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“Qui è peggio dell’Ilva”: nell’area Eni di Livorno più malformazioni che a Taranto

Immagine di copertina

Il sito dove sorge la raffineria Eni è uno dei 42 più inquinati d'Italia. La bonifica ordinata dal ministero è ferma alllo 0%, eppure proprio qui il Cane a sei zampe e la Regione Toscana vogliono costruire un nuovo impianto per produrre metanolo bruciando plastica

“Le racconto una cosa che può far sorridere. Ha presente quando, dopo che si va in bagno, si aprono le finestre per arieggiare? Ecco, pensi che nelle nostre case, certi giorni, preferiamo tenere la finestra chiusa e sopportare l’odore degli escrementi: la puzza che arriva da fuori è peggio”.

Stefano mi sta spiegando del perché ha deciso di trasferirsi in un’altra provincia: ha 40 anni e vorrebbe diventare padre, ma insieme alla compagna ha concordato che questo non è un posto dove crescere dei bambini.

Siamo a Stagno, frazione del Comune di Collesalvetti, una manciata di chilometri dal centro di Livorno. Questa è una delle 42 aree più inquinate d’Italia: il ministero dell’Ambiente le chiama in gergo “Siti d’interesse nazionale” (Sin) e nel 2003 ne ha ordinato la bonifica. Ma qui di bonifica non c’è nemmeno l’ombra. In diciott’anni non è stato fatto nulla per la messa in sicurezza: “zero per cento”, c’è scritto sulle tabelle ministeriali.

A occuparsene dovrebbe essere l’Eni, proprietaria del 95 per cento dell’area. Qui sorge infatti una delle più antiche raffinerie d’Italia, raccontata incidentalmente anche al cinema nel film cult “Ovosodo” (1997) del regista livornese Paolo Virzì.

È quell’impianto la causa dell’inquinamento? Probabile, ma un nesso di causalità non è mai stato ufficialmente stabilito, dato che la Regione Toscana non ha ancora eseguito quello studio epidemiologico sul territorio chiesto all’unanimità dal Consiglio regionale nel 2014 e sollecitato da anni dalla cittadinanza, snervata da cattivi odori, polveri tossiche, morti di cancro e malformazioni da record. E, come se tutto ciò non bastasse…..
Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

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