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Home » Esteri

La Birmania usa mine antiuomo per impedire il rientro dei rohingya

Immagine di copertina

Amnesty International ha accusato l’esercito birmano di aver intenzionalmente collocato ordigni esplosivi lungo il confine con il Bangladesh per stroncare sul nascere il ritorno dei profughi musulmani in Myanmar

L’organizzazione umanitaria Amnesty International ha accusato l’esercito birmano di piazzare mine antiuomo al confine con il Bangladesh.

S&D

“L’esercito birmano ha intenzionalmente collocato mine antiuomo, vietate dal diritto internazionale, al confine con il Bangladesh”, si può leggere nel comunicato pubblicato da Amnesty.

Nell’ultima settimana questi ordigni hanno ucciso una persona e ne hanno ferite altre tre lungo il confine tra i due paesi asiatici, tra cui due minorenni, uno di 10 e un altro di 13 anni.

Fonti del governo del Bangladesh hanno denunciato il comportamento disumano dei militari birmani e il ministro degli Esteri bangladese Shahidul Haque ha confermato all’agenzia Reuters di aver protestato formalmente nei confronti della Birmania per aver destabilizzato la frontiera tra i due paesi.

Le autorità birmane hanno negato sia le accuse di Amnesty che quelle del governo di Dacca. Fonti dell’esercito di Naypyidaw, capitale della Birmania, hanno infatti affermato che le mine ancora presenti sul territorio risalirebbero agli anni Novanta, mentre il governo centrale non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali al riguardo.

Il dramma delle mine antiuomo al confine con il Bangladesh dura ormai da decenni: dal 1999 a oggi, più di tremila persone sono rimaste uccise da questo tipo di esplosioni.

Amnesty, però, sostiene, di essere in possesso di prove sufficienti che testimoniano la presenza, anche in questi ultimi mesi, di mine antiuomo lungo il confine.

“Abbiamo raggiunto un nuovo picco nell’orribile situazione in atto nello stato di Rakhine. Il ricorso spietato ad armi indiscriminate lungo i percorsi di confine estremamente affollati sta mettendo in grave rischio la vita dei civili in fuga”, ha dichiarato Tirana Hassan di Amnesty International, che si trova attualmente nei pressi del confine tra Bangladesh e Birmania.

“L’esercito birmano è uno dei pochi al mondo, insieme a quelli della Corea del Nord e della Siria, a usare ancora mine terrestri antiuomo. Le sue autorità devono porre immediatamente fine all’uso di questi ordigni”.

Alcune delle mine sono state trovate nei pressi di Taung Pyo Let Wal (località anche nota col nome di Tumbro), al confine tra lo stato birmano di Rakhine e il Bangladesh, dove transitano sia coloro che entrano in Bangladesh sia quelli che tornano in Birmania per dare una mano a chi è rimasto indietro.

“Le autorità del Myanmar devono smettere di negare cosa sta accadendo. Tutte le prove a nostra disposizione portano alla conclusione che le forze di sicurezza stanno collocando mine terrestri lungo la frontiera, che non solo sono illegali ma che hanno anche già provocato danni ai civili“, ha ribadito Amnesty.

“Ciò che si sta rivelando di fronte ai nostri occhi può essere descritto come pulizia etnica: i rohingya sono presi di mira per la loro etnia e religione. Detto in termini giuridici, si tratta di crimini contro l’umanità, tra cui omicidio e deportazione o trasferimento forzato di popolazione”, ha concluso Hassan di Amnesty.

La situazione oggi in Birmania

Nel frattempo, in queste ultime ore, i ribelli dell’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa)formazione paramilitare vicina alla comunità rohingya, hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale di un mese nei combattimenti contro l’esercito birmano al fine di consentire l’intervento della comunità internazionale nella crisi umanitaria dello stato birmano di Rakhine, in Myanmar.

L’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa) ha annunciato che l’inizio della tregua avverrà domenica 10 settembre 2017 e ha invitato l’esercito birmano a deporre le armi per consentire l’assistenza a coloro che stanno fuggendo dalla Birmania per raggiungere il Bangladesh.

L’esodo dei rohingya è iniziato il 25 agosto scorso, quando sono riprese le violenze tra le forze di sicurezza birmane e alcuni miliziani del gruppo paramilitare, che hanno causato centinaia di morti nello stato di Rakhine.

Secondo le Nazioni Unite, quasi 300mila rohingya hanno già attraversato il confine tra Birmania e Bangladesh, e si trovano ora in una situazione di emergenza.

L’Onu ha già stanziato otto milioni di dollari per far fronte alla crisi, ma questi fondi non sono sufficienti. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) sostiene infatti che per l’assistenza ai profughi siano necessari almeno altri 77 milioni di dollari.

“C’è un disperato bisogno di cibo, acqua e servizi sanitari per i nuovi rifugiati giunti ​​a Cox’s Bazaar”, si può leggere nel rapporto stilato dall’Ufficio delle Nazioni Unite in Bangladesh.

Secondo gli sfollati appartenenti alla minoranza dei rohingya, gli uomini dell’esercito birmano stanno obbligando questa popolazione a fuggire dal paese, attuando una campagna di incendi e uccisioni.

Le forze di sicurezza del paese asiatico accusano invece i ribelli dell’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa) di aver bruciato diversi villaggi e di aver ucciso civili nello stato di Rakhine.

Le Nazioni Unite hanno più volte accusato il governo birmano di aver commesso crimini contro l’umanità contro la minoranza musulmana. Accuse che, tuttavia, sono sempre state respinte al mittente. Il governo birmano sostiene infatti di combattere una guerra contro quelli che definisce i “terroristi” rohingya.

L’esodo dei rohingya

Le discriminazioni contro i rohingya in Birmania vanno avanti ormai da diverso tempo: fin dagli inizi degli anni Novanta decine di migliaia di persone sono scappate dai militari e dai nazionalisti buddisti al potere nel paese, rifugiandosi nel confinante Bangladesh, paese a maggioranza musulmana, e in alcuni casi attraversando il confine con l’India, paese a maggioranza indù.

Oggi in Bangladesh vivono almeno 400mila rohingya. La presenza di questa comunità rappresenta una fonte di tensione tra le due nazioni asiatiche perché sia il governo di Dacca sia quello di Naypyidaw li considerano cittadini stranieri.

A questa comunità il governo birmano nega la cittadinanza. Nonostante le loro radici nella regione risalgano a diversi secoli fa, i rohingya sono ancora considerati dai cittadini birmani come immigrati clandestini provenienti dal vicino Bangladesh.

Se però, come affermano le Nazioni Unite, sono quasi 300mila i rohingya giunti nel paese asiatico nelle ultime settimane, questa nazione, una delle più povere della regione, non può da sola far fronte all’emergenza in corso.

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