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TPI intervista gli studenti di 4 licei che marciano per il clima: “Greta ci ha convinto perché non ha colore politico”

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Studenti manifestano per il clima davanti al Colosseo, a Roma. Credit: Andreas SOLARO / AFP

Parlano i ragazzi che il 15 marzo sono scesi in strada per manifestare contro il cambiamento climatico

Michele ha 17 anni ed è al quarto di Liceo Scientifico, ma se ha a cuore il clima non è per quello che gli insegnano nell’ora di scienze. E neanche in quella di storia. Di clima se ne parla nelle pause, o di pomeriggio, nelle assemblee, negli spazi che gli studenti della sua e delle altre scuole di Roma si sono creati a partire dall’inizio di quest’anno scolastico, quando sull’onda del movimento inaugurato dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, l’azione contro i cambiamenti climatici ha iniziato a inserirsi nell’agenda delle mobilitazione studentesche.

Michele al liceo Cavour di lotte ne ha fatte tante, da quelle per l’uguaglianza di genere a quelle contro il disinvestimento nella scuola pubblica, ma – dice a TPI – non aveva mai visto così tanto coinvolgimento in primavera, quando di solito in piazza non scende più nessuno, e da parte di persone normalmente lontane dalla politica.

“Gli studenti che in genere non riusciamo a coinvolgere, disinteressati a tutti i temi su cui ci battiamo di solito, sentono quella del clima una questione propria e attualissima”, perché é reale e basata su fatti concreti. “È un fatto che tra 30 anni faremo a gara tra chi ha più petrolio, inondati dall’acqua che ci sovrasterà per l’innalzamento delle maree, se non facciamo qualcosa”, aggiunge.

E tra 30 anni lui, Greta e gli altri centinaia di migliaia di studenti che in questi mesi hanno gradualmente aderito al movimento dei Fridays for Futures fino ad arrivare allo sciopero di venerdì 15 marzo, saranno adulti, forse avranno dei figli. Saranno loro a subire le conseguenze di quello che succederà all’aria e all’acqua se non si agisce adesso. Ed ecco perché sentono questa responsabilità tutta loro, a prescindere dal colore politico della lotta.

“Quando si è seduta davanti al Parlamento svedese, Greta non aveva simboli, e non ne ha mai avuti”, continua Michele, “e dopo 29 settimane le persone sono ancora qui forse perché non hanno visto nessun altro colore a parte il verde”, continua Michele, che per citare argomentazioni a sostegno della causa si serve di dati e fatti. “Nessuna stima si allontana troppo dai 50 anni come tempo che ci separa dalla catastrofe”, dice un po’ incredulo e un po’ divertito.

La forza propulsiva della mobilitazione di studenti giovani e giovanissimi che è arrivata a coinvolgere più di 82 paesi dalla Svezia alle Filippine, secondo Michele e gli altri ragazzi in prima linea nell’organizzazione delle mobilitazioni per il clima, dipende in parte dall’assenza di ideologie e opinioni prestabilite, che spesso allontanano gli studenti dall’attivismo.

Lo spiega anche Maria, rappresentante di un altro liceo scientifico di Roma, il Morgagni, di quasi un anno più grande di Greta Thunberg, alla quale è grata per aver acceso i riflettori su una questione a cui si era sempre interessata ma che non faceva breccia sulle persone. E invece adesso, racconta, il tema sta coinvolgendo centinaia di studenti in ogni scuola non solo per l’attenzione mediatica, ma perché è trasversale, facile da masticare, sentire e approfondire, e richiede di percorrere una strada nuova, ancora non percorsa, che per questo non intimidisce.

