Stop allo smart working semplificato, si torna alle regole pre-Covid. Cosa cambia
Dal primo aprile 2024 per lavorare in smart working bisognerà stipulare, o aver stipulato, un accordo individuale tra lavoratore e azienda. E questo varrà per tutte le categorie di lavoratori. Il 31 marzo, infatti, sono scadute le deroghe previste durante il Covid per i fragili e per i genitori di figli under 14 e che, attraverso varie proroghe, finora avevano consentito a queste categorie di chiedere lo smart working attraverso la procedura semplificata.
Un fenomeno sempre più significativo e che ha cambiato le abitudini di molti italiani. Nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro Paese si assestano a 3,585 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia, come rilevava l’ Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.
Dal 1° aprile quindi, anche nel settore privato, per tutti sarà necessario sottoscrivere un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro, come previsto dall’art. 19 della legge n. 81/2017. E non sarà più concesso in alcun modo e a nessuna categoria di lavoratore il regime semplificato, cioè senza accordo e per le vie brevi.
“Si torna quindi al modello stabilito nel 2017. Il Covid aveva comportato un utilizzo massivo dello strumento, che dall’innovazione organizzativa è migrato verso una finalità emergenziale. Ciò ha generato due effetti di sistema: da un lato sganciando lo smart working dalla finalità propriamente imprenditoriale, ma dall’altro ha dimostrato la sua ampia praticabilità e i suoi benefici anche sul piano sociale”, osserva il giuslavorista Francesco Rotondi, consigliere del Cnel e fondatore dello studio LabLaw.
Cosa cambia
L’accordo individuale deve essere stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo inoltre deve regolare “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Le aziende non hanno alcun obbligo di garantire lo smart. In caso affermativo, alcune categorie hanno la priorità. La legge del 2017 infatti assegna priorità alle richieste formulate da: lavoratori con figli fino a dodici anni di età, o senza limite di età nel caso di figli disabili, lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata, o caregiver. Inoltre, il cosiddetto decreto anziani prevede che venga riconosciuta una priorità nello smart working anche a coloro che hanno dai 65 anni in su. Priorità non significa diritto assoluto. Se l’azienda decide di non implementare lo smart working, anche i lavoratori appartenenti alle categorie sopra citate devono adeguarsi.
Nella pubblica amministrazione lo smart working semplificato per i fragili è terminato il 31 dicembre scorso. Una direttiva del ministero della Pubblica amministrazione, però, prevede la necessità di garantire ai lavoratori che documentano “gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari” la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile.