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La lettera dal carcere di Ilaria Salis: “Sono in un buco nero ma so di essere dalla parte giusta della storia”

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“Apro gli occhi e mi scorgono rannicchiata sulla grigia coperta, con lo sguardo fisso sulla porta di ferro della cella. Tutto mi appare semplice e lineare in queste vicende, come in molte altre, non può esserci alcun dubbio su quale sia la parte giusta della storia”.  Sono parole scritta da Ilaria Salis, la 39enne italiana detenuta in Ungheria dal febbraio 2023 con l’accusa di aver aggredito due neonazisti.

Ieri La Repubblica e il Tg3 hanno pubblicato in esclusiva una lettera inedita scritta in carcere da Salis, una sorta di diario della sua prigionia in cui la donna torna con la menta a marzo dell’anno scorso, durante la detenzione nel carcere di massima sicurezza di Budapest.

“Mi sto abbastanza abituando a stare qui e non credo che sia merito mio, ma che questi questi posti siano fatti in modo tale che le persone si abituino a starci”, scrive l’antifascista italiana. “Lo scorrere del tempo è davvero strano: le singole giornate sono interminabili, ma i giorni si susseguono rapidamente e mi sembra sempre di essere stata arrestata la settimana scorsa”.

“Non ho la percezione di essere lontana da Milano da più di un mese”, riflette Salis. “Gli avvenimenti, le persone, i luoghi di fuori li sento vicini e vivi dentro di me. Forse il fatto che non ricevere notizie dall’esterno e di non avere nessun contatto con il mio mondo mi fa sentire in una specie di bolla sospesa. (…) Quando sei ‘dentro’ il ‘fuori’ cessa di esistere. Entri nella bolla e il mondo esterno si dissolve, entra in stand-by”.

La donna descrive le sue sensazioni citando il fumetto a lei dedicato da Zerocalcare sul settimanale Internazionale. “I mesi – scrive  – sono lunghi e accade che la bolla si trasformi in un buco nero che ti risucchia. Prendendo in prestito una metafora che leggerò parecchi mesi dopo in un bellissimo fumetto dedicato alle mie vicende, sono caduta in un pozzo profondissimo. Le pareti sono scivolose ed ogni volta che faticosamente cerco di compiere un breve passo per risalire appena un pochino, finisco sempre col precipitare più in profondità. A volte mi chiedo se questo pozzo abbia un fondo e se da qualche parte ci sia davvero un’uscita”.

Ma nella lettera non manca ovviamente il punto di vista politico: “Chiudo gli occhi e lancio lo sguardo oltre le mura di questo cieco carcere”, si legge. “Scorgo le vicende di uomini e donne come ricambi in tessuti su arazzi che raffigurano storie più ampie. Storie di popoli, di culture, di lingue e di religioni. Storia di sistemi economici, politici e giuridici. Storie di ricchezza e di miseria, di potere, di sopraffazione e di sfruttamento. Storie di guerre e di eserciti. Storie di un mondo in cui ancora si uccidono bambini, in cui alle quarte d’Europa risuonano mitraglie che riecheggiano gli scempi del secolo scorso”.

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