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Home » Economia

Vorrei, ma non Pos: viaggio nei pagamenti elettronici

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L’Unione europea ci chiede di puntare sui pagamenti digitali contro l’evasione. Ma il Governo va in direzione opposta. E i commercianti protestano per le commissioni bancarie, che in Italia sono particolarmente alte

In un prato non lontano dall’Arena di Pesaro, dove Max Pezzali si era appena esibito in concerto, una donna ha trovato un portafogli contenente 5mila euro in contanti. Lo ha portato a casa e il giorno dopo lo ha consegnato ai carabinieri.

S&D

Fortunatamente dentro c’erano anche i documenti del proprietario, un imprenditore 30enne titolare di un negozio di abbigliamento: l’intera somma gli è stata restituita, erano i soldi dell’incasso, che l’uomo aveva deciso di portare con sé al concerto perché non aveva fatto in tempo a passare in banca per depositarli.

Di certo non una situazione comune, ma utile a spiegare i rischi che si corrono quando si maneggiano grosse somme di denaro liquido: smarrimento, ma anche furti, banconote false, rischio di incendio.

Per lo Stato invece la preoccupazione maggiore è, ovviamente, fiscale: il pagamento in contanti favorisce l’evasione, come segnalato dall’Ocse e dal Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, che hanno instaurato un braccio di ferro con il governo sulla manovra.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni vorrebbe annullare le sanzioni per gli esercenti che non accettano pagamenti elettronici al di sotto della soglia di 60 euro, ma sul tema è tutt’ora in corso una mediazione con l’Unione europea, che ha fatto del graduale abbandono del contante uno dei requisiti per l’ottenimento dei finanziamenti del Recovery Fund per il Pnrr. “Sono emersi studi che suggeriscono che soglie più alte favoriscono l’economia sommersa. C’è inoltre evidenza che l’uso dei pagamenti elettronici ridurrebbe l’evasione fiscale”, denuncia Fabrizio Balassone, direttore del Servizio Struttura economica di Bankitalia. “La definizione di sanzioni amministrative per chi rifiuta i pagamenti digitali – prosegue – era inclusa tra i traguardi del Pnrr del primo semestre di quest’anno”.

Provvedimenti come l’abolizione delle sanzioni sul Pos, l’innalzamento del tetto al contante, oppure norme che riducono l’onere tributario per i contribuenti non in regola, sintetizzati solitamente come “tregua fiscale”, rischiano di entrare in contrasto con la spinta alla modernizzazione del Paese e con l’esigenza di continuare a ridurre l’evasione, che in Italia per quanto riguarda l’Iva ha toccato quota 26 miliardi di euro nell’ultima rilevazione disponibile, quella del 2020, fornita dalla Commissione Ue.

Una somma che – seppur in flessione rispetto ai 31 miliardi dell’anno precedente – vale al nostro Paese la maglia nera in Europa, davanti a Francia (14 miliardi) e Germania (12 miliardi), e che da sola sarebbe sufficiente a coprire i 21 miliardi previsti dal governo nella legge di Bilancio per ammortizzare il caro-bollette nel 2023.

Obbligo o verità

Se è vero che una transazione digitale lascia per sua stessa natura una traccia fiscale, impedendo materialmente all’esercente di occultare le entrate, questo servizio ha un costo, e nel Paese ci si interroga se quest’onere debba continuare a gravare – e se sì in che misura – sulle spalle di una categoria, quella degli imprenditori, già messa in ginocchio dalla pandemia e ora in grossa difficoltà a far quadrare i conti con l’aumento dei prezzi dell’energia.

