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Home » Economia

Chi sta vincendo la corsa globale all’intelligenza artificiale

Immagine di copertina
Elon Musk. Credit: AP Photo

La competizione tra le Big Tech. Lo scontro tra Usa e Cina. E la mancanza di regole internazionali comuni. La gara tecnologica più importante del mondo si gioca a colpi di investimenti e brevetti. Ma non solo. Ecco a che punto siamo e quale ruolo svolge l'Europa

L’intelligenza artificiale (I.A.) da anni è entrata nella nostra vita, ma ora sta facendo tanti, e in alcuni casi preoccupanti, passi avanti. Motivo per cui ha attirato l’attenzione del mondo intero. Dagli Stati Uniti alla Cina; dall’Europa all’Australia. Tutti parlano e guardano con interesse a questa “nuova” tecnologia che può essere utilizzata in tantissimi campi. Dal controllo delle persone alla medicina; dal settore militare, con lo sviluppo di armi sempre più potenti e precise, a quello commerciale. Dalla finanza ai social media.

America First
La recente elezione di Donald Trump alla presidenza Usa (il 20 gennaio 2025 assumerà ufficialmente la carica) ha riacceso ulteriormente i riflettori sul tema. Soprattutto per la sua “vicinanza” ad Elon Musk, l’uomo più ricco (e forse potente) del mondo che lo ha aiutato nella campagna elettorale con finanziamenti e sponsorizzazioni in prima persona. In cambio, stando alle anticipazioni arrivate da Oltreoceano, l’imprenditore avrà un ruolo nella nuova amministrazione repubblicana. Sarà una sorta di “zar dell’efficienza governativa”.

Alleanza, quella tra Trump e Musk, che potrebbe avere importanti ripercussioni su diversi settori strategici, tra cui l’intelligenza artificiale e l’industria tecnologica. Musk, infatti, con le sue aziende Tesla, SpaceX e Neuralink, guarda a un futuro in cui l’innovazione tecnologica e la deregolamentazione possano accelerare il progresso nel campo dell’intelligenza artificiale, della guida autonoma e delle telecomunicazioni. Questa collaborazione potrebbe quindi portare a una pesante accelerazione a un ricorso all’intelligenza artificiale non solo in ambito commerciale, ma anche a livello geopolitico, sollevando quindi nuove questioni geopolitiche, etiche e di sicurezza.

Ma cosa vorrebbero fare nel concreto Trump e Musk? Secondo Dan Ives, analista di Wedbush Securities, il neo eletto presidente Usa potrebbe introdurre iniziative significative nel campo dell’intelligenza artificiale all’interno del governo degli Stati Uniti, in particolare nel dipartimento della Difesa. Tradotto: anche nel settore delle armi. Queste iniziative potrebbero favorire tante aziende tecnologiche statunitensi come Microsoft, Amazon, Google e Palantir, offrendo loro opportunità di crescita e sviluppo nel settore dell’I.A.

Un netto cambio di strategia rispetto al governo uscente di Joe Biden (che è stato molto cauto sul tema) e alla candidatura di Kamala Harris, che enfatizzava un’innovazione responsabile con particolare attenzione alle linee guida etiche e alla tutela della privacy. Un approccio che mirava a bilanciare l’avanzamento tecnologico con la tutela dei diritti individuali e la sicurezza nazionale. A tal proposito, l’amministrazione Biden-Harris aveva emanato un ordine esecutivo per garantire lo sviluppo sicuro e affidabile dell’I.A., affrontando temi come la sicurezza, la privacy e l’equità. L‘approccio di Musk e, per estensione, di Trump è invece verso un’I.A. meno regolamentata, promuovendo l’innovazione con minori vincoli normativi.

Ma cosa dice The Donald sull’argomento? Il neo presidente negli scorsi mesi ha parlato dell’AI come una «superpotenza» con capacità «allarmanti». Segno che non sottovaluta il tema e che quindi potrebbe essere ricettivo sulle regolamentazione dell’I.A. Tuttavia, ha anche promesso un approccio meno rigido alla regolamentazione tecnologica, ha dichiarato di voler abrogare l’ordine esecutivo di Joe Biden che ha introdotto il quadro federale più completo per la supervisione dell’I.A. fino a oggi e ha enfatizzato il ricorso a questa tecnologia come uno strumento per «prendere il comando sulla Cina».

