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Reportage dalla pazza estate italiana: tra bagagli smarriti, rimborsi negati e scontrini fiscali col contagocce

Immagine di copertina

La compagnia aerea che perde le nostre valigie. L’odissea col Servizio Clienti. Il tassista che non applica la tariffa comunale. Gli scontrini emessi col contagocce. Alessio Lasta ha viaggiato per noi tra Napoli e Cattolica per documentare le vacanze a ostacoli del 2023. Cronaca di un'estate sull’orlo di una crisi di nervi

I colori sono tanti ma la scelta giusta è una sola: lemongrass. Giallo fluo insomma. Pare sia il nuovo must dell’estate contro il logorio da bagaglio disguidato, ovvero consegnato in ritardo, danneggiato o smarrito. Quella cosa che, oltre alle madonne, tira giù l’umore di famiglie intere e adombra l’aplomb di businessmen in trasferta. Perché di fronte al nastro bagagli siamo tutti uguali. È un check up dei nervi gratis et amore Dei valido in tutto il mondo. 

S&D

Più aumentano i minuti del loop senza traccia di bagaglio e più cresce l’affanno, fino all’ultimo secondo in cui il nastro si ferma ed esce solo un liberatorio vaffanculo. È andata così, nel 2022, per 26 milioni di valigie in tutto il mondo, l’anno peggiore dell’ultimo decennio. 

I dati sono del report “Baggage It Insights 2023” di Sita, la società fornitrice globale di tecnologie per il trasporto aereo. In un anno, secondo lo studio, il numero dei “disguidi” è aumentato del 75%, passando da 4,35 ogni mille passeggeri nel 2021 a 7,6 nel 2022. Ventuno milioni le valigie arrivate in ritardo, 1,8 quelle smarrite o rubate e 3,2 quelle danneggiate o manomesse. 

Il volo dei trolley
A me è andata di sfiga il 22 giugno scorso sull’AZ1289 da Linate a Napoli operato da Ita Airways, la nuova compagnia italotedesca nata sulle ceneri di Alitalia e di cui Lufthansa ha rilevato il 40%. Arrivo al desk con il check-in già fatto online. Devo solo imbarcare il trolley. E chi lo poteva immaginare che il battesimo del lemongrass luggage sarebbe stato così di fuoco? 

Perché, nonostante il giallo fluo, il nastro di Capodichino non mi ha restituito alcun bagaglio al mio arrivo. Sono in bermuda blu, camicia di lino e un paio di tennis ai piedi. Nello zaino solo pc e beauty case. Allo sportello del “Lost&Found” consegno la tag del bagaglio. Dopo un controllo ecco la risposta: «Non risulta da nessuna parte. Forse è rimasto a Linate». 

Mi giro e alle mie spalle c’è una massa di valigie disguidate da tutto il mondo. «E non sa quanti aerei vuoti di passeggeri, ma pieni di bagagli, sia Lufthansa che Ita mandano qui in una settimana. Ci sono problemi con l’handling anche a Monaco di Baviera», mi dice l’impiegata dello sportello.

Avanzo una domanda: «Ho un appuntamento di lavoro a Ischia tra due giorni e ho bisogno degli abiti che sono dentro la valigia. Vado comunque sull’isola o aspetto qui?». Risposta: «Per le isole la consegna è fino a 48 ore da quando il bagaglio arriva. Aspetti i voli delle 19 e delle 23, magari hanno imbarcato il suo bagaglio su quelli». Mi sembra una prospettiva saggia benché allucinante, visto il luogo: nessuna presa elettrica per ricaricare il telefono, solo un distributore automatico di junk food e soft drink, robe che fanno a botte con il mio reflusso, ma tant’è. Dunque decido di aspettare. 

L’impiegata del “Lost&Found” mi allunga un foglio: «Consulti Worldtracer, il sito di ricerca bagagli smarriti», mi dice. «Qui sopra invece c’è il numero di Ita per informazioni». Consulto il sito. Ma l’esito è negativo. Chiamo il numero del “call center Ita Airways from Italy”. Compongo le cifre che trovo scritte: 06800936090. Dall’altra parte: «Il numero da lei chiamato non è attivo». Lo guardo meglio. Uno 06 davanti a un 800? Ma quello è un numero verde e quel prefisso deve essere un errore di chi ha scritto il modulo. Faccio un tweet e taggo Ita. La risposta arriva in privato: «Puoi inviarci il codice che ti ha fornito il “Lost&Found?”». 

