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Il crepuscolo dell’Arabia Saudita

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L'analisi a tinte fosche di Alon Ben-Meir sul declino di Riad e sulle sfide che dovrà affrontare se non vuole cadere in una spirale di caos

Il regno dell’Arabia Saudita, che è stato il cuore pulsante del mondo arabo e un attore di rilievo sullo scenario internazionale grazie alle sue ricchezze petrolifere, sta gradualmente perdendo la sua influenza regionale e il suo ruolo di primo piano.

Negli ultimi anni, il regno arabo ha dovuto affrontare numerose sfide concomitanti, inclusi: prove interne di natura sociale, politica, economica e religiosa; il conflitto con l’Iran; le relazioni bilaterali con gli Stati Uniti; l’emergere dell’estremismo; e la crisi intra-araba.

L’Arabia Saudita non è riuscita a mettersi al passo con i rapidi mutamenti e sviluppi che hanno inghiottito la regione, e adesso si trova schiacciata da ogni lato, con scarse prospettive di uscire dall’angolo a meno che non riesca a promuovere un cambiamento radicale.

Il problema del paese è che, dati la sua cultura, la sua struttura socio-politica e il ruolo dominante della religione, sarà straordinariamente difficile che i sauditi riescano a cambiare corso senza passare attraverso un gran trambusto che potrebbe destabilizzare il paese per molti anni a venire.

Detto ciò, non hanno altra scelta che avviare riforme serie, sia sul piano interno che su quello di politica estera, che siano coerenti con il nuovo assetto geo-politico della regione, così da preservare l’integrità e la stabilità del regno.

Le crescenti sfide interne

Sin dalla guerra in Iraq del 2003, e specialmente con l’emergere della Primavera araba, il paese sta attraversando una crisi d’identità. Un crescente fermento attraversa molti giovani che non sono più disposti a tollerare di vivere in uno stato di servitù e oppressione – vogliono più libertà e diritti civili, e si rifiutano di accontentarsi di sussidi in cambio del loro silenzio.

Quando è cominciata la Primavera araba, il governo ha speso circa 116 miliardi di euro per mettere a tacere l’opposizione. Queste regalie non hanno soddisfatto i giovani al di sotto dei 21 anni, che rappresenta quasi il 60 per cento della popolazione.

Essi non sono disposti a vivere in un paese dove il dissenso nei confronti del governo è considerato una minaccia alla sicurezza nazionale, dove viene aperto il fuoco contro i manifestanti, dove la polizia segreta è ovunque, dove la libertà di parola è soffocata e dove le donne sono confinate in casa.

L’opposizione politica è stroncata con la forza, e le pene per crimini come la blasfemia, la stregoneria e l’apostasia sono raccapriccianti ed eseguite in pubblico.

Nel solo 2015, 158 persone sono state decapitate e più di 82 sono state già giustiziate nel corso del 2016. Si tratta del doppio delle persone decapitate dall’Isis nello stesso periodo di tempo.

Per di più, gli attivisti politici scontano lunghe pene detentive e l’uso della amministrativa è sfrenato. Le opportunità di ascesa sociale e di crescita personale sono limitate, lasciando molto poco cui aspirare. Ciò ha condotto molti giovani uomini a unirsi a varie organizzazioni terroristiche in cerca di una nuova identità.

Anche se le attiviste lottano per ottenere delle riforme, la violenza contro le donne è sintomatica della cultura saudita ed è accettata come un mezzo lecito di controllare il loro comportamento.

Le esecuzioni volute dallo stato di donne condannate per adulterio (le quali, spesso, sono in realtà vittime di stupro), e l’uccisione di donne da parte di parenti di sesso maschile (i cosiddetti crimini d’onore) per punire trasgressioni di natura sessuale, presunte o altrimenti, sono considerate accettabili.

Oppressione religiosa

Dato che l’Arabia Saudita è la custode dell’Islam sunnita ed è la sede dei più sacri luoghi di culto musulmani della Mecca (dove è nato il profeta Maometto) e di Medina, i sauditi si sono ritagliati un ruolo speciale nel mondo musulmano sunnita.

Il pellegrinaggio annuale alla Mecca (Hajj) promuove il ruolo religioso dei sauditi e la loro severa versione dell’Islam sunnita (il wahhabismo), che hanno esportato in ogni paese musulmano costruendo migliaia di scuole (madrasa) a un costo esorbitante.

