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“Mi ha fatto pena”: parla la giudice che ha dato l’attenuante della “delusione” per il femminicidio di Genova

Immagine di copertina
La giudice Silvia Carpanini e la vittima Jenny Reyes

"Niente può giustificare un omicidio, è chiaro. Ma c’è omicidio e omicidio, c’è dolo e dolo e non tutti gli omicidi prendono 30 anni di pena"

A Genova nell’aprile del 2018 Javier Gamboa ha ucciso a coltellate al petto la moglie Jenny Reyes perché non aveva mantenuto la promessa di lasciare l’amante. Il pm che aveva seguito il caso aveva chiesto trent’anni per il condannato, ma la pena è stata ridotta a sedici con rito abbreviato.

S&D

La giudice Silvia Carpanini ha concesso all’uomo le attenuanti generiche, ma la sentenza ha fatto molto discutere. Nella motivazione della giudice si legge che Javier Gamboa è stato mosso “da un misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento. […] ha agito sotto la spinta di uno stato d’animo molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile”

La sentenza è finita nel mirino delle critiche e in tanti hanno ricordato il caso di femminicidio dell’attenuante per “tempesta emotiva”.

La giudice Silvia Carpanini è stata intervistata dal Corriere della Sera e da La Stampa, dove ha avuto modo di commentare la discussa sentenza: “Niente può giustificare un omicidio, è chiaro. Ma c’è omicidio e omicidio, c’è dolo e dolo e non tutti gli omicidi prendono 30 anni di pena”.

“Ho preso una decisione ponderata e l’ho motivata con una sentenza. Si tratta del libero convincimento di un giudice, non c’è niente di cui discutere e men che meno c’è da polemizzare”.

“Non intendo giustificare quello che ho scritto. Basta leggere per capire che siamo dentro i confini del diritto, e per me è questo che conta. Del resto esistono strumenti precisi per esprimere contrarietà a una sentenza: se il pubblico ministero non è d’accordo può impugnarla” ha spiegato la Carpanini.

E ha aggiunto: “La gente è libera di criticare, fare, anche ritenere discutibile la mia decisione, per carità. Ma vale sempre e per tutti il fatto che bisognerebbe conoscere bene i casi prima di criticare”.

“Questo signore se n’era andato volontariamente in Ecuador proprio per lasciare spazio alle scelte della moglie. Lei lo fa tornare promettendogli un futuro e lui scopre invece che praticamente c’era l’amante in casa. Tutto nel giro di poche ore”.

Il magistrato ha ribadito: “Ci sono omicidi e omicidi, anche un killer può in qualche modo fare pena”.  Del resto “era un caso in cui non erano mai state contestate né la premeditazione né i futili motivi. Niente può giustificare un omicidio, è chiaro. Ma c’è omicidio e omicidio, c’è dolo e dolo e non tutti gli omicidi prendono 30 anni di pena” ha precisato la giudice.

“L’uomo non ha premeditato per giorni il suo raid, non ha infierito con trenta coltellate come mi è capitato di vedere in altre occasioni molto più truculente. Ha vagato per un paio di notti e si è lasciato catturare”.

La giudice ha concluso: “Non è scritto da nessuna parte che le attenuanti generiche non si debbano dare per i casi di omicidio. Devono essere date in relazione alle circostanze del reato e io ho semplicemente applicato norme che il codice prevede e l’ho fatto in modo argomentato. Ho ritenuto che si trattasse di dolo d’impeto e ritengo di aver motivato nel dettaglio la mia decisione. Punto

Giuseppe Maria Gallo, l’avvocato della famiglia della vittima, ha commentato: “Questa sentenza ha riesumato il delitto d’onore”. Il legale dell’omicida, Patrizia Franco, ha replicato: “No, il delitto d’onore non c’entra nulla. Il mio assistito è un poveretto, distrutto dal dolore, in carcere è arrivato a pesare si e no quaranta chili e la sua vita è finita al di là dei sedici anni di carcere. Non è solo pentito, è disperato. Le sentenze vanno contestualizzate”.

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