Gli studenti che si affacciano solo adesso all’attivismo, si avvicinano alla causa fiduciosi e tranquilli che sia solo loro, e che non sarà strumentalizzata per altri fini. “Una ragazza della mia età non crede di avere un’ideologia politica o un pensiero costruito, questo invece è un tema malleabile che riesce a entrare nella bocca di tutti e che si sta avvicinando così tanto perché è percepito come trasparente, non portato avanti da persone che vogliono strumentalizzarlo per altri fini”, spiega Maria, che ha fatto il giro delle classi della scuola per illustrare le motivazioni per aderire allo sciopero tra gli studenti.

“È semplice: se non si fa qualcosa, sarà un problema. E questo riesce a trasportare i ragazzi. A 13, 14 ma anche a 16 non hai un pensiero radicato e preciso, è difficile riuscire a rapportarsi al mondo politico in Italia, e c’è molto disinteresse e disinformazione. Mentre il fatto che questa questione sia stata portata avanti da una ragazza della nostra età e non da persone più grandi, rende tutti più sensibili al tema”.

“Appena abbiamo detto che non ha colore politico, che non c’è dietro un partito o un’associazione, ma che deriva dall’attivismo di nostri coetanei, l’atteggiamento è cambiato. I ragazzi hanno pensato di non dover per forza avere delle opinioni già costituite per decidere cosa vogliono a riguardo, devono solo pensare alla loro vita, al loro mondo, alla città in cui vivono, e al fatto che se non facciamo qualcosa potrebbero non essere più le stesse”.

Un passaggio semplice, che ha fatto sentire agli studenti che questa strada era ancora tutta da costruire, che era la loro strada. Così hanno iniziato a chiedersi perché la temperatura globale deve rimanere al di sotto dei 2 gradi in più rispetto ai livello pre-industriali, da cosa vengono causati gli Tsunami, perché potrebbero travolgerci tra 30 anni, e perché se non riduciamo il consumo dell’acqua un giorno il Pianeta potrebbe morire di siccità. O che cosa si può fare per agire anche a livello locale.

“Ridurre l’utilizzo di macchine e investire nel trasporto pubblico, che fa molti meno danni rispetto a un automobile e sposta nello stesso momento più persone”, dice Giorgio, rappresentante del Liceo Classico Augusto, che si muove a piedi o con i mezzi ma a cui non dispiacerebbe un autobus in più.

Conosce il Green New Deal americano, e tutte le fonti alternative ai combustibili fossi per creare energia, ma dice che in questa fase non bisogna concentrarsi sulle soluzioni, che sono tante e note agli esperti sul tema, ma sulla mobilitazione in quanto tale, perché può mostrare al mondo e ai politici che prendono le decisioni che c’è una grande coscienza generazionale, e spingerli ad agire. “

C’è un gruppo di persone che si sente ipocrita a partecipare perché pensa che se non si ha uno stile di vita rispettoso dell’ambiente è inutile scendere in piazza. Ma non è più soltanto questo. Il problema è talmente grave e di portata globale che non si può più pensare in termini di raccolta differenziata. È importante esserci ed è giusto scendere in strada anche se si ha la tendenza a buttare le bottiglie per strada!”.

E intanto, forse, la sensibilità verso le questioni climatiche potrà diventare un mezzo per far avvicinare le persone alla politica, intesa nel vero significato di cosa pubblica.

“Questa manifestazione non è politica nel senso di appartenenza a un partito, ma lo è nel senso morale di crescita, partecipazione e presa di coscienza”, dice Mario, rappresentante di Istituto del Visconti, e spera che possa allargare le coscienze degli studenti anche verso gli altri aspetti della società, che li riguardano tanto quanto il clima, ma da cui a volte ci si tiene lontani per ragioni ideologiche o per diffidenza verso la politica come s’intende oggi.

Insieme a Maria, Giorgio, Michele e i ragazzi delle altre 30 scuole attese al global strike, hanno riempito lo striscione che innalzeranno nel flash mob davanti al Colosseo in nome di tutti, senza differenziarsi tra scuole o associazioni. Hanno riflettuto un po’ su cosa scrivere e quasi naturalmente hanno deciso. “Il futuro è nelle nostre mani”.

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