Obbligare qualcuno ad accettare pagamenti elettronici significa di fatto costringerlo a pagare le relative commissioni bancarie, che variano a seconda del contratto e del modello scelto, ma che sono indispensabili per garantire l’intero funzionamento del sistema. Possedere un Pos (acronimo inglese per “Point of sale”, letteralmente “Punto di vendita”) non è più facoltativo in Italia dal 2014, come conseguenza di una norma contenuta nel Decreto Crescita del 2012 voluto dal governo Monti: da allora artigiani, commercianti, professionisti – sia come ditte individuali che imprese – devono mettere il cliente nelle condizioni di pagare con moneta elettronica. Oggi come oggi gli esercenti possono scegliere tra diverse opzioni, ognuna con le sue criticità.

La prima distinzione da fare è tra i costi dell’installazione del terminale, che sono una tantum, e quelli periodici, che si distinguono tra commissioni bancarie sull’importo oppure fisse. Facendo un giro tra le varie concessionarie del servizio ci si può immergere nel mondo con cui i commercianti si trovano ad avere a che fare. Intesa Sanpaolo applica una promozione che prevede un canone mensile di 18 euro, mentre la proposta di Nexi – che ha rapporti con oltre 150 banche – è composta da diversi prodotti che vanno da 14,99 euro al mese a costi una tantum di 179 euro.

Per l’apparecchio wireless negli ultimi tre anni Unicredit ha applicato una promozione che prevede un canone mensile di 2,90 euro (con commissioni fisse a 0,9% sull’importo). SumUp propone un pagamento una tantum che va dai 30 ai 150 euro a seconda del modello, ma non prevede alcun canone mensile. C’è poi Banca Sella, che si regola in base al transato mensile.

Un proliferare di apparecchi che – a sorpresa – vede l’Italia sopravanzare altri Paesi europei. E che, rispetto al 2016, ha fatto registrare nel nostro Paese una percentuale sempre minore di transazioni effettuate col contante, che resta comunque la soluzione preferita. Sul territorio ci sono quasi 3,7 milioni di macchinette, contro le 2,3 della Francia e le 1,8 della Spagna, per citare due esempi, e in un anno sono stati effettuati 7 miliardi di pagamenti attraverso carte: tutti dati che, in base al decreto sul Pnrr, verranno comunicati all’Anagrafe tributaria proprio per contrastare l’evasione fiscale.

In merito alle commissioni c’è anche da precisare che non esiste un esatto ammontare dei costi, ma viene influenzato da diversi fattori, tra cui ovviamente l’importo della transazione, e anche dalle varie offerte degli operatori. Generalmente il loro valore si trova tra lo zero e il 2%. Costituisce un’eccezione il tasso al 4,5% di Poste Italiane, che però ha fissato una cifra massima di 3,80 euro.

Un caso particolare è quello di Satispay, che rappresenta l’offerta più conveniente in termini economici: non c’è nessun costo di installazione, trattandosi di un’app che si scarica sullo smartphone, ma questa non è collegata a nessuna carta di pagamento. Si appoggia infatti su un circuito privativo al di fuori del meccanismo degli istituti di credito. Le commissioni sono azzerate per i pagamenti sotto i 10 euro e sono pari a 20 centesimi su qualsiasi tipo di pagamento al di sopra della soglia.

“Azzerateci i costi”

Secondo una direttiva dell’Unione europea, le commissioni non dovrebbero essere più alte dello 0,2 per cento nel caso di utilizzo del bancomat e dello 0,3 per cento quando si usano carte di credito o debito: abbiamo visto che in Italia sono più alte, ma stando ai dati dell’Associazione bancaria italiana riferita al 2019, sono in calo.

Tre anni fa la media era 1,1 euro, di poco sotto quella europea (1,2 euro). “Osservatorio confronta conti” e “Sos tariffe”, due siti specializzati nella comparazione delle offerte per gli esercenti, fanno notare che dal 2017 al 2022 i costi delle commissioni si sono costantemente abbassati: per chi ha scelto il circuito Pagobancomat, per esempio, la commissione in media è l’1,4 per cento, quando all’inizio della rilevazione si pagava l’1,92 per cento. Per gli esercenti con il Pos fisso l’abbattimento dei costi è ancora maggiore, con la commissione che scende all’1,27 per cento.