La geopolitica dell’I.A.
Abbiamo visto qual è la situazione negli Stati Uniti. Come detto, però, di intelligenza artificiale si parla (e investe) anche nel resto del mondo: Cina, India, Russia. E l’Europa? Nonostante i passi avanti sulla regolamentazione, il Vecchio continente insegue, almeno in termini di investimenti. Tutti comunque sono al lavoro per capire come sviluppare l’intelligenza artificiale e come gestirla/controllarla/regolamentarla. Da una parte l’interesse economico-geopolitico e il potere che ne deriva; dall’altra i diritti delle persone, dei propri cittadini. Il problema etico.
In attesa di arrivare ad un punto d’incontro. Tutti investono. Chi più, chi meno. A fare la voce grossa nel settore sono, ovviamente, gli Stati Uniti che hanno attratto 62,5 miliardi di euro (circa 66 miliardi di dollari) di investimenti privati nel settore, mentre Europa e Regno Unito hanno raccolto solo 9 miliardi di euro (circa 9,5 miliardi di dollari).

Giorno dopo giorno gli States continuano ad attrarre talenti tecnologici europei con salari più alti e investimenti. Risultato: le sette maggiori aziende tecnologiche statunitensi sono 20 volte più grandi delle sette major europee e generano dieci volte più ricavi. Il perché di questa disparità è da ricercare anche nelle regolamentazioni sul tema che in Europa sono sicuramente più rigide.

Discorso diverso per la Cina dove, secondo i dati pubblicati lo scorso giugno dal China Internet Network Information Centre (CNNIC), ci sono ben 230 milioni di utenti dell’I.A. generativa. Ovvero, circa un utente Internet su sei nel Paese asiatico utilizza questi servizi. Numeri che sono in rapidissima salita. Si parla già di 600 milioni di utenti. Un mercato enorme per ora soddisfatto principalmente da aziende made in Usa come OpenAI con ChatGPT e Google con Gemini. Tra loro Ernie Bot di Baidu. E pensare che due di questi servizi non sono nemmeno disponibili in Cina senza l’uso di una Vpn. Probabilmente questi dati sono stati diffusi dal governo cinese per incentivare le numerose aziende locali a guadagnare quote di mercato, soprattutto a scapito delle imprese statunitensi. Secondo il Financial Times infatti, ByteDance è emersa come una delle prime protagoniste nella corsa all’intelligenza artificiale in Cina, attirando talenti da colossi come Alibaba e Tencent, oltre che da start-up specializzate. Anche i proprietari di TikTok starebbero facendo la loro parte investendo miliardi di dollari nel settore.

Un fiume di denaro
Il comparto dell’intelligenza artificiale, per ora, è dominato da aziende americane, ma spiccano anche investitori asiatici, cinesi in primis. Tra quelle che investono di più ci sono sicuramente Anthropic che si occupa di sicurezza nell’intelligenza artificiale e modelli linguistici avanzati; Nvidia che produce hardware e software per applicazioni intelligenti avanzate, con un investimento stimato tra i 5 e i 6 miliardi di dollari all’anno; la notissima OpenAI, che lavora su modelli linguistici potenti e sullo sviluppo dell’I.A. generativa (investimento stimato: tra i 500 milioni e un miliardo di dollari). Parliamo di una pioniera del settore, ad esempio, nella creazione di modelli linguistici di grandi dimensioni (large language model, in sigla LLM), come GPT, capaci di generare testo coerente e utile in svariati contesti.

Google DeepMind che produce un’I.A applicata e ricerca multi-dominio (investimento stimato: 1-2 miliardi di dollari all’anno). Nello specifico, l’azienda continua a spingere i confini dell’intelligenza artificiale attraverso ricerche rivoluzionarie, come AlphaFold, che ha risolto una delle grandi sfide scientifiche: il ripiegamento delle proteine.

Non possono mancare poi Microsoft, che lavora all’I.A integrata nei prodotti e servizi (investimento stimato: 20 miliardi di dollari all’anno); Meta, proprietaria di Facebook, che sviluppa un’I.A per i social media e la realtà aumentata/virtuale (investimento stimato: 10-12 miliardi di dollari all’anno); IBM, che punta a soluzioni intelligenti per le imprese e sull’informatica quantistica (investimento stimato: 6-7 miliardi di dollari all’anno); e Amazon Web Services (AWS), che investe fino a 42 miliardi di dollari all’anno sull’I.A. e il Machine Learning basati su cloud.