Il paese è gestito dalla shari’a, la musica non è consentita, e il Consiglio per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio applica la legge islamica. Tutti i sauditi devono andare in moschea ogni venerdì, e il wahhabismo è insegnato ai bambini fin dalla più tenera età.

L’Arabia Saudita usa la religione per controllare la popolazione e insegna a odiare chi non condivide i loro stessi valori islamici. Il clero esercita un potere straordinario ed è libero di emettere editti (fatwa) a proprio piacimento.

Il sistema religioso è spesso orientato in direzione opposta rispetto alle aspirazioni sociali, politiche ed economiche dei giovani e sta conducendo a un crescente risentimento che sta diventando sempre più problematico per il governo.

L’imminente crisi economica

Le stime parlano di riserve di petrolio pari a 270 miliardi di barili, ma il crollo del prezzo del greggio ha avuto un effetto devastante sull’economia saudita.

La crisi petrolifera ha causato gravi problemi economici, ha costretto il governo a tagliare i sussidi e a interrompere molti progetti di sviluppo, e ha ridotto la sua levatura internazionale e la sua capacità di influenzare gli altri stati arabi.

Anche se i sauditi hanno quasi 590 miliardi di euro in riserve monetarie, il governo ha ritirato circa 62 miliardi per far fronte ai buchi nel bilancio fiscale del 2015.

Se il prezzo del petrolio dovesse ulteriormente scendere nei prossimi anni, per l’economia saudita sarebbe la bancarotta.

Mentre i poveri diventano sempre più poveri, migliaia di principi e principesse vivono nel lusso (per lo più in Europa), spendendo centinaia di milioni di euro e abitando in dimore opulente, che prosciugano ulteriormente le risorse economiche.

Siccome le rendite delle esportazioni petrolifere hanno coperto abbondantemente il budget nazionale, in passato, l’Arabia Saudita non ha mai sentito il bisogno di diversificare la sua economia e si trova a dipendere quasi interamente da esse.

Inoltre, i sauditi sono sempre più dipendenti dai milioni di lavoratori stranieri che sono soggetti a un trattamento inumano, da schiavi, e che svolgono i lavori più degradanti che i cittadini sauditi non vogliono fare.

L’ostile rivalità con l’Iran

Le relazioni tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita sono sempre state caratterizzate da tensione e diffidenza reciproca. Tale inimicizia è diventata una questione di primo piano con la guerra in Iraq del 2003 e con la crescente influenza esercitata da Teheran sul governo iracheno sciita.

Questa situazione è stata aggravata dallo scoppio della guerra civile in Siria, nella quale l’Iran supporta il regime di Assad con denaro, equipaggiamento e addestramento militari, e soldati, mentre i sauditi forniscono un aiuto simile ai ribelli che si oppongono ad Assad, ma senza schierare uomini.

L’inimicizia tra questi due paesi ha avuto un ulteriore sviluppo negativo quando nacque il sospetto che l’Iran stesse cercando di produrre armi nucleari, cosa che Riad interpreta come una minaccia diretta alla sua sicurezza nazionale.

Malgrado l’accordo siglato dai P5+1 (i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania) con l’Iran, i sauditi rimangono assolutamente scettici rispetto alle reali intenzioni di Teheran.

La guerra in Iraq ha anche risvegliato il conflitto millenario tra sunniti e sciiti, così che Siria e Iraq sono diventati il campo di battaglia delle due confessioni. Un campo sul quale continua lo spargimento di sangue che costa la vita a migliaia di persone ogni anno.

L’esecuzione del religioso sciita saudita Sheikh Nimr al-Nimr – una figura iconica che invitava ad affrontare le violazioni dei diritti umani nel paese, Nimr è stato accusato di incitamento al tradimento e condannato a morte insieme ad altre 46 persone – ha ulteriormente esacerbato l’acrimonia tra i due paesi.

L’avvenimento ha causato un’ondata di agitazioni tra la popolazione sciita, vibranti proteste a Teheran e altrove, e la condanna della comunità internazionale.

Anche se Teheran ha recentemente invitato Riad alla riconciliazione, quest’ultima ha respinto il gesto iraniano perché i sauditi vedono il conflitto con l’Iran come irriducibile, soprattutto per ragioni religiose e geopolitiche, dato che entrambi i paesi vogliono guadagnarsi il ruolo egemone nella regione.

