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Home » Economia

Così il Coronavirus taglia le pensioni del futuro: fino al 3 per cento in meno

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Il crollo del Pil peserà sugli assegni futuri contributivi. Il tasso di capitalizzazione è legato all'andamento dell'economia degli ultimi 5 anni

Coronavirus e pensioni: cosa si rischia nel futuro per le contributive

L’emergenza Coronavirus e la crisi economica avranno un impatto significativo sulle pensioni dei prossimi anni, che potrebbero diventare più leggere. Le previsioni di questi giorni non sono incoraggianti per chi si avvia alla fine della sua vita lavorativa, soprattutto se l’assegno sarà misurato con metodo contributivo. La questione riguarda l’andamento del Pil, in netto calo del 2020, a cui è legata la rivalutazione contributiva.

S&D

La vecchia riforma Dini approvata nel 1995, che ha introdotto il sistema contributivo, ha previsto che i contributi versati per gli anni che rientrano nel nuovo metodo di calcolo vengano rivalutati con un tasso di capitalizzazione dato dalla crescita media del Pil dei 5 anni precedenti.

Ciò significa che le persone che andranno in pensione dal gennaio 2022 avranno una rivalutazione contributiva influenzata dal prodotto interno lordo del 2020. Una rivalutazione che sarà praticamente nulla. Il dato del crollo previsto del Pil oscilla tra l’8 per cento indicato nell’ultimo Documento di Economia e Finanza e il -9,5 per cento stimato invece dalla Commissione Europea.

Come spiega Il Messaggero, l’impatto per ora è contenuto, anche se non trascurabile: una riduzione lorda dell’assegno futuro che può arrivare a sfiorare il 3 per cento nel 2023 e poi destinata ad accentuarsi e a durare nel tempo. Chi ad esempio lascia il lavoro nel 2023 oltre alla inconsistente rivalutazione contributiva già applicata ne avrà un’altra connessa al Pil del 2021, che certo recupererà rispetto all’anno precedente, ma che sarà comunque molto più basso di quanto atteso, con un tasso di capitalizzazione pari allo 0,7 per cento circa mentre avrebbe sfiorato il 2 per cento.

Secondo una simulazione del Messaggero un lavoratore del 1956 che ha lavorato ininterrottamente dal 1980 lascerebbe il lavoro nel 2023 a 67 anni con una riduzione della quota contributiva del 2,7 per cento, che sul totale della pensione lorda vuol dire l’1,7 per cento in meno. Va precisato che in base a una legge approvata nel 2015 il tasso di capitalizzazione non può essere negativo.

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