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    “Abbiamo provato a salvare le persone nelle macchine, ma era impossibile”: la storia di Alejandro, il primo soccorritore dopo il crollo del ponte Morandi

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 3 Ago. 2020 alle 13:51

     

     

    Era la mattina del 14 agosto 2018 quando il pilone 9 del ponte Morandi di Genova franò su se stesso in seguito ad un forte temporale. Quel drammatico giorno a non più di 200 metri in linea d’aria dal ponte stava lavorando Alejandro Cordova, tra i primi a raggiungere il luogo del disastro e prestare soccorso. “C’era un forte odore di cemento. Davanti ai nostri occhi una scena da film: macchine sparpagliate qua e là, silenzio assoluto e il rumore della pioggia”.

    “Ci siamo poi sparpagliati per vedere se riuscivamo a recuperare qualcuno vivo tra le macchine”, racconta Cordova. “Sentivamo persone rantolare, ma non riuscivano a risponderci a parole. Abbiamo provato ad aprire le portiere, ma non ci siamo riusciti. Per cui per qualche giorno ho avuto un forte rimpianto: purtroppo però non potevamo fare di più.

    Ogni tanto, tutt’ora, ripenso a quel giorno: ho imparato a dare più senso alle piccole cose, alla mia famiglia, all’anima. I familiari delle vittime oggi non hanno nulla da festeggiare. Per la zona sicuramente sarà un’occasione per la riqualificazione, ma quello che è accaduto quel 14 agosto non deve essere dimenticato. Non dovevano morire 43 persone per avere un nuovo ponte”, aggiunge il primo soccorritore dopo il crollo del ponte Morandi.

    Il video è una co-produzione Stampa – TPI. Intervista: Davide Lessi e Emanuela Barbiroglio. Riprese: Matteo Montaldo. Montaggio: Stefano Scarpa

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