebbero riflettere sugli esiti nettamente diversi del conflitto tra India e Pakistan e del conflitto tra Iran e Israele, in particolare riguardo il coinvolgimento o meno di armi cinesi, e trarne le giuste lezioni per rivedere in maniera corrispondente le proprie strategie di difesa», ha dichiarato sui social Hu Xijin, ex direttore del Global Times, testata legata al Partito comunista cinese. Secondo Hu «forse l’Iran non sarebbe stato colpito così facilmente da Israele» se avesse avuto a disposizione «poche decine di caccia J-10» e «il sistema di difesa aerea missilistico Hongqi». O «per dirla in parole povere, se avesse avuto una difesa aerea paragonabile a quella del Pakistan».