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Costretti a scegliere troppo presto

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Parte della crescita di una persona sta nell'accettare tutte quelle cose che non sarai mai, ma che forse saresti potuto essere

Rimpianti. Quando si parla di istruzione, tutti quanti ne abbiamo qualcuno. C’è chi vorrebbe aver studiato di più e scherzato di meno, chi avrebbe voluto passare quell’esame e – questa è la categoria che mi trovo davanti più spesso – chi avrebbe preferito non limitare le proprie opzioni sin da giovane, impostando la propria vita su un percorso accademico troppo specifico, dal quale è quasi impossibile deviare.

S&D

Il ministro dell’Istruzione britannico, Nicky Morgan, pensa che questo sia un fattore di rilievo nel tentativo di spronare i giovani a mantenere aperte più porte possibile, ha consigliato a tutti gli studenti di cimentarsi in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, ovvero le materie che statisticamente garantiscono maggiori probabilità di trovare lavoro.

Gli studenti che sono incerti riguardo a quelle che potrebbero essere le loro carriere future (e chi non lo è a 16 anni?) pensano erroneamente che le materie umanistiche possano tornare utili in una vasta gamma di lavori. Questa nozione, secondo Morgan “è quanto di più lontano dalla realtà ci possa essere. Le materie che mantengono vive le opzioni dei giovani e che aprono le porte di molti tipi di carriere sono: scienze, tecnologia, ingegneria e matematica”.

Morgan fa intuire che gli studi artistici difficilmente contribuiscono a far trovare un “buon” lavoro. Per questa ragione, in un sistema di istruzione sempre più costoso, una scelta del genere potrebbe rivelarsi una perdita di tempo. Io sono d’accordo. Perchè spendere migliaia e migliaia di sterline per un titolo di studio se non garantisce un impiego? Molti studenti universitari non possono più permettersi il lusso di passare tre anni della loro vita a leggere, pensare e interrogarsi per il puro gusto di farlo.

La maniera in cui percepiamo l’istruzione nel Regno Unito è cambiata. E se da un lato questa considerazione mi rende triste, dall’altro la mia provenienza da un background economico modesto mi ha reso una persona pragmatica. È per questo che ho cominciato a studiare giurisprudenza a 19 anni: volevo seguire i soldi.

È un fatto ben risaputo che il sistema scolastico britannico, rispetto a quello di altri Paesi, costringa i ragazzi a prendere decisioni drastiche all’età di 16 anni. Sono d’accordo con Morgan quando afferma che i giovani, e in particolar modo le ragazze adolescenti, debbano essere incoraggiati a non escludere certi studi. Il modo in cui l’ambizione personale viene minimizzata è terribile, specialmente quando si tratta di ragazze e di scienze.

Spesso le giovani donne sono limitate nelle loro scelte dagli stereotipi di genere, il tutto mentre vengono spinte a studiare “materie da donne”. Una mia ex compagna di scuola una volta disse che voleva studiare psicologia clinica e per tutta risposta le venne detto che sarebbe stato meglio per lei diventare una maestra elementare.

È anche una questione di autostima. Ripensando agli anni passati sui banchi di scuola, c’è chi si accorge di essere sempre stato molto bravo in chimica, ma di non essersene mai accorto, forse perchè nessuno gliel’aveva mai fatto notare.

In realtà, si tratta di un problema senza via d’uscita. Rinunciare alle materie umanistiche e scegliere quelle scientifiche a 16 anni significa comunque limitare le proprie opzioni. Non necessariamente per ciò che concerne la possibilità di trovare un lavoro – sebbene si tratti di un fattore importante – ma piuttost per quel che riguarda la possibilità di crescere intellettualmente sotto tutti i punti di vista e diventare un individuo felice.

Il nostro sistema scolastico funziona così. Essenzialmente, è un sistema di omissioni. Si abbandonano le materie che in quel momento sembrano meno utili o entusiasmanti, e più tardi si ha tempo in abbondanza per pentirsi delle proprie scelte. Un amico che ha abbandonato gli studi medici, per esempio, 10 anni dopo ancora rimpiange di non aver studiato letteratura inglese.

Conosco moltissime persone che pensano di aver fatto scelte accademiche sbagliate. Durante il mio primo anno di studi nella facoltà di giurisprudenza, era piuttosto comune che uno studente cambiasse indirizzo di studi, o che decidesse di abbandonare l’università del tutto, per poi iniziare un altro corso qualche anno più tardi.

I dati aggiornati a luglio 2014 mostrano come la percentuale di studenti che rimane iscritta all’università dopo il primo anno di studi è più alta che mai, mentre la cifra relativa a quelli che si trasferiscono da un ateneo all’altro è diminuita. Spero che questi numeri siano causati dal fatto che gli studenti di oggi ragionano in maniera più attenta quando si tratta di prendere una decisione riguardo alle diverse opzioni accademiche, ma temo che anche la pressione causata da rette sempre più costose possa aver influito: “Sto pagando caro per questo servizio, quindi è meglio che io continui a studiare, indipendentemente da quanto mi rende infelice”.

Parte della crescita di una persona sta nell’accettare tutte quelle cose che non sarai mai, ma che forse saresti potuto essere in un’altra vita. Il mio rimpianto segreto è quello di non essermi iscritta a una scuola d’arte. Il fatto che io abbia abbandonato gli studi di giurisprudenza non ha sorpreso nessuno.

Vorrei che, come nel sistema scolastico francese, i bambini non dovessero più decidere prima ancora di essersi specializzati, che non venissero spinti a iscriversi all’università a meno che non fosse la scelta giusta per loro, e che ricevessero il dovuto incoraggiamento a esplorare i loro interessi, a imparare un mestiere o anche ad aspettare qualche anno prima di fare domanda come studente adulto.

Io mi sono goduta la mia laurea “inutile” in italiano e storia dell’arte, che credo sia stata tanto preziosa e affascinante quanto una in un qualsiasi campo scientifico o matematico. Ma ci ho messo un po’ più di tempo per capirlo, per non parlare del debito ancora più grande che ho accumulato.

Avendo fatto da mentore ad aspiranti giornalisti attraverso la Social Mobility Foundation, mi intristisce vedere un’intera generazione in preda all’agonia della scelta delle materie scolastiche. Vorrei dire loro che il mondo è grande, che sono giovani e soprattutto che avranno il tempo di scoprire quali sono le loro passioni. Ma in realtà il tempo non c’è. E per un sistema d’istruzione moderno, questo è un fallimento.

Rhiannon Lucy Cosslett è una giornalista freelance che collabora con il Guardian. Il suo articolo è stato pubblicato qui.

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