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Elezioni Israele 2020, risultati: Netanyahu verso la vittoria

Alle urne per eleggere la Knesset, nonostante l'emergenza Coronavirus

 

Elezioni Israele 2020 risultati: chi ha vinto, partito per partito

Chi ha vinto le elezioni 2020 in Israele e quali sono stati i risultati partito per partito?  È la terza volta alle urne in meno di un anno che Israele torna al voto per scegliere il governo (qui tutte le liste candidate) e, secondo i primi exit poll, il Likud del premier israeliano Benjamin Netanyahu sarebbe in testa rispetto allo sfidante Benny Gantz di Blu e Bianco. Lo riferisce Haaretz. Anche l’emittente Kan riporta di un vantaggio del premier su l’ex capo di Stato maggiore, con 36 seggi a 29. Per governare, l’ex premier avrebbe bisogno di almeno 61 seggi, una cifra che, secondo i primi dati, avrebbe ampiamente superato ottenendo, insieme agli alleati di destra, tra i 64 e i 66 seggi.

Elezioni Israele 2020: chi ha vinto

Le previsioni degli exit poll sono confermate anche dall’arrivo dei primi dati reali. Quando sono state scrutinate il 34 per cento delle schede, infatti, il Likud di Benjamin Netanyahu è in testa con 36 seggi. Il partito di Benny Gantz, Blu e Bianco, invece, è secondo con 29 seggi. Terza posizione per la Lista unita, che ottiene 12 seggi, mentre gli ultraortodossi di Utj ottengono 11 seggi così come la destra religiosa di Shas. L’estrema destra di Yamina ottiene 8 seggi, mentre la sinistra Labor/Meretz si assesta a quota 7 seggi. Un seggio in meno, 6, per Yisrael Beiteinu.

Elezioni Israele 2020: i risultati in breve

  • Likud (36 seggi)
  • Blu e Bianco (29 seggi)
  • Lista unita (12 seggi)
  • UTJ  (11 seggi)
  • Shas (11 seggi)
  • Yamina (8 seggi)
  • Labor/Meretz (7 seggi)
  • Yisrael Beiteinu (6 seggi)

Il Coronavirus non pesa sull’affluenza, anzi

L’affluenza è stata da record: alle 22 aveva votato il 71 per cento degli elettori, quasi tre punti in più di settembre. È il dato più alto dal 1999, che da molti osservatori però non viene interpretato come un elemento a favore di una o dell’altra forza politica. Si temeva che i timori legati al coronavirus e la stanchezza degli elettori avrebbero pesato sull’affluenza. Invece gli israeliani hanno votato in massa, forse nella speranza di superare il lungo stallo politico che blocca la formazione di un nuovo governo. In totale alle elezioni di aprile ha votato il 67,9 per cento e a settembre il 69,4 per cento.

Elezioni Israele risultati, l’ago della bilancia

A essere ancora una volta ago della bilancia è Avigdor Lieberman che con i suoi 7/8 seggi è il king maker con cui fare i conti a destra e al centro. Tra gli “esordienti”, da segnalare “La Voce delle donne”, partito tutto al femminile che ha detto di non scegliere né destra né centro mentre i sondaggi assegnano un successo alle Lista Araba unita che avrebbe 14 seggi. Nessuna delle due coalizioni tuttavia – a meno di colpi di scena dell’ultim’ora – ha i 61 seggi su 120 alla Knesset per raggiungere la maggioranza necessaria per governare.

Per di più in un quadro politico prossimo molto complicato, segnato non solo dall’avvio, il 17 marzo prossimo, del processo per corruzione, frode e abuso di potere a carico del premier ma anche dalla sua intenzione, in base al Piano Trump, di annettere rapidamente la parte palestinese della Valle del Giordano e gli insediamenti ebraici in Cisgiordania.

Le precedenti elezioni

Trecentoventinove giorni separano il giorno delle elezioni del 9 aprile 2019 – un’epoca innocente, quando gli israeliani non sapevano ancora che le loro leggi avrebbero permesso uno stallo politico lungo un anno – dal giorno delle elezioni di questo lunedì 2 marzo 2020. Trecentoventinove giorni di estenuante impasse politica, come riporta anche The Times of Israel.

Nelle scorse settimane, e specialmente negli ultimi giorni prima del voto di lunedì, è apparso chiaro che la situazione di stallo, da intoppo aritmetico, si è trasformata nella realtà fondamentale dell’attuale congiuntura politica israeliana: ha plasmato la campagna e la psicologia dei due candidati principali e ha alimentato nuovi livelli di animosità nelle loro strategie elettorali.

Lo scorso aprile, un Likud a 35 seggi aveva dovuto prendere atto che anche il suo novello avversario poteva ottenere 35 seggi. E aveva anche scoperto, nell’ultimo giorno di trattative per la coalizione e troppo tardi per poter rimediare, che l’antico alleato Avigdor Liberman del partito Israel Beytenu non era più un socio su cui la destra tradizionale potesse contare.

A settembre, Blu-Bianco perse due seggi, ma il Likud ne perse tre. Il calo di Blu-Bianco non era stato causato da un calo di elettori (in realtà aveva ottenuto 25.000 voti in più rispetto ad aprile), quanto piuttosto dalla complicata matematica del quorum, la soglia minima per entrare alla Kneset. Diverse formazioni della destra nazional-religiosa si erano unite al partito Yamina evitando così di ripetere la dispersione di voti, per un totale di circa tre seggi, che si era avuta quando la Nuova Destra non era riuscita a superare la soglia elettorale del 3,25 per cento.

Nel frattempo il partito Kulanu, che ad aprile aveva ottenuto quattro seggi, era confluito nel Likud ma non era riuscito a portare con sé i suoi elettori, che si sono dimostrati più propensi a votare Blu-Bianco. Ma l’apporto degli elettori delusi di Kulanu al partito centrista di Gantz è stato controbilanciato dalla perdita di decine di migliaia di sostenitori di lingua russa passati a Israel Beytenu, molti dei quali attratti dalla nuova veemenza laicista di Liberman: quella stessa veemenza laicista che aveva reso inevitabili le elezioni di settembre e che hanno fatto passare la formazione di Liberman dai cinque seggi si aprile agli otto di settembre.

Quindi, se è vero che alcuni seggi si sono spostati e che alcuni elettori hanno riconsiderato le proprie scelte, ciò che sorprende di più nelle due tornate elettorali del 2019 è stata la sostanziale fedeltà dimostrata dalla stragrande maggioranza degli elettori.

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