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    Coronavirus: secondo un team di ricercatori una mutazione lo ha reso più contagioso

    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 3 Lug. 2020 alle 19:44 Aggiornato il 3 Lug. 2020 alle 20:01

    Coronavirus: una mutazione lo ha reso più contagioso

    Il Coronavirus ha subito una mutazione che lo ha reso più contagioso: è quanto sostiene uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori, pubblicato sulla rivista Cell e legato a un precedente lavoro, risalente all’inizio dell’anno, in cui, sulla base delle informazioni relative alle sequenze genetiche, si avvertiva della diffusione di una mutazione del virus. Secondo gli scienziati che hanno lavorato alla ricerca, dunque, il ceppo di Covid-19 che dall’Europa si è diffuso all’America, e che ora rappresenta il ceppo dominante in tutto il mondo, sarebbe diverso da quello apparso a Wuhan, in Cina, dove è iniziata l’epidemia.

    I ricercatori, secondo quanto raccontato dalla Cnn, rispetto al precedente studio risalente all’inizio dell’anno, hanno esaminato non solo più sequenze genetiche, ma anche fatto esperimenti su esseri umani, animali e cellule in laboratorio, che dimostrano come la nuova versione del virus, battezzata con la sigla G614, sia più comune e in grado di infettare maggiormente rispetto alla precedente, chiamata D614. La mutazione riguarda la proteina “Spike”, la struttura che il virus usa per entrare nelle cellule umane e infettarle. La versione G, secondo quanto dichiarato da David Montefiore della Duke University, risulta dalle tre alle nove volte più contagiosa di quella D. La mutazione fortunatamente non sembra aver influito sull’aggressività della malattia.

    “I dati dimostrano che esiste una mutazione che rende effettivamente il virus in grado di replicarsi meglio e forse avere elevate cariche virali” ha commentato l’immunologo Anthony Fauci, il più importante esperto di malattie infettive degli Stati Uniti. “Sembra che il virus si replichi meglio e possa essere più trasmissibile” ha aggiunto lo scienziato. I ricercatori che hanno realizzato lo studio hanno comunque ammesso che serve un ulteriore lavoro per dare più solidità alle loro scoperte e vedere cosa comporta la mutazione sia a livello epidemiologico che del paziente singolo, anche perché potrebbero esserci “potenziali conseguenze per i vaccini”.

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