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“Prigione n° 5”: la coraggiosa testimonianza dal carcere dell’attivista curda Zehra Doğan

Immagine di copertina

Zehra Doğan è un’artista, attivista e giornalista curda, condannata nel 2016 a tre anni di reclusione dalle autorità turche per un disegno raffigurante la città curda di Nusaybin, situata al confine con la Siria, dopo il bombardamento dell’esercito turco. Le sue opere sono state esposte al Peace Forum di Basilea, al Drawing Center di New York, alla Tate Modern di Londra, al Museo di Santa Giulia di Brescia, al PAC di Milano, all’Opéra de Rennes e alla Biennale di Berlino. Nel 2020 ArtReview l’ha inserita tra i 100 artisti più influenti al mondo.

Dai tre anni di prigionia è nato un progetto che finalmente vede la luce: “Prigione numero 5”, un libro che raccoglie i disegni realizzati nel periodo di detenzione a Dyarbakir, nella Turchia Orientale. Il diario dal carcere dell’artista è una testimonianza autobiografica di straordinario coraggio e profonda ingiustizia. “Prigione numero 5” (BeccoGiallo, 2021) è il risultato di un lavoro ostinato e creativo che ha trasformato quasi tre anni di reclusione in resistenza e lotta: una testimonianza unica e tragica, che uscirà in contemporanea mondiale in diversi paesi.

Nel 2016 Erdoğan dichiara lo stato di emergenza a seguito del golpe, ma gli abusi di potere nelle regioni curde si registrano già un anno prima. Zehra Doğan in quell’anno si trova a Nusaybin, una piccola cittadina turca, al confine con la Siria, prevalentemente abitata da curdi. Per tale ragione la città viene ridotta in macerie dai militari del governo. Travolta dalla rabbia, Zehra, armata di tavoletta grafica, raffigura ciò che vede: edifici semidistrutti dalle cui finestre sventolano bandiere turche. Il disegno, postato su Twitter, fa il giro del mondo e la sentenza di propaganda terroristica non tarda ad arrivare: per quasi tre anni Zehra rimane in carcere, nella prigione numero 5 di Diyarbakir. Una prigione inscritta nella storia del paese come un luogo di persecuzione, ma anche di resistenza e di lotta del popolo curdo. Nonostante la mancanza di materiale, sfidando muri e divieti, Zehra continua a disegnare, i suoi lavori vengono fatti uscire clandestinamente dal carcere. Per realizzarli, l’autrice utilizza materiali di fortuna, come gli avanzi di cibo, i capelli, il tè, il caffè e il sangue mestruale.

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