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Home » Esteri

Da dove vengono, come viaggiano e chi rifornisce di armi Israele?

Immagine di copertina
Credit: AGF

Ecco tutto quello che non sapete sugli accordi tra le aziende europee, l’Italia e il governo israeliano. E come e perché questo sodalizio sia duro a morire

Hanno dichiarato “guerra alla guerra”, in memoria del discorso pacifista che l’anarchico Pietro Gori pronunciò a Genova il 18 ottobre 1903, e alcuni anni fa si schierarono per fermare i cargo sauditi nella loro rotta per il carico di armi da utilizzare nella guerra in Yemen: sono i portuali di Genova che con il loro coraggio hanno provato a interrompere la catena di morte causata dal commercio di armamenti. Oggi quelle stesse persone fanno rete con i portuali di altre città europee e portano avanti questa battaglia di civiltà. 

Rotte marittime
A inizio giugno, le testate francese Disclose e irlandese The Ditch rivelavano che una nave cargo israeliana, della compagnia Zim, sarebbe approdata nel porto francese di Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia, per imbarcare «in segreto 14 tonnellate di pezzi di ricambio per fucili mitragliatori» destinati all’esercito israeliano. Secondo Disclose, il cargo israeliano «Contship Era» avrebbe dovuto caricare il materiale bellico fabbricato dalla società francese Eurolinks a destinazione dell’azienda di armamenti Israel Military Industries, una filiale di Elbit Systems, «una delle principali industrie israeliane del settore delle armi» che, scriveva la testata francese, «fornisce munizioni di piccolo e grosso calibro all’esercito israeliano».

Dopo l’operazione di carico a Marsiglia, la nave israeliana sarebbe poi salpata verso sud, facendo scalo a Genova e Salerno, prima di approdare a Haifa, nel nord d’Israele. Ma a Marsiglia i portuali francesi sono riusciti a boicottare la nave che è poi ripartita senza carico verso Genova. I portuali della Cgt di Marsiglia (la Cgil francese) avevano annunciato che per il giorno previsto dell’attracco non avrebbero caricato nel porto di Fos-sur-Mer un container con 19 pancali con componenti per mitragliatori prodotte dalla Eurolinks. E così è stato: la nave è ripartita vuota verso Genova, dove il Calp (il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) attendeva l’imbarcazione per verificare che anche nel porto ligure non avvenisse alcun carico merci.

«Ci siamo immediatamente coordinati per organizzare un presidio», spiega l’Usb mare e porti che conta componenti del Calp. «Ribadiamo con forza che non vogliamo essere complici del genocidio che continua a Gaza e che ci opponiamo fermamente a tutte le guerre. Tutta la nostra solidarietà va a chi si mobilita contro la guerra e a chi subisce le guerre perpetrate dai nostri governi». Il Calp, sui suoi canali social, aggiunge: «Ci siamo accorti che ultimamente la percezione del genocidio in Palestina sta diventando un tema comune per moltissime forze politiche. Chiediamo che questa nuova giunta prenda posizione chiara sui traffici di armi in porto. In ogni caso come collettivo faremo di tutto per contrastare le operazioni commerciali».

Come racconta José Nivoi, portavoce del Calp di Genova a TPI: «Stiamo facendo un percorso con tanti colleghi, francesi, greci, marocchini, turchi e in parte anche tedeschi. Il primo incontro l’abbiamo avuto a Bruxelles nel 2022. Da lì si è cominciato a ragionare sul fatto di bloccare le armi nei porti e piano piano siamo arrivati a questa riunione dello scorso 28 febbraio ad Atene, dove erano presenti soprattutto le realtà che si stanno mobilitando in questo momento, quindi italiane, turche, greche, marocchine, francesi, con l’obiettivo di dare solidarietà al popolo palestinese e di contrastare quello che è il traffico di armi in generale».

Traffico di armi che nel 2025 ha ripreso vigore: come riporta Disclose, la spedizione di materiale militare sull’asse Marsiglia-Israele sarebbe stata la terza nel suo genere dall’inizio dell’anno. La prima è avvenuta il 3 aprile scorso, la seconda il 22 maggio. Entrambe le spedizioni contenevano decine di tonnellate ciascuna di materiale per fucili mitragliatori, tra i quali una serie di pezzi di ricambio «compatibili con il Negev 5», un fucile «utilizzato a Gaza dall’esercito israeliano durante il ‘massacro della farina’», scriveva Disclose, in riferimento all’uccisione di un centinaio di civili palestinesi durante una distribuzione di aiuti alimentari avvenuta il 29 febbraio.