E ancora tante altre aziende come: Tesla, che scommette sulla guida autonoma e sulla robotica intelligente (investimento stimato: 2-3 miliardi di dollari all’anno); Huawei, che lavora a dispositivi mobili e reti intelligenti (investimento stimato: 22-25 miliardi di dollari all’anno); Baidu, che sviluppa innovazioni per la ricerca e nel settore della guida autonoma (investimento stimato: 2-3 miliardi di dollari all’anno; SenseTime, che investe tra 500 milioni e un miliardo di dollari all’anno nella Computer Vision, che consente ai dispositivi di ricavare informazioni da immagini, video e altri input; e Alibaba, che punta invece Qwen 2.5, un’I.A. al servizio dell’efficienza (investimento stimato: 6-8 miliardi di dollari all’anno). A queste vanno poi aggiunte tante altre imprese “minori” con budget inferiori.

Questione di regole
Gli investimenti e lo sviluppo dell’I.A. vanno avanti a ritmo serrato, anche se presto potrebbero subire dei rallentamenti. A frenare questi tir di denaro potrebbero infatti essere solo le normative sul tema che i singoli Stati hanno già adottato o potrebbero adottare. Un rischio per alcuni; un sollievo per altri. 

Negli Stati Uniti ci sono già delle norme che regolamentano alcuni aspetti legati all’I.A. Ad esempio, la Equal Employment Opportunity Commission (Eeoc) può indagare su algoritmi di assunzione discriminatori in base al Titolo VII del Civil Rights Act. Le dispute sulla proprietà intellettuale relative ai prodotti dell’I.A. possono essere risolte tramite il Copyright Act del 1976, che si è già adattato alle tecnologie in evoluzione. Allo stesso modo, le tutele dei consumatori, come il Fair Credit Reporting Act, forniscono rimedi.

Altre norme sono invece in fase di discussione e valutazione da parte del Congresso. A frenare tutto sono però le recenti elezioni con il cambio della guardia alla Casa Bianca e le preoccupazioni di alcuni che sostengono come eventuali rigide regolamentazioni governative potrebbero rallentare i progressi nel campo dell’I.A. Mentre per competere con i progressi strategici della Cina, gli Stati Uniti dovrebbero mantenere un approccio regolatorio leggero, incoraggiando l’innovazione e affrontando i rischi con misure flessibili.

L’Europa sul tema si è mossa per tempo tutelando i propri cittadini con l’European AI Act (Aia) che mira a stabilire standard globali elevati per la sicurezza dell’I.A. Allo stesso tempo però introduce oneri gravosi per valutazioni dei rischi e obblighi di trasparenza. I costi di conformità, stimati in 400mila euro ad azienda, potrebbero ridurre gli investimenti nell’I.A. in Europa del 20 per cento nei prossimi cinque anni. Piuttosto che stimolare l’innovazione, l’approccio dell’Ue, orientato alla regolamentazione, rischia di scoraggiare gli investimenti e di spostare talenti e capitali verso mercati meno restrittivi come gli Stati Uniti e l’Asia. Norme permettendo.

Quel che però va tenuto bene a mente è che il tema è molto delicato. Sul piatto, infatti, non ci sono “solo” questioni economiche ma i diritti delle persone. La loro vita. A dirlo non siamo noi ma il vincitore del Premio Nobel per la fisica, Geoffrey Hinton, noto anche come il “padrino dell’I.A.”, che ha avvertito dei rischi legati ai sistemi di intelligenza artificiale che superano l’intelligenza e sfuggono al controllo degli esseri umani, poiché questi modelli vengono integrati nei sistemi decisionali. Già oggi, ad esempio, possono indurre a decisioni umane errate. In futuro, si spera di no, far decidere ad una macchina se togliere la vita ad una persona o meno. Il controllo di questa tecnologia deve e dovrà quindi sempre restare nelle mani degli esseri umani. Ma allo stesso tempo normato e limitato. Specie se dovesse finire nelle mani di pochi.

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