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Famiglia nel bosco, i giudici: “Uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale”

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Nathan Trevallion e Catherine Birmingham. Credit: Screenshot da "La Vita in Diretta", in onda su Rai 1

Non solo la mancata socializzazione dei bambini, gli ambienti insalubri del casolare e l’home schooling non riconosciuto: il tribunale dei minori de L’Aquila sottolinea anche la violazione del "diritto dei minori alla riservatezza e alla tutela dell’identità personale"

Sono diverse le motivazioni che hanno portato i giudici del Tribunale dei minori de L’Aquila al ricollocamento dei tre minori della cosiddetta famiglia nel bosco. Nell’ordinanza, infatti, oltre alla mancata socializzazione con bambini alla pari, gli ambienti insalubri del casolare e l’home schooling non riconosciuto, colpiscono altri due punti: la richiesta di 150mila euro da parte del padre Nathan Trevallion per dare il suo consenso alle visite neuropsichiatriche e alle analisi del sangue per i figli e l’esposizione mediatica alla quale sono stati sottoposti i minori al fine di ottenere un risultato in sede processuale.

Dopo aver dichiarato piena collaborazione e annunciato di aver individuato una nuova abitazione, infatti, Catherine Louise Birmingham e Nathan Trevallion, infatti, hanno interrotto qualsiasi collaborazione con i servizi sociali, impedendo l’accesso agli operatori, impossibilitati a verificare le condizioni dei bambini. Nel frattempo, però, i genitori dei bambini hanno permesso a operatori tv e giornalisti di documentare la vita dei propri figli. Tra questi c’è anche un servizio andato in onda su Le Iene, in cui viene raccontata la quotidianità della famiglia nel bosco. Nel servizio, scrive il giudice, “sono state descritte le condizioni di vita della famiglia, violando il diritto dei minori alla riservatezza e alla tutela dell’identità personale”.

Nell’ordinanza, inoltre, si fa riferimento anche a “pubblicazioni cartacee, on-line e televisive, social media”, di altre testate con “diffusione dei dati idonei a consentire l’identificazione dei minori, diretta, anche attraverso la pubblicazione di foto che li ritraggono, o per il tramite delle generalità e della residenza dei genitori”. Nell’ordinanza, dunque, si sottolinea che “i genitori, con tale comportamento hanno mostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale a essi favorevole in un procedimento de potestate, nel quale assumono una posizione processuale contrapposta a quella dei figli e in conflitto di interessi con gli stessi. E tale risultato processuale è da essi perseguito non all’interno del processo, avvalendosi dei diritti garantiti alle parti dalla legge processuale, ma invocando pressioni dell’opinione pubblica sull’esercizio della giurisdizione”.

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