Secondo la testata francese, il cargo israeliano «Contship Era» avrebbe dovuto caricare il materiale bellico fabbricato dalla società Eurolinks destinato alle Israel Military Industries, una filiale di Elbit Systems. Come conferma Nivoi a TPI, si trattava di un carico di 14 tonnellate di pezzi di ricambio per fucili mitragliatori prodotti dall’azienda marsigliese per la controparte israeliana e poi altri due container carichi di tubi per cannoni prodotti dalla francese Aubert e Duval. Quest’impresa ha dichiarato che in realtà i tubi sono diretti in Israele per essere lavorati e poi essere spediti in altri Paesi, senza però specificare dove sarebbero dovuti arrivare. La rivelazione di Disclose e The Ditch è l’ultima di una serie di inchieste pubblicate dai media francesi negli ultimi due anni sulle vendite di armi a Israele. Nel 2023, sempre Disclose aveva rivelato come la Francia avesse autorizzato, alla fine del 2023, la consegna di almeno 100mila pezzi di ricambio per fucili, suscettibili di essere utilizzati a Gaza.

Affari armati
L’azione di boicottaggio dei portuali francesi e italiani si unisce alle tantissime manifestazioni dal basso che chiedono giustizia per il popolo palestinese e che non si fermano di fronte all’immobilismo delle istituzioni. Da decenni l’Italia ha firmato un memorandum d’Intesa militare con Israele che viene tacitamente rinnovato ogni cinque anni. La data per interrompere questo tacito rinnovo sarebbe stata l’8 giugno. Ma nulla è stato fatto. In base a questo accordo militare con Israele, in vigore dal 2003 e firmato per la prima volta nel 2005, si consente lo scambio di tecnologie, brevetti, software e informazioni riservate, ed è coperto da segreto militare.

Sotto la dicitura “segreto militare” si nascondono accordi multimilionari che riguardano tecnologie belliche a oggi utilizzate anche nella Striscia di Gaza. Un esempio su tutti riguarda i droni “Hero-30” prodotti dall’israeliana UVision. 

Nel 2021, lo Stato Maggiore della Difesa esprimeva la necessità, urgente, di dotare le Forze Speciali Tier 1 dispiegate in contesti operativi di strumenti che consentissero loro di proteggersi quando la neutralizzazione della minaccia nemica comportasse un «certo rischio fisico». La Difesa sceglieva di affidarsi allo Hero-30 della UVision, costituito da un tubo all’interno del quale è contenuto un drone azionato e controllato da un solo operatore. All’epoca, tuttavia, veniva precisato che vi sarebbe stato il coinvolgimento di una società appaltatrice per la manutenzione e riparazione di parti non funzionali del sistema.

Il costo complessivo del programma era stimato in 3,878 milioni di euro e soprattutto, riguardo alle condizioni contrattuali, la relazione precisava che, dal momento che il programma era secretato, si applicavano le disposizioni dell’art. 162 “Contratti secretati” del Codice degli Appalti (D.Lgs. 50/2016). A settembre 2022 la società tedesca Rheinmetall e l’israeliana UVision avevano annunciato di aver ricevuto il loro primo ordine da una forza militare europea della Nato per la fornitura di munizioni da combattimento e addestramento per Hero-30, corsi di addestramento e attrezzature logistiche integrate e supporto. Due mesi dopo, il Tenders Electronic Daily, una versione online del Supplemento alla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dedicata agli appalti pubblici, pubblicava l’avviso di aggiudicazione dell’appalto alla controllata di Rheinmetall, RWM Italia, per la produzione di questo tipo di munizioni. Il bando indica come vincitore dell’appalto RWM Italia S.p.A con sede a Ghedi, in provincia di Brescia. La partnership vedeva RWM Italia in qualità di prime contractor per il mercato europeo, fornendo e producendo alcune componenti di munizioni, sistemi di assemblaggio e gestendo il supporto logistico.

Ma veniamo ai giorni nostri. Nel 2023 il governo Meloni ha autorizzato l’esportazione di 160 “Loitering Munition tipo Hero 30” all’Ungheria di Orban per un valore complessivo di quasi 150 milioni di euro. È il modello di bombardamento israeliano a Gaza che ormai si sta diffondendo in Europa come sistema di autodifesa. «L’importazione e la produzione in Italia per tutti i Paesi Ue dei droni israeliani Hero 30 dimostra chiaramente come il modello di bombardamenti e di guerra condotta da Israele a Gaza è assunto dai nostri decisori politici europei spacciandolo come modello per la difesa europea», commenta a TPI Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia. «Alla luce del genocidio che Israele sta operando in modo sistematico a Gaza andrebbe invece subito interrotto ogni interscambio di materiali militari con Israele».

L’asse Roma-Tel Aviv
La Corte Giustizia Internazionale ha stabilito che tutti gli Stati hanno il dovere di non prestare aiuto ad atti contrari al diritto internazionale e alla dignità umana. In questo contesto l’azione del governo italiano, che continua a collaborare anche sul piano militare con il governo israeliano, viola apertamente la Costituzione (in particolare gli articoli 10, 11 e 117) e i principi del diritto internazionale, che impongono agli Stati di non contribuire, in alcun modo, al mantenimento di situazioni illegali come l’occupazione militare e la colonizzazione israeliana. Il Governo, come anticipato, ha rinnovato il memorandum d’Intesa militare con Israele. Qual è dunque lo stato dell’arte tra i due Paesi?

