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Essere gay nel mondo musulmano

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Le storie di due giornalisti. Esperienze e punti di vista sull’omosessualità nei Paesi musulmani

Mahmoud Hassino è un giornalista siriano gay. Ogni giorno da Antiochia, città turca nella quale si è trasferito nel 2011, dirige la prima rivista siriana per omosessuali. L’ha fondata lui: si chiama ‘Mawaleh. “Per ora la trovate solo online — spiega. È fatta grazie al contributo di alcuni volontari”. Cinque di loro scrivono dalla Siria, il sesto è dovuto fuggire perché la sua città è stata distrutta durante la guerra. “Ora è seduto qui accanto a me. È arrivato in Turchia di recente”, dice Mahmoud.

‘Mawaleh’ nasce con uno scopo: far crescere e diffondere la consapevolezza. Ma la creazione della rivista è solo il primo passo verso la realizzazione di un progetto più vasto. Mahmoud vuole infatti dar vita a un’associazione gay riconosciuta. A quel punto potrà contattare altre organizzazioni della società civile in Siria, per portare sul tavolo della politica il tema dell’omosessualità e dei diritti Lgbt. E forse avrà la possibilità di aiutare gli omosessuali che lo desiderano a fuggire dal Paese e di trovar loro un posto sicuro in cui vivere. “Ora come ora non abbiamo fondi per farli scappare, né tantomeno una struttura in cui accoglierli”. Ci vorrà ancora molto tempo per fare tutto, anche perché per ora la Siria è nel pantano di una guerra che sembra senza fine. E non si sa quale sarà il quadro politico interno a conflitto terminato.

L’articolo 520 del codice penale siriano del 1949 penalizza gli atti sessuali “contrari alla natura”, per i quali prevede almeno tre anni di carcere. “All’inizio della rivolta il regime ha condotto una campagna omofobica attraverso la televisione di Stato, accusando i rivoluzionari di essere gay, sodomiti e immorali”, rammenta Mahmoud. Ma il governo di Assad non è nuovo a raid nei luoghi frequentati da gay: l’ultimo avvenne tra il marzo e l’aprile del 2010, quando le autorità siriane fecero irruzione in oltre quattro feste omosessuali private, arrestando più di 25 uomini. “Non importa chi vincerà questa guerra: chiunque sarà, prenderà di mira gli omosessuali. Siamo un target facile — sostiene Mahmoud. Sono convinto che in Siria il secolarismo, alla fine, prevarrà ma, immediatamente dopo la fine della guerra, sarà pericoloso per i gay”.

Mahmoud non è certo il primo a interessarsi al tema dell’omosessualità nel mondo musulmano. Michael Luongo, giornalista e fotografo americano, ne ha scritto nel libro ‘Gay Travels in the Muslim World’. La pubblicazione, tradotta anche in arabo, è una raccolta di storie narrate da omosessuali musulmani e non: c’è il ragazzo ebreo trasferitosi in Mauritania, dove si gode il sesso con alcuni uomini del posto; c’è l’uomo del Bangladesh che, girovagando per le aree di battuage locali, scopre un mondo di prostituzione e stanze prese in affitto per meno di un dollaro all’ora e c’è lo stesso Luongo, stupito nell’apprendere che, perfino sotto i talebani, a Kandahar si celebravano matrimoni tra gay. “Penso che, per quanto riguarda il tema dell’omosessualità, una delle principali differenze tra Medio Oriente e Occidente sia che fare non significa essere –- spiega Michael. In Occidente avere un comportamento omosessuale equivale a esserlo, in Medio Oriente, invece, non è così”.

Michael scende più nel dettaglio e racconta di uomini che fanno sesso con altri uomini senza per questo essere identificati come gay. “In Occidente dobbiamo dare per forza un’etichetta alle cose, dobbiamo dichiararci. In Medio Oriente non è necessariamente così”, chiarisce. Inoltre, “il Medio Oriente è molto omosociale: gli uomini socializzano quasi esclusivamente con altri uomini. Perciò, è facile nascondere di essere gay. Tenersi per mano, ad esempio, è molto comune e non significa essere omosessuali”. Il problema, a suo avviso, nasce quando il comportamento diventa identità e quell’identità chiede un riconoscimento politico.

Michael conosce Mahmoud da qualche anno. I due si sono incontrati per la prima volta a Damasco nel 2010, durante il tour per la presentazione della versione araba del libro. “All’epoca dentro Damasco, esistevano alcuni bar in cui i gay potevano socializzare. – ricorda Luongo – Nel vecchio mercato di Aleppo, c’era inoltre un negozio di tappeti chiamato ‘Oscar Wilde’, un posto in cui i turisti gay potevano informarsi su quel che succedeva in zona. Non so cosa ne sia stato di quei luoghi ora”. Michael parla anche di un parco vicino al Four Season Hotel di Damasco. Qui gli omosessuali andavano in cerca di rapporti occasionali. Era frequentato anche da eterosessuali del posto, giovani coppie non sposate, che volevano passare il tempo senza sentirsi giudicate. “Periodicamente la polizia faceva raid nel parco e alle feste gay private. – dice Michael – Ma finché i gay hanno socializzato senza dare una connotazione politica ai loro incontri, si sono verificati pochi problemi. Nel momento in cui il regime ha iniziato a cadere, le aggressioni contro i gay sono aumentate”.

Quando si parla di omosessualità in Medio Oriente, ogni forma di generalizzazione è vietata. L’area è vasta e varia: “L’Arabia Saudita è molto diversa dal sensuale Libano, che penso sia il Paese più aperto della regione mediorientale. Questo avviene in parte per l’influenza francese, ma il Libano era una terra piuttosto tollerante sin dal tempo dei fenici”, aggiunge Michael. Comunque, una cosa è certa: in ogni Paese esistono luoghi d’incontro e associazioni gay. “In Libano la principale organizzazione omosessuale è Helem, l’Egitto ha il suo movimento gay e via dicendo”, spiega. A volte, nella stessa città, convivono pericolose cacce all’uomo e comportamenti che denotano una qualche apertura mentale. Una vero e proprio insieme di contraddizioni. “Ho trovato molto interessante Baghdad, dove ho visitato spazi sociali per gay in alcune zone e quartieri in cui si dava la caccia agli omosessuali in altre, tanto che circolavano liste con i loro nomi –- racconta il giornalista. Mi ha sorpreso che il libro sia stato messo in vendita perfino lì”.

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