Passano le ore. Per due volte mi sottopongo al brivido del nastro bagagli. Ma né il volo delle 19 né quello delle 23 hanno in pancia la mia valigia. Alle 23.45 sono costretto a prenotare un hotel. Prezzi folli in tutta Napoli. Mi sento fortunato ad aver trovato una singola a 134 euro al Capodichino International Hotel, che prima si chiamava Hotel Capodichino e poi evidentemente si è voluto dare un tono. 

Prima di andare a dormire controllo il sito Worldtracer e magicamente compare il mio bagaglio, in consegna il giorno dopo con il volo in arrivo alle 8.30 da Linate. La mattina seguente la coda di turisti stranieri rimasti senza valigia è già lunga. Si parla a un citofono, dando il numero di pratica e il nome. Finalmente la mia valigia è nelle mie mani. Ora il taxi. 

Poveri forestieri
Devo andare al molo Beverello, da dove partono gli aliscafi per Ischia. Taxi numero 2603. «Per il Beverello, c’è la tariffa fissa a 21 euro giusto?». «No», mi risponde il tassista. E inizia a darmi la stessa versione che un mese prima mi aveva dato un suo collega, a riprova che la scuola di recitazione napoletana è ancora ad altissimi livelli: «La tariffa fissa c’è se facciamo il centro, ma ci mettiamo un’ora. Se vuole andare dritto al Beverello in venti minuti ci siamo, ma a tassametro».

Tutti questi mutetti, queste scuse, questi lamenti a libro paga dei cittadini, provocano talmente tanto il mio self control, che invece di alzarmi e andarmene, faccio l’errore di voler capire. Perché se ti intigni a Napoli sei fregato più di quanto tu non debba mettere in conto appena ci metti piede. È una specie di Welfare State alla pummarola ‘ncoppa, per cui di norma ‘o bancomàt non funziona, quindi cash e se chiedi la tariffa fissa «sì nu strunz», come se non fosse stata approvata dal Comune e fosse solo un’illusione di noialtri poveri forestieri capitati per errore nella landa delle fregature.

«Per il molo Beverello, il porto e piazza Municipio c’è la tariffa fissa a 21 euro», dico. Risposta: «C’è il supplemento aeroporto di 5 euro». Peccato invece che la tariffa comprenda ogni extra: notturno, festivo, bagaglio, animali, supplemento aeroporto. E peccato sia esposta proprio nel suo taxi. Risposta del tassista: «Si tratta di 5 euro in più, non è tanto». 

Giunti al molo, prima di scendere, chiedo la ricevuta. 2603 rovista tra decine di foglietti stropicciati, già con il prezzo scritto a penna, nel mio caso 25. «Le faccio lo sconto di un euro». Mi allunga un foglietto con la data del 21 aprile 2023.

Accortosi che stavo scoppiando, come la moka quando ti dimentichi di metterci l’acqua, me lo toglie dalle mani e suo malgrado apre il blocco delle ricevute numerate della cooperativa taxi “La Futura”. Compila la numero 143588. Si vede che, più che fargli fatica, compilare la ricevuta numerata gli faceva reddito. Del resto le tasse sono «un pizzo di Stato» verso i piccoli commercianti, no? 

E allora decido che è giunto anche per me il tempo di sostenere l’economia del Paese. 

Sfogliatella amara
Al Caffè Beverello, snack bar e tabacchi della società Atlantis srl, pago un’acqua piccola, un caffè del nonno, aka “crema di caffè” e una sfogliata, aka “sfogliatella napoletana classica”. Totale: 5 euro e 50. Cash. Ma mentre addento la sfogliatella l’occhio troppo impiccione mi va sullo scontrino emesso. Leggo: «Preconto. Asporto #494». Poi guardo l’orologio. Sono le 11 e 21.

Il bar apre alle 6 di mattina. In cinque ore e ventuno minuti quasi 500 scontrini non fiscali. Anche considerando un solo euro a scontrino in cinque ore sono quasi 500 euro. Quanti di questi “preconto” diventano poi scontrini fiscali? 

La risposta, mentre mi rimetto in fila verso la cassa e lo richiedo, me la dà il progressivo del mio, che si trova in basso, subito dopo le quattro cifre che identificano il codice di azzeramento, nel mio caso 1369, ovvero i giorni in cui quel registratore di cassa è stato operativo. Il numero più interessante è però quello che segue subito dopo e che indica il progressivo degli scontrini battuti. Alle 11.50 il mio era il numero 2. Due soli scontrini fiscali in sei ore di attività, con preconti arrivati a quota 543. Alla faccia del bicarbonato di sodio, direbbe quello. 