Nel 2023 e nel 2024, l’Italia ha fornito elicotteri e armi leggere a Israele, secondo il Sipri, ed è un partner del programma di caccia F-35. A inizio 2024, il ministro degli Esteri Antonio Tajani annunciava che l’Italia aveva interrotto le spedizioni di armi verso Israele dal 7 ottobre 2023, ma secondo il Sipri tutti gli accordi firmati prima di allora sono stati comunque onorati. Nel 2024, come rileva la “Rete Pace e Disarmo”, la crescita delle Autorizzazioni complessive all’export militare, cioè di quanto il Governo italiano ha autorizzato a seguito di richieste di contratti di vendita sull’estero delle nostre aziende, è aumentata in maniera davvero rilevante.

Il Governo segnala che nei dati 2024 non compare Israele, in quanto le caratteristiche dell’intervento israeliano su Gaza hanno indotto l’Autorità nazionale Uama a non concedere nuove autorizzazioni all’export in virtù della legge n. 185/1990. Ciò però non ha fermato la prosecuzione di precedenti forniture. L’ammissione ufficiale da parte del governo è arrivata il 7 maggio 2025 in Commissione Esteri alla Camera per voce del sottosegretario Giorgio Silli, che per la prima volta ha pubblicamente dichiarato che armi italiane sono state inviate a Israele anche dopo il 7 ottobre 2023. Il sottosegretario, però, ha precisato che l’approccio adottato dal governo italiano nei confronti di Israele rimane «particolarmente restrittivo»: infatti le spedizioni effettuate dipendono da licenze rilasciate prima dell’inizio del conflitto e su queste vecchie licenze è stata fatta una «valutazione caso per caso». Silli ha sostenuto che: «sono stati inviati in Israele solo materiali che non potessero essere utilizzati contro la popolazione civile».

Economia di guerra
Secondo l’Atlante di Weapon Watch (l’importante e utilissimo Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo), «sono una sessantina le aziende che negli ultimi anni hanno venduto armi a Israele. Le principali sono direttamente o indirettamente sotto controllo governativo: Leonardo, Elettronica, Consorzio Iveco-Oto Melara. Quasi tutte partecipano ai maggiori programmi di cooperazione militare, in particolare per gli addestratori M-346 Alenia-Leonardo, i caccia F-16 (Fighting Falcon) e JSF (F-35). Alcune forniscono munizioni e attrezzature per fabbricare munizioni, di cui Israele è grande acquirente globale e fortissimo consumatore».

«I dati che Istat raggruppa sotto il codice merceologico 93 – che mescola armi leggere militari e civili, parti e ricambi e anche bombe pesanti e granate – indicano che nonostante il blocco governativo nel 2024 l’export verso Israele è stato quasi del tutto (89 per cento) da materiale bellico. Le province più implicate sono Lecco e Brescia», prosegue Weapon Watch. «Il dato più preoccupante, però, è la crescente dipendenza dalle forniture militari israeliane, che contrariamente alle esportazioni stanno crescendo fortemente. Il ministro Crosetto il 21 maggio scorso in Parlamento ha spiegato che la Legge 185 «non prevede una valutazione di merito sulla provenienza dei materiali ma la valutazione sul loro utilizzo finale e sull’impatto potenziale sulla difesa e sicurezza dell’Italia». Quindi armi e attrezzature militari israeliane sono indispensabili per la difesa italiana, al punto che è passato in secondo piano il contributo economico sempre più forte che il nostro Paese dà all’apparato militare-industriale di Tel Aviv, che si ramifica e pervade gran parte dell’economia israeliana, oltre che i vertici militari e lo stesso governo.

Dal 2021 le importazioni militari dell’Italia da Israele hanno superato le esportazioni. Nel 2024, ben il 21 per cento (in valore) delle importazioni militari complessive autorizzate ha riguardato Israele, con 42 autorizzazioni, al secondo posto appena dopo gli Stati Uniti (24 per cento). Per quel che riguarda le operazioni effettivamente svolte, tra le aziende importatrici troviamo in prima fila Leonardo e le sue controllate Elettronica e Telespazio, due colossi globali del munizionamento come KNDS-Simmel Difesa e RWM Italia (che probabilmente ha ordinato in Israele 608 tonnellate di esplosivo CXM-7), Gelco (800 kit completi per missile anticarro Pike) e anche dell’operatore logistico SLS che opera per conto delle forze armate italiane e di gruppi come Leonardo, Fincantieri, Thales».

Come ricorda il giornalista Alberto Negri in un articolo per Africa ExPress «Israele è il 97° Paese per popolazione al mondo ma il 9° maggiore esportatore di armi. In settori come l’intelligenza artificiale e la cybersecurity è in testa alla leadership mondiale. Gaza e la Palestina sono il laboratorio dello Stato ebraico. Come scrive nel suo libro (Laboratorio Palestina, Fazi) il giornalista premio Pulitzer Antony Loewenstein, ebreo australiano: «Molti Paesi vendono armi ma ciò che rende unica l’industria israeliana è il mix di armi, tecnologie di sorveglianza e tecniche che si combinano per creare un sistema completo per il controllo di popolazioni “difficili” e si basano su anni di esperienza in Palestina». “Esperienza” che costa il sangue di migliaia di persone.

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