La maggiore diffusione delle apparecchiature ha fatto sì che si abbattessero anche i costi di spesa iniziale e del canone mensile: nel 2022 il costo una tantum in media è di 44 euro inferiore rispetto al 2017, mentre il fisso vale 11 euro in meno. Si tratta di un ribasso di circa il 63,6 per cento rispetto a cinque anni fa, che però – in un periodo di crisi profonda dovuta prima alla pandemia e poi all’aumento dei prezzi dell’energia – non è sufficiente a far respirare i commercianti.

Per sostenere la categoria a dotarsi di Pos, il governo Draghi (che lo aveva reso obbligatorio per tutte le transazioni senza alcuna soglia minima, attirando su di sé diverse critiche) aveva previsto incentivi tramite un credito di imposta dal 30 al 100 per cento a seconda del collegamento al registratore di cassa e della trasmissione dei dati sulle transazioni in tempo reale. Il governo Meloni ha rinnovato la misura stanziando 80 milioni di euro, nonostante si tratti di un’agevolazione apparentemente in contrasto con le intenzioni dichiarate di innalzare la soglia di obbligatorietà.

Sul tema la posizione di Confesercenti è chiara: “Chiediamo, in particolare per alcune categorie, l’azzeramento delle commissioni sui piccoli pagamenti. Per quanto ci riguarda, riteniamo giusto che chi vuole pagare con la carta di credito lo possa fare. Ma fino a che non si saranno compensazioni con i costi delle commissioni, non si può chiedere di accettare i pagamenti via POS e rimetterci. Specialmente sui servizi utili per i cittadini”.

Un ristoratore che ha il suo locale nel centro storico di Napoli parlando con TPI ha sollevato un punto: “Io ho circa 2mila euro di commissioni al mese, con quella somma potrei assumere un’altra persona”. Ma a provare a ribaltare la narrazione sul tema ci ha pensato la Banca d’Italia: Fabrizio Balassone, capo servizio della struttura economica, ascoltato sulla manovra dalle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato ha fatto notare come secondo alcune stime del 2016 il contante sarebbe, per gli esercenti, più costoso dei pagamenti elettronici.

Questo per la presenza di una “indennità di cassa” presente nel contratto del commercio che vale un aumento del 5% per i dipendenti che maneggiano denaro contante, e che sparirebbe del tutto se si passasse interamente alle transazioni digitali. Ma anche per il rischio di furti, rapine e i relativi investimenti ai quali sono “costretti” gli esercenti per evitarli, acquistando ad esempio dei sistemi di allarme e sicurezza, oppure stipulando assicurazioni.

 

In merito a questo articolo è pervenuta alla redazione di TPI una nota del vicedirettore generale Innovazione e Sistemi di pagamento dell’ABI, Pierfrancesco Gaggi: “Alcuni dei servizi di pagamento a favore delle imprese commerciali e dei loro clienti si basano sull’utilizzo di circuiti (nazionali, come il nostro PagoBANCOMAT, o internazionali) ai quali i fornitori di servizi di pagamento aderiscono, scambiandosi fra di loro una commissione fra il fornitore che offre il servizio all’esercente e il fornitore che offre il servizio al titolare della carta. È questa commissione che i fornitori di servizi di pagamento si scambiano fra di loro ad essere regolamentata da norma europea – e quindi per tutti i circuiti che operano in Europa – al livello dello 0,2% per le carte di debito e al livello dello 0,3% per quelle di credito. Nulla stabiliscono le norme – né potrebbero – in merito alle commissioni praticate all’esercente, né al titolare della carta, commissioni rispetto alle quali esiste una varietà ricchissima di proposte che assumono le forme e i livelli più diversi, grazie alla elevatissima concorrenza che caratterizza il settore, popolato da operatori nazionali e internazionali”.

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