Viste le dimensioni della sua popolazione, le sue risorse naturali e il progresso del suo settore industriale, i sauditi ritengono che l’Iran diventerà inevitabilmente il centro di potere regionale, con le capacità e le risorse per intimidire l’intera area del golfo (specialmente una volta che avrà acquisito armi nucleari), che i sauditi considerano proprio dominio.

Le frustranti relazioni con gli Stati Uniti

Anche se l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti hanno vissuto decenni di strette relazioni bilaterali, il loro rapporto si è incrinato quando sono cambiati gli interessi geo-strategici degli Stati Uniti, che si sono riorientati verso est, ma anche per via della loro gestione della guerra civile siriana e dell’accordo con l’Iran.

Anche se Washington continua a sostenere l’Arabia Saudita militarmente e rimane il garante de facto della sua sicurezza nazionale, i sauditi non sono convinti che manterranno l’impegno.

In effetti, nel gestire la sicurezza regionale, l’amministrazione Obama ha scelto di cercare un equilibrio tra l’Arabia Saudita e l’Iran. In un recente intervista a The Atlantic, il presidente Obama ha detto che essi “dovranno trovare un modo di condividere la regione”.

Inoltre, Obama crede che tirare l’Iran fuori dal suo isolamento porterà a una maggiore sicurezza nella regione, dalla quale trarranno beneficio tutti, anche i sauditi.

Un altro motivo di discordia tra i due paesi è il fallimento di Obama di mantenere la promessa di punire Assad se avesse oltrepassato la “linea rossa”, ovvero l’uso di armi chimiche contro i civili.

Ciò ha creato seri dubbi nei cuori dei sauditi circa il fatto che gli Stati Uniti saranno davvero disposti a correre in loro aiuto, qualora la sicurezza del regno fosse minacciata.

Malgrado i ripetuti sforzi degli Stati Uniti di rassicurare i sauditi sulla serietà e sincerità del proprio impegno verso la loro sicurezza nazionale, il periodo negativo nel loro rapporto è destinato a perdurare.

Riad ritiene che l’accordo sul nucleare si limiterà a rimandare le ambizioni iraniane di acquisire armi nucleari e che quando le avrà ottenute potrebbe innescarsi un meccanismo di proliferazione nucleare nella regione.

La pericolosa crisi intra-araba

Grazie alle sue ricchezze e alla capacità di fornire aiuto finanziario a molti paesi arabi tra cui la Giordania e l’Egitto, i sauditi hanno potuto esercitare grande influenza sulla regione e assumere la leadership del mondo arabo, che era tradizionalmente appannaggio dell’Egitto.

Con l’ascesa del presidente egiziano al-Sisi, tuttavia, la tendenza si è invertita e l’Egitto ha riguadagnato la leadership, anche se il paese resta bisognoso del sostegno finanziario saudita.

La recente visita del re saudita suggerisce che il regno ha bisogno del supporto dell’Egitto nell’affrontare l’Iran, ma anche nella gestione delle situazioni in Iraq e Siria e nella lotta contro gli Houthi in Yemen.

La prognosi per il futuro dell’Arabia Saudita non lascia presagire nulla di buono, il conflitto sunnita-sciita non può essere vinto da nessuna delle due parti e in qualunque modo si risolva la guerra civile in Siria, l’Iran continuerà a esercitare una notevole influenza sul paese. Lo stesso può essere detto dell’Iraq il quale, in ogni caso, ha una vasta maggioranza sciita.

In conclusione, l’Arabia saudita deve affrontare queste sfide a testa bassa e sgravarsi di qualsiasi peso che possa soffocare il suo potenziale di essere un attore di rilievo dentro e fuori la regione.

Nel gestire la questione dei diritti umani, la situazione attuale presto o tardi si ritorcerà contro il governo saudita dato che sarebbe impensabile zittire un segmento della popolazione tanto vasto, anche con l’uso della forza.

Bisognerebbe dare maggiori opportunità di crescita ai giovani uomini e le donne meritano diritti civili e la libertà dalla sottomissione. Il regno può realizzare tutto questo anche rimanendo fedele alla tradizione islamica, come hanno fatto altri stati del golfo.