Ma se pensate sia solo una cosa di Napoli potreste sbagliarvi. Nella Romagna colpita dalla tremenda alluvione le cose non vanno meglio. 

Romagna mia
Cattolica, bagno “Giorgio” numero 75. «Un ombrellone e un lettino per una giornata», gli dico. «Il 158, dopo la quarta fila. Viene 22 euro, ti faccio 20». Pago cash e mentre guardo il registratore di cassa acceso e aspetto lo scontrino mi dice: «Non funziona. Te lo porto più tardi all’ombrellone». Mai pervenuto, ovviamente. 

In un attimo mi è venuta in mente tutta la retorica delle “Romagna mia” di questi ultimi mesi, dei “Romagnoli popolo eletto” su Instagram, che le maniche se le sono tirate su, c’è da dirlo, ma evidentemente hanno fatto in fretta a farle torna lasse, quando si può incassare esentasse.

Danno più beffa
Che estate pazzesca. Con i prezzi di Miami, i servizi da terzo mondo e i guadagni invisibili al fisco. Tuttavia penso che in tutto questo casino tra leggi, codice civile, regolamenti europei e convenzioni internazionali ci possa essere un ristoro per il bagaglio arrivato in ritardo e la notte in albergo non preventivata. Per il malcostume della piccola evasione. 

Ma non è semplice come sembra. Qualche giorno dopo la disavventura con la valigia sono stato contattato dal customer care di Ita, dopo la mia richiesta di rimborso: 163 euro e 50 centesimi tra hotel, aliscafo e caffetteria. Mi si dice che secondo la convenzione di Montreal, che regola le compensazioni nel caso di bagagli disguidati, «non possiamo rimborsare nessuna delle spese da lei sostenute perché non si tratta di beni di prima necessità».

Provo a insistere: «A mezzanotte un hotel non è un bene di prima necessità?». Risposta: «Restare in aeroporto è stata una sua scelta. Poteva dormire nell’hotel prenotato a Ischia e noi le avremmo consegnato lì il bagaglio». Certo. Con tempi fino a 48 ore dall’arrivo della valigia, quando ormai non mi sarebbe servita più.

È finita che Ita mi ha proposto un voucher da 163 euro e 50 centesimi per l’acquisto di nuovi voli della compagnia. Una soluzione che ho rifiutato per principio. 

«Purtroppo le convenzioni internazionali non coprono tutti i danni che i passeggeri possono subire», spiega Mauro Antonelli dell’Unione Nazionale Consumatori. «Per la convenzione di Montreal sui bagagli non si ha diritto a un rimborso, se non per beni di prima necessità tra cui non rientra l’hotel.

Il paradosso è tutto qui: in casi del genere per ottenere un ristoro del danno si deve avviare un procedimento giudiziario, perché un comportamento colposo da parte del vettore è sempre fonte di risarcimento del danno ingiusto subito». 

Ristori economici sono previsti dal regolamento comunitario 261/04 nel caso di ritardi a partire dalle tre ore o cancellazioni di voli per circostanze imputabili al vettore aereo. Si va da un minimo di 250 euro per voli fino a 1.500 km fino a un massimo di 600 euro per voli superiori ai 3.500 km.

«Le cifre delle compensazioni sono ferme da anni e non tengono conto dell’inflazione che avrebbe dovuto spingere in su anche i ristori», continua Antonelli. «Se l’entità dei rimborsi è poco significativa non ha una funzione di deterrenza. Se i costi degli indennizzi pagati dai vettori sono inferiori a quelli sostenuti per il miglioramento del servizio nessuna compagnia sarà incentivata a percorrere questa seconda strada». 

Open to meraviglia
Alla fine di questo folle mese di viaggi ho appreso che: lemongrass o meno, se si dimenticano di spedirti il bagaglio sono colori tuoi; se prendi un taxi la tariffa fissa, benché prevista, è considerata quanto il due a briscola; se chiedi la ricevuta commetti un oltraggio a pubblico ufficiale; se alle undici di mattina ti spari una sfogliatella sei il preconto numero 494, ma lo scontrino fiscale numero 2. Se non ti arriva il bagaglio le mutande te le rimborsano, ma se sei costretto a prenderti un hotel per non dormire sotto le stelle puoi attaccarti al tram. Anzi all’airbus. Davvero open to meraviglia questa bella Italia.

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