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Home » Esteri

Come vogliamo sconfiggere Assad

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Ecco come l'opposizione siriana si riorganizza per sconfiggere militarmente il regime

Secondo un membro di rilievo della Coalizione Nazionale Siriana (Cns), l’opposizione ha intenzione di creare entro il prossimo mese un comitato esecutivo basato direttamente in Siria.

Il comitato, composto da 10 membri, avrà lo scopo di garantire il coordinamento delle azioni militari e il flusso di armi per le forze ribelli, nel tentativo di cambiare l’equilibrio militare sul campo che, dopo l’intervento di Hezbollah in giugno, si è spostato in favore delle forze del presidente Al-Assad.

Michel Kilo, dissidente marxista a capo dell’ala secolare del Cns, ha rilasciato un’intervista lunedì a Reuters confermando che i 10 nomi eletti dall’assemblea verranno dispiegati nelle aree sotto controllo dei ribelli. Compito fondamentale del nuovo organo sarà quello di unificare le diverse brigate ‘moderate’ che ancora di fatto agiscono indipendenti — nonostante l’autorità formale del Generale Selim Idriss e dell’Esercito Siriano Libero.

Inoltre esso dovrà coordinare l’arrivo di nuovi armamenti promessi dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita per favorire quei battaglioni che lottano a favore di un regime democratico in Siria, in barba alla crescente espansione di gruppi qaidisti come Jabhat Al-Nusra che promuovono un Califfato Islamico.

Dal punto di vista amministrativo esso fungerà da vero e proprio apparato burocratico ‘alterno’ a quello della Siria affiancato da una commissione incaricata di far ripartire l’economia nelle aree ribelli.

La decisione arriva in seguito a una svolta importante sul versante politico. In questo mese il Cns ha eletto un nuovo presidente, Ahmed Al-Jarba, un attivista politico dalla provincia di Hasakah, nel nordest della Siria, con forti origini tribali e che gode della sponsorizzazione dell’Arabia Saudita. Entrambi rappresentano un grande vantaggio per le forze ‘liberali’.

Da una parte la sua elezione ha permesso a Riyadh di prendere il controllo di quella che è la principale opposizione in esilio, di fatto ridisegnando la politica del Cns che è stata fino a oggi totalizzata dal Qatar e i ‘suoi’ Fratelli Musulmani. L’Arabia Saudita, invece, mira a indebolire questi ultimi per ragioni domestiche, prediligendo una paradossale alleanza con il blocco secolare guidato dal cristiano Michel Kilo. Questo cambio di leadership, spera l’opposizione, si tradurrà in un più marcato aiuto militare per i ribelli moderati presenti in tutta la parte ovest della Siria.

L’altro vantaggio è sulla dimensione ‘tribale’ del conflitto siriano. L’est del paese è in mano alle brigate salafite-jihadiste, condizione che di fatto distrugge ogni tentativo di formare un fronte monolitico sotto il comando dell’Esl nell’area. L’appartenenza di Al-Jarba alla potentissima famiglia degli Shammar dovrebbe invece sia facilitare il flusso di armi, ma ancor di più ‘forzare’ i comandanti sul campo a eseguire degli ordini in maniera coordinata, facendo leva sulle affinità tribali e l’autorità che il suo cognome suscita.

La nomina di Salem Al-Maslat a vice di Al-Jarba è giocata sulla stessa logica dal tandem Arabia Saudita – Kilo. Quest’ultimo è parte di un clan ben radicato nella regione di Al-Jazira, l’area che partendo dal Nord a Raqqa si estende a Sud al confine con l’Iraq, includendo i ricchi giacimenti petroliferi nella provincia di Deir Ez-Zor. Con queste nomine l’opposizione sta cercando di includere personalità locali di rilievo in grado di supportare la riorganizzazione dei ribelli nell’est del paese.

Il petrolio si sta rivelando un elemento capace di cambiare le regole del gioco nello scacchiere siriano. Secondo il network Al-Jazeera i pozzi di estrazione presenti a Deir Ez-Zor sono per lo più controllati dalle milizie salafite, le quali possono permettersi di comprare armi commerciando il greggio con i leader tribali locali. “La decisione degli Stati Uniti di armare i ribelli è per far si che l’Esl si impossessi del petrolio per indebolire Al-Nusra […] chi lo controlla può comprarsi la fedeltà delle grandi famiglie tribali” – dice Joshua Landis, uno tra i più autorevoli analisti del conflitto siriano.

Questa fedeltà significherebbe tagliare gli approvvigionamenti degli islamisti proprio ora che gruppi di talebani pakistani si sono uniti alla loro jihad in Siria, e che l’uccisione questo mese dell’ufficiale dell’Esl Kamal Hamadi da parte di milizie qaidiste ha ufficializzato un nuovo conflitto interno con le brigate liberal-moderate.

Il frettoloso piano di riorganizzazione intrapreso questo mese dal Cns va interpretato come un disperato tentativo di cambiare l’equilibrio militare sul campo in vista della conferenza di Ginevra. Durante il meeting, che dovrebbe partire a fine agosto, Stati Uniti e Russia dovranno fare da intermediari per negoziare se e quale ruolo avrà la figura di Bashar Al-Assad in un governo di transizione, con l’obbiettivo di porre fine a oltre due anni di conflitto che ha causato la morte di circa 100.000 persone.

Ma con la recente ri-conquista di Al-Qusayr e gran parte di Homs da parte del regime, sarà improbabile vedere Al-Assad fare concessioni, in quanto l’opposizione allo stato attuale non è all’altezza di rappresentare una vera minaccia per il presidente.

Nel frattempo il Cns ha fatto sapere che se le armi promesse da Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita non arriveranno, essa non parteciperà ai negoziati. Nonostante la diffusa enfasi sulla soluzione politica, il destino della Siria sembra ancora rimesso alla forza militare.

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