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Immaginare l’Europa attraverso l’arte, l’architettura, l’enogastronomia: “The European Pavilion” a Roma

Immagine di copertina
EuPavilion Eight Proposals at Villa Massimo

Come potrebbe essere un Padiglione europeo all’interno di una esposizione universale, della Biennale di Venezia o di una fiera? Che aspetto e che significato potrebbe avere? Cosa conterrebbe? A queste domande hanno cercato di rispondere gli artisti, gli architetti, i curatori e i pensatori coinvolti nel progetto promosso dalla European Cultural Foundation, “The European Pavilion“, che ha presentato oggi, giovedì 17 novembre, a Roma, i risultati di quattro anni di incontri, studi e sperimentazioni, in cui i protagonisti coinvolti sono stati invitati a rappresentare l’Europa attraverso le forme in cui sono soliti esprimersi, dall’arte al cibo, dalla cultura all’architettura.

Una riflessione artistica, culturale, sociale e politica sul significato dell’identità europea in un’epoca in cui i nazionalismi da un lato e la guerra in Ucraina dall’altro hanno posto numerose sfide al progetto europeo, che dal 1954, anno che coincide anche con la fondazione della European Cultural Foundation, è in continua evoluzione. Co-organizzato a Roma dalla Fondazione Studio Rizoma, la manifestazione durerà fino al 19 novembre e si svolgerà in vari luoghi, dal Goethe Institut all’istituto Max Planck per la Storia dell’Arte, dall’Acadeémie de France all’Istituto Svizzero, fino Villa Massimo. È al Goethe Institut che si trovano le opere dell’anti-warcoalition.art, piattaforma online messa in piedi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che mette insieme e pubblica progetti artistici contro la guerra creati da artisti di tutto il mondo.

“Il messaggio dell’antiwar coalition è quello di supportare le persone ucraine nella loro lotta per la libertà con il lavoro artistico, ma le opere d’arte vanno contro ogni dittatura, guerra, repressione politica e militare, è su questo chiamiamo gli artisti ad esprimersi”, dice a Tpi Maxim Tymimko, uno dei curatori del progetto, che all’interno degli spazi del Goethe Institut passa per la prima volta dalla realtà digitale a quella materiale. Nato in Ucraina e cresciuto in Bielorussia, Tymimko sottolinea l’importanza di lottare contro ogni forma di repressione, e quella di trasformare i progetti realizzati nell’ambito dell’antiwar-coalition.art in installazioni da esporre e presentare in diverse capitali europee, da Berlino a Cracovia.

Un’installazione di Anti-warCoalition.art

Per Ludovica Carbotta, artista torinese delle Ogr di Torino, un altro dei luoghi di sperimentazione dello European Pavilion degli ultimi quattro anni, il Padiglione europeo non è un luogo statico, ma un oggetto che si muove insieme alle persone. “I come from outside myself” è il nome dell’opera d’arte emersa dalla sua riflessione: un machete. “Si fonda sull’idea che un padiglione non può racchiudere l’identità europea così frammentata in unico luogo. Per me il Padiglione europeo è un luogo che può contenere oggetti che le persone possono portare con sé, come un machete”, racconta Carbotta. Lo spazio delle ex “Officine Grandi Riparazioni” di Torino è stato trasformato allora in un laboratorio per riprodurre oggetti, che le persone potevano prendere e portare in tasca. “Un Padiglione come un’ambasciata che al posto di rappresentare un continente è un ambasciata del singolo”.

All’interno di Villa Massimo prende spazio invece the “EuPavilion Eight Proposal”, un’installazione virtuale realizzata dai curatori e architetti Marco Provinciali e Anna Livia Friel, in cui vengono riprodotte otto idee di Padiglione europeo che potrebbero essere esposte all’interno della Biennale di Venezia, dove esistono solo spazi dedicati alle singole nazioni. “Abbiamo chiesto a otto studi di architettura europei di formulare una proposta di progetto per un ipotetico padiglione europeo per la biennale di Venezia, un po’ perché il padiglione sembrava un oggetto architettonico che si presta bene alla ricerca formale e un po’ perché metteva in discussione il ruolo dei padiglioni nazionali all’interno di istituzioni come la biennale, interrogandoci sulla possibilità di sviluppare un modello diverso”, dice a Tpi Friel, ricercatrice all’Università di Vienna.

EuPavilion Eight Proposals at Villa Massimo

“L’invito a proporre questi progetti serviva a capire se c’era un tratto che connotasse una potenziale architettura europea, quello che ne è venuto fuori è che se c’è un carattere dell’architettura europea è più metodologico che formale”, continua Friel. “I progetti si dividono in due categorie: alcuni si concentrano sul padiglione come oggetto architettonico con un linguaggio di un certo tipo, altri come spazio pubblico, lo organizzano senza aggiungere architettura ma con elementi che definiscono i perimetri di uno spazio aperto”. Dalla ricerca non è venuto fuori un tratto architettonico specifico riconducibile a un’idea di Europa, ma un tipo di spazio condiviso presente in tutta Europa e che in Europa si è abituati a dare per scontato, ovvero quello della piazza e dello spazio pubblico aperto a tutti, “che fa parte della tradizione architettonica europea aldilà di linguaggi specifici o periodi storici”, conclude Friel.

Sempre a Villa Massimo i viticoltori di “Openope” presentano “The Borderless European Wine“, un vino realizzato con uve provenienti da vigneti italiani e francesi. Chardonnay italiano e francese e Riesling italiano per il bianco; Cabernet Sauvignon, Gamay e Barbera per il rosso. Un progetto che cerca di mettere insieme vignaioli di tutta Europa affinché riflettano sulle sfide del vino del futuro in vista degli effetti del cambiamento climatico. “Come si chiamerà lo champagne di domani se non sarà più possibile produrlo in Francia, ma in Inghilterra, per via dei cambiamenti climatici?”, si chiedono i viticoltori di Openope, con l’obiettivo di accompagnare i vignaioli nell’affrontare la crisi climatica, e promuovere l’idea che anche attraverso il vino si possa parlare di cosa è l’Europa.

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