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Home » Economia

“Più giovani e donne, meno armi e difesa”: ritratto di Carlo Messina, il banchiere illuminato

Immagine di copertina
Carlo Messina, 63 anni, è amministratore delegato di Intesa Sanpaolo dal settembre 2013. Credit: AGF

“Le priorità dell’Europa dovrebbero essere nuove generazioni e lotta alla povertà, non aumentare le spese militari”, dice l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo

Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, è un banchiere atipico, qualcuno direbbe «illuminato». Ambizioso ma lontano dagli eccessi, appassionato di arte ma allergico ai salotti mondani, una spiccata attenzione alle questioni sociali. Parla poco, e quando lo fa preferisce disquisire di disuguaglianze tra ricchi e poveri che di finanza.

«Come spiegare a persone che non arrivano alla fine del mese che la priorità è investire in Difesa?», ha osservato nei giorni scorsi in un’intervista al quotidiano La Stampa. La presa di posizione ha fatto scalpore. Perché Messina è, sì, un banchiere diverso da quasi tutti gli altri, ma nel settore del credito è considerato il numero uno su piazza.

Risultati record
Da sette anni, ogni anno, gli investitori e analisti che partecipano al sondaggio della società di ricerca Extel lo incoronano come miglior amministratore delegato europeo nel settore bancario. È stabilmente ai primi posti nella classifica Top Manager Reputation, che misura l’immagine sui social dei principali capi-azienda italiani. Nei giorni scorsi è stato nominato banchiere europeo dell’anno 2024 dalla stampa finanziaria di Francoforte.

Da quando, dodici anni fa, ha assunto le redini di Intesa Sanpaolo, la banca ha triplicato la propria capitalizzazione in borsa affermandosi come uno dei principali istituti del vecchio continente. L’ultimo utile annuale ha toccato i 6,8 miliardi di euro, il livello più alto nella storia della banca, e alla fine del 2025 si punta a salire ancora, «ben oltre i 9 miliardi», un obiettivo che sembra alla portata, considerato che nel primo trimestre i profitti hanno registrato una crescita tendenziale del 13,6%.

Nato a Roma 63 anni fa da padre siciliano e madre pugliese, laurea in Economia e Commercio alla Luiss, Messina è entrato in Intesa nel 1998 dopo dieci anni in Bnl, dove si è occupato di corporate finance, e due al Banco Ambrosiano Veneto (responsabile del servizio pianificazione). È un esempio raro di romano che si è saputo conquistare la gloria a Milano.

Nel settembre 2013 è diventato amministratore delegato raccogliendo il testimone da Enrico Cucchiani, che a sua volta era stato l’erede di Corrado Passera, l’uomo che aveva spinto per la fusione tra Banca Intesa e San Paolo Imi.

Di Passera, Messina è considerato un allievo, ma i suoi primi maestri sono stati Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, due nomi che hanno fatto la storia del credito italiano, registi della vendita di Cariplo al Banco Ambroveneto che nel 1997 portò alla nascita di Banca Intesa.

Il Sociale
Proprio dal filantropo Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo per oltre vent’anni fino al 2019, ha ereditato la propensione a intervenire nel sociale.

Sotto la sua guida, Intesa Sanpaolo ha stanziato 1,5 miliardi di euro per un programma quadriennale di contrasto alla povertà e alle disuguaglianze, sta lavorando a un pacchetto da 10 miliardi di euro in finanziamenti agevolati per le aziende che assumono giovani e donne, ha firmato il rinnovo del contratto nazionale dei bancari con un aumento di stipendio da 400 euro al mese, oltre ad aver introdotto – fra le prime aziende in Italia – la settimana corta di quattro giorni da 9 ore lavorative a parità di retribuzione.

Gli azionisti, intanto, continuano a brindare ai dividendi: l’ultima cedola staccata ammonta a oltre 6 miliardi di euro, ennesimo record.

Lo scorso 26 maggio, ospite del 129esimo Consiglio nazionale del sindacato Fabi, Messina sorprende tutti schierandosi apertamente contro le politiche di riarmo sostenute dai più importanti leader europei: «Invece di guardare ai poveri, pensiamo a comprare le armi. In un Paese che non ha la bomba atomica, non capisco che cosa dobbiamo fare noi con tutte queste armi», dice. «Certo che possiamo fare il grande riarmo – aggiunge – ma con tutti i poveri che abbiamo in questo Paese dobbiamo capire come usare il debito pubblico».

Qualche giorno dopo, intervistato dal direttore de La Stampa Andrea Malaguti, rincara la dose. «Davvero dobbiamo temere che 150 milioni di russi possano invadere l’Europa, dove vivono 450 milioni di persone?». «L’evoluzione di quanto sta accadendo in Ucraina da oltre tre anni riguarda tutti noi», chiarisce Messina, ma «allo stesso tempo vedo altre emergenze». Quali? «I giovani, la povertà. Argomenti che dovrebbero essere centrali sia per i governi europei sia per le grandi aziende. Temi che toccano tutti noi e che richiedono un impegno collettivo». Secondo il banchiere di Ca’ de Sass, occorre lavorare «per dare un’altra agenda alle priorità politiche». «Non possiamo avere come unico tema di dibattito pubblico l’incremento degli investimenti nella Difesa», ribadisce. E ancora: «Se davvero i conti pubblici dovessero presentarsi meglio del previsto, ci si dovrebbe concentrare su crescita, occupazione, riduzione delle disuguaglianze».

Nota a margine: a scanso di ipocrisie, l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo è uno dei meno pagati, fra i top manager del credito europei: 7,3 milioni di euro nel 2024 a fronte di una media di 7,6 milioni.

Fuori dal Risiko
Con lui al timone, il business di Intesa Sanpaolo è concentrato quasi esclusivamente sul fronte domestico. Niente voli pindarici, nessuna mira oltrefrontiera.

La diversità di Messina è confermata anche dal distacco con cui sta assistendo alle voraci manovre del risiko bancario in atto in Italia e che vede protagonisti invece Unicredit, Mps, Mediobanca e Bpm (con vista sulle Assicurazioni Generali e con un ruolo non del tutto passivo del Governo Meloni). Sarebbe «utile per il nostro Paese che si concludano il prima possibile queste fasi di grande incertezza, dialettica e ostilità», riflette il banchiere, che nel 2020 condusse in porto l’acquisizione di Ubi Banca senza particolari squilli di tromba. Ma «se Unicredit decidesse di scalare Generali – avverte – la prima cosa che farei sarebbe chiamare Andrea Orcel (amministratore delegato di Unicredit, ndr) per dirgli di fermarsi». Se vuoi la pace, prepara la pace.

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