Il governo saudita deve affrontare i pericolosi sviluppi di cui ho parlato perché ormai è solo questione di tempo prima che i giovani si ribellino e siano disposti a morire – come molti dei loro fratelli in Egitto, Libia e Siria – per una causa in cui credono.

Per quanto riguarda l’aspetto religioso, la sopravvivenza del regno potrebbe dipendere dalla sua capacità di allentare la pressione religiosa e limitare decisamente le prerogative della polizia religiosa, che fa unn uso indiscriminato e irresponsabile della forza.

È giunto il momento di modificare il sistema di giustizia penale ed eliminare le esecuzioni pubbliche che non fanno altro che alienare la popolazione – anziché diffondere paura e soggezione, nutrono l’odio e il risentimento nei confronti del governo, e rafforzano il desiderio di opporvisi.

Il governo dovrebbe prestare attenzione alle istanze della cittadinanza senza necessariamente rinunciare ai principi religiosi che guidano il paese. Essere un musulmano devoto è una cosa, ma usare la religione arbitrariamente come strumento per sottomettere il popolo non sarà tollerato ancora a lungo.

Inoltre, il governo deve smetterla con la sua legislazione draconiana nel nome della religione. Di fatto, quanto più verranno imposte leggi ed editti religiosi, tanto più i giovani si opporranno.

Dal punto di vista economico, il paese deve concentrarsi sullo sviluppo industriale su larga scala e ridurre gradualmente la sua dipendenza dalle rendite generate dal settore energetico. Questo creerà milioni di posti di lavoro e porterà alla nascita di una classe media autosufficiente.

Il governo dovrebbe investire in programmi di sviluppo sostenibile che consentano alle comunità di scegliere i propri progetti, in modo che possano provvedere a se stessi senza il bisogno dei sussidi statali, e che riguadagnino fiducia in se stessi.

Circa il conflitto saudita-iraniano, entrambe le parti devono avviare un processo di riconciliazione e restaurare le relazioni diplomatiche, che potrebbero potenzialmente aiutare a individuare una soluzione condivisa per la guerra civile in Siria.

Anche con le migliori intenzioni, le relazioni bilaterali tra i due paesi continueranno a sperimentare alti e bassi, e perciò accettare l’innegabile realtà delle rispettive posizioni religiose e geo-politiche potrebbe smorzare le tensioni e migliorare i rapporti, ma serve riconoscere che nessuno dei due può vicere la guerra religiosa o dominare l’intera regione.

Per quanto riguarda gli Stai Uniti, i sauditi hanno poca scelta se non fidarsi, non solo per via dell’impegno americano di difendere il regno da minacce esterne, ma anche perché gli Stati Uniti continuare ad avere importanti interessi strategici nella regione.

I sauditi tuttavia devono anche capire che essendo un potere globale, gli Stati Uniti devono bilanciare i loro interessi strategici complessivi con le relazioni bilaterali che intrattengono con paesi tra di loro ostili; il conflitto israelo-palestinese e l’accordo con l’Iran offrono due esempi in questo senso.

Infine, per quanto concerne le relazioni intra-arabe, l’Arabia saudita può ancora rivestire il ruolo di leader, ma deve adattarsi allo sviluppo degli eventi nella regione e allo stesso tempo mantenere il suo ruolo di guida nel golfo.

Inoltre, i sauditi, che nutrono forti preoccupazioni circa la sicurezza dell’intera penisola arabica, devono lavorare per trovare una soluzione alla guerra tra gli Houthi e il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen.

L’Arabia Saudita si trova a un bivio importantissimo: il regno deve osservare attentamente i suoi affari interni ed esterni e tracciare un nuovo corso per evitare che i giovani del paese, che non sono più disposti ad accontentarsi dello status quo, diano vita a una rivoluzione.

Le sfide elencate sopra non possono essere vinte se l’Arabia Saudita non affronta la realtà, perché nessuna di esse può essere mitigata da pie illusioni o da un uso eccessivo della forza e di atti brutali nel nome dell’autorità superiore, che sono da respingere con repulsione.

L’Arabia Saudita ha le risorse umane e naturali per reclamare il suo ruolo di leadership nella regione, e insieme ad altri attori regionali deve affrontare il processo di riconciliazione, che è la sola ricetta per la stabilità e la pace.

— Analisi di Alon Ben-Meir, professore di relazioni internazionali ed esperto di Medio Oriente alla New York University

— Traduzione a cura di Paola Lepori

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