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Costretta a lasciare l’azienda dopo il secondo figlio: “Se torni al lavoro ti faremo morire”

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Costretta a lasciare l’azienda dopo il secondo figlio: “Se torni al lavoro ti faremo morire”

“Il vero problema è che quegli episodi si ripetono praticamente in tutti gli ambienti di lavoro”. Minacciata e poi costretta a lasciare il lavoro dopo la nascita del secondo figlio: quattro anni dopo aver denunciato il mobbing dell’azienda per cui lavorava, una 42enne è tornata a raccontare la sua storia al Corriere della Sera. “Ho ripreso a vivere la mia vita, personale e lavorativa, ma ogni tanto il pensiero ritorna a quel periodo e a quei fatti e qualche volta sogno di trovarmi ancora in quella situazione e mi sveglio di soprassalto”, ha detto “Chiara” (nome di fantasia) al quotidiano a cui aveva denunciato nel 2019 le pressioni dell’azienda per convincerla a dimettersi e a rinunciare ai benefici di legge per la sua seconda maternità. “Ti conviene accettare l’offerta. Se rientri al lavoro ti faranno morire”, era stato il consiglio del consulente.

S&D

“Su consiglio dell’avvocato e considerando i costi che quella vicenda stava imponendo alla mia famiglia, ho deciso di arrendermi”, ha dichiarato nell’intervista pubblicata oggi, in cui ha raccontato di essersi dimessa prima del compimento del primo anno della bambina, sulla base di un accordo che prevedeva una buonuscita e il riconoscimento da parte del datore di lavoro di averle procurato un danno biologico. “Ecco, quando ho sentito pronunciare quella frase, lo voglio dire ancora oggi, ho provato l’unica gioia di tutto quel periodo orribile”, ha sottolineato ricordando anche le ricadute di quella vicenda nella sua vita personale: “non uscivo più, non vedevo nessuno, rispondevo male al mio compagno, a mia mamma, anche il primo figlio cominciava a mostrare di risentire di quelle tensioni”. Da lì la decisione di accettare l’offerta: “ho accettato quella sconfitta mettendo, però, sul piatto della bilancia la qualità della vita di tutta la famiglia”.

Anche in altri posti di lavoro ha però incontrato vicende simili alla sua. Un caso riguarda “una collega con quattro figli” scivolata “in una crisi depressiva a causa di una serie di tensioni familiari”. “Il capo ha letteralmente cambiato faccia, ho visto le stesse dinamiche che avevo subito io, l’ha fatta chiamare per rimproverarle una cosa persino mentre si trovava in degenza”, ha ricordato. “Volevano indurla ad andarsene”. Ha quindi scelto di trovare un nuovo posto di lavoro, in cui le hanno mostrato comprensione per le sue esigenze familiari. Anche lì però ha scoperto che in passato una collega rimasta incinta è passata per le stesse pressioni da lei subite. “Non se ne esce”, ha commentato. “Visto che ci chiedono di fare figli, dovrebbero offrire condizioni favorevoli. Io con due nonne di supporto ce la faccio soltanto perché ho scelto il part time. Ma c’è gente che lavora praticamente soltanto per pagare la baby-sitter. È evidente che qualcosa non funziona come dovrebbe”.

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