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    L’assurdo suicidio di Napoli tra Covid e movida. I medici a TPI: “A breve non potremo curare tutti”

    Credit: Emanuele Fucecchi
    Di Flavio Pagano
    Pubblicato il 9 Nov. 2020 alle 12:59 Aggiornato il 9 Nov. 2020 alle 13:00

    “La situazione qui è semplicemente disastrosa”, riferisce a TPI una figura di primo piano di un importante ospedale napoletano, “abbiamo aumentato i posti ma ugualmente siamo andati subito in esubero per l’eccesso di ricoveri con pazienti bisognosi di ossigeno. Reparti interi convertiti ai tamponi non riescono a soddisfare la richiesta. Una significativa percentuale dei medici è positiva, e continuamente ricoveriamo in reparti non Covid pazienti che nel giro di uno due giorni si rivelano positivi e dobbiamo trasferirli”.

    È un grido di disperazione quello lanciato da chi combatte in prima linea, eppure, proprio mentre questo grido viene lanciato, c’è un’altra Napoli che festeggia, “approfittando” del tepore di questi giorni d’autunno. Inutile nasconderlo, alcuni napoletani delle regole se ne fregano: e spesso amano farlo. Taluni professano addirittura una sorta di orgoglio dell’illegalità, un delirio edonistico-delinquenziale che trasforma l’impunito in una sorta di mitico marpione. Ma questa volta in città è arrivato un giustiziere spietato: il Covid. Che non solo punisce chi le regole le vìola, ma anche chi le rispetta. Il leggendario “tiriamo a campare” napoletano potrebbe presto non far sorridere più. Filosofia spicciola, battute e ironia non basteranno a salvare questa città eternamente dai due volti, perché stavolta il dualismo non è lo scarpettiano “Miseria e Nobiltà”, ma quello di follia e ragione, inganno e verità, vita e morte.

    Alla domanda di come il personale sanitario reagisca ai comportamenti della gente che si riversa nelle strade e passeggia in riva al mare spesso senza precauzioni e creando enormi assembramenti, la risposta dei diretti interessati arriva di slancio: “Siamo stomacati, disgustati, inorriditi dal comportamento di questi irresponsabili. Personalmente ho smesso di informarmi sui numeri complessivi dell’epidemia”, spiega un medico a TPI. “È una vergogna vedere che c’è gente che va al mare, mentre noi siamo ridotti così. Perché quelli che sono adesso in giro, diventeranno pazienti. E non potremo curarli. È gente folle, che finge di volersi godere la vita, ma in realtà la disprezza e la calpesta. Ed è allucinante che nessuno intervenga”.

    A tutto questo, infatti, si aggiunge l’inerzia della politica che, a dispetto di dichiarazioni tonanti e spettacolari prese di posizione mediatiche, si rivela totalmente incapace, a tutti i livelli, di gestire la situazione. Il risultato è che si va configurando uno scenario da dopoguerra. Passeggiando per il centro storico si avverte un’insolita calma, ma basta spostarsi a Chiaia, al Vomero (ad appena qualche chilometro dalla zona ospedaliera), sul lungomare, per vedere in azione l’esercito degli incoscienti. Che si ammassano in branchi, prendono i ristoranti d’assalto, e spesso ignorano la mascherina. Il Cotugno intanto è preso d’assalto. Si fanno attese in auto di 24 ore davanti al pronto soccorso, e gli infermieri arrivano a portare all’esterno le bombole d’ossigeno per chi ne ha immediato bisogno, e aspetta il ricovero.

    Il 118 non riesce a far fronte a tutte le richieste e il costo di un’ambulanza privata per il semplice trasporto urbano domicilio-ospedale è arrivato a 600 euro. Un medico di un altro ospedale collinare definisce la situazione “una tragedia”, e spiega a TPI perché questa seconda ondata è molto più pericolosa della prima: “Nella prima ondata uscivamo dall’inverno, ora ci entriamo e quindi da un momento all’altro si sovrapporrà il virus influenzale con conseguenze gravissime. Inoltre, mentre la gente prima era impaurita, oggi sembra aver preso confidenza con il pericolo. Invece che venire allarmata e ammonita dalle autorità, viene rassicurata dalla narrazione mediatica spesso buonista del virus e dalle brillanti guarigioni di atleti e personaggi famosi. Abbiamo migliorato i protocolli di cura, ma il virus colpisce duro. Una cosa è rischiare di prenderlo, un’altra è contrarlo davvero. È lì che avviene il cambio, che si aprono gli occhi: quando è troppo tardi. Ma c’è un’altra ragione, a mio parere, ed è la mancanza di linee guida centralizzate, univoche e chiare”.

    In effetti in Campania c’è una situazione pazzesca, con il governatore De Luca e il sindaco di Napoli De Magistris, entrambi attivissimi e sovresposti mediaticamente, ma del tutto inoffensivi operativamente, che si fanno la guerra tra loro, anche a suon di insulti da taverna, mentre sono pure in conflitto con il Governo di Roma. “A dispetto di un miglioramento nella gestione della malattia”, riprende lo stesso medico, “la situazione campana è molto più preoccupante di quello che avveniva in Italia nella prima ondata. Siamo esposti a conseguenze imprevedibili. Se l’epidemia sfuggirà di mano, non potremo curare tutti e la mortalità diventerebbe spaventosa. Grazie all’esperienza acquisita nei mesi passati avremmo potuto controllare la situazione molto meglio, invece ci ritroviamo con più mezzi e più cure, ma in una situazione peggiore: ed è questo che fa più rabbia”.

    In effetti, fino praticamente alle elezioni la narrazione politica era che la città fosse “totalmente sotto controllo”. Ma magicamente, finite le elezioni regionali, è scoppiato il finimondo. La realtà è che nessuno può aiutare i napoletani, come tutti gli italiani, più che loro stessi. Solo l’autoregolazione e il rispetto maniacale delle norme di prevenzione ci possono salvare dal baratro. La leggenda vuole che Napoli e i napoletani sopravvivano a tutto, ma forse per una volta ispirarsi a “io speriamo che me la cavo”, non servirà a niente. Perché stavolta il nemico della città è l’unico che lei non può battere: se stessa.

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