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È morto Paolo Marzotto, uno dei capostipiti di una dinastia di imprenditori

Immagine di copertina
Paolo Marzotto

È morto Paolo Marzotto, capostipite di una dinastia di imprenditori

Due giorni fa, il 25 maggio, all’età di 89 anni si è spento l’imprenditore Paolo Marzotto, l’ultimo in vita fra i figli maschi di Gaetano Marzotto, uno dei capostipiti della dinastia tessile di Valdagno.

Nato a Valdagno il 9 settembre 1930, Paolo era gradualmente uscito dall’azienda tessile di famiglia per dedicarsi alla sua passione per la produzione del vino, con la sua azienda Baglio di Pianetto. È stato un mecenate. Negli anni ’50 e ’60 fu ideatore e organizzatore dei Premi Marzotto e continuò anche nei decessi successivi ad occuparsi di arte e cultura. Dal 1989 al ’99 lo fece con il Comitato Italiano del World Monument Fund, poi trasformatosi nel 2000 in Arpai di cui era presidente.

Uomo poliedrico, Paolo Marzotto ha saputo affiancare al lavoro grandi passioni. In gioventù fu un pilota automobilistico. A bordo di Ferrari era capaci di sfrecciare a quasi 300 chilometri all’ora a Le Mans o alla Mille Miglia, duellando con il fratello Giannino. Erano considerati i più veloci tra i “conti volanti” della famiglia, protagonisti di sfide al voltante e nel mondo degli affari.

Dal primo matrimonio con Florence Daniel, compagna di una vita scomparsa nel 2012, Paolo aveva avuto due figlie, Dominique e Veronica, quest’ultima presidente della Fondazione Marzotto. Ebbe seconde nozze con Caroline.

Fino a poche settimane fa Paolo Marzotto era in buona salute. Ad aprile aveva aderito alla campagna “#pensAci” lanciata dall’Automobile Club per raccogliere fondi per la sanità per la lotta al Coronavirus. È morto nella sua casa di Monte Berico, a Vicenza.

Con lui se ne va un simbolo dell’imprenditoria del Veneto, e di una regione capace di rialzarsi dalle macerie della guerra con una straordinaria voglia di crescere. “Noi tutti – aveva raccontato pochi mesi fa – abbiamo cercato di portare avanti l’impresa di nostro padre, dal momento in cui divenimmo 18enni venimmo immersi negli affari. Papà era deciso, inizialmente ci diceva cosa fare e dove andare. Essere imprenditori allora voleva dire essere in fabbrica con un contatto costante coi dipendenti: la cosa bella è che oggi, a distanza di tanti anni, i nostri ex dipendenti si ricordano di noi e sono contenti di salutarci”.

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