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Home » Ambiente

Chi l’ha detto che la Green Economy è solo Made in China?

Immagine di copertina
Credit: Unsplash

Chi l’ha detto che le tecnologie chiave dell’economia green sono appannaggio esclusivo della Cina? Anche l’Europa e l’Italia possono sviluppare una propria filiera industriale verde, ricavandone benefici non solo in termini ambientali ma anche economico-sociali.

S&D

È quanto emerge dallo studio “Energy transition strategic supply chains. Industrial roadmap for Europe and Italy”, realizzato da Fondazione Enel e The European House-Ambrosetti in collaborazione con Enel, e presentato nelle scorse settimane a Cernobbio, sul lago di Como, nell’ambito del Forum di The European House-Ambrosetti.

L’indagine evidenzia – numeri alla mano – come per raggiungere i target di decarbonizzazione fissati dall’Unione europea sia necessario e urgente investire nel potenziamento di filiere e catene di approvvigionamento continentali nei settori strategici della transizione energetica.

Lo studio individua in particolare tre ambiti cruciali: il fotovoltaico, le batterie e le pompe di calore. E suggerisce una serie di azioni che entro il 2030 potrebbero consentire al nostro Paese e agli Stati membri dell’Ue di contare su una vera e propria manifattura domestica dell’economia green, con un impatto positivo in termini economici stimato in 640 miliardi di euro.

Traguardi
Con il pacchetto “Fit for 55” (riduzione al 2030 del 55% delle emissioni di gas climalteranti rispetto ai livelli del 1990 e raggiungimento della neutralità climatica per il 2050) l’Unione europea e l’Italia si sono date obiettivi ambiziosi per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e l’elettrificazione dei consumi.

Tuttavia, come noto, oggi le catene di approvvigionamento delle tecnologie chiave per la decarbonizzazione sono concentrate principalmente al di fuori dell’Europa: in media il 65% delle componenti strategiche necessarie viene prodotto in Cina, mentre solo il 14% è realizzato in territorio Ue. Questa dipendenza da Paesi terzi può rivelarsi un enorme problema, come dimostra la crisi del gas connessa all’invasione russa dell’Ucraina. 

Ecco allora che nel marzo scorso la Commissione europea ha presentato il Net Zero Industry Act, un programma che punta proprio a stimolare la nascita e lo sviluppo nel Vecchio Continente di una filiera industriale della transizione ecologica,sul modello dell’Inflation Reducion Act varato dall’Amministrazione Biden negli Stati Uniti. 

L’obiettivo di Bruxelles è arrivare a produrre in Europa almeno il 40% della domanda annuale di tecnologie verdi entro il 2030. Ciò significherebbe raggiungere 30 Gw annui di capacità produttiva per tutte le fasi della filiera fotovoltaica, almeno 550 Gwh di capacità produttiva per la catena del valore delle batterie e 31 Gw per le pompe di calore. Si tratta, insomma, di favorire lo sviluppo di tecnologie europee lungo l’intera catena del valore “green”, dalla generazione di energia da fonti rinnovabili allo stoccaggio, dalla trasmissione e distribuzione dell’energia fino ai consumi finali.

Il maggiore incremento della capacità installata in Europa è previsto per il fotovoltaico, la tecnologia di generazione più economica tra quelle disponibili: si prevede che tra il 2021 e il 2030 l’Ue registri un aumento di 432 Gw per il solare, a fronte dei 323 Gw per l’eolico. Nello stesso periodo in Italia è previsto un aumento di 58 Gw per il solare rispetto ai 25 Gw per l’eolico.

Quanto alle batterie, fondamentali per l’elettrificazione dei consumi, la capacità installata in Europa dovrebbe crescere di 810 Gwh entro il 2030 (oltre 10 volte l’attuale capacità di 76 Gwh), mentre in Italia si prevede in crescita di 60-106 Gwh (oltre 20-30 volte in più rispetto agli attuali 3,35 Gwh). Allo stesso tempo, si prevede che entro il 2030 ci saranno 51 milioni di veicoli elettrici nell’Ue (8 volte di più rispetto agli attuali 6,1 milioni) e 6 milioni di veicoli elettrici in Italia (17 volte gli attuali 300mila).

Infine, le pompe di calore elettriche alimentate da fonti rinnovabili – che rappresentano il modo più efficace per decarbonizzare in modo efficiente riscaldamento e raffrescamento degli edifici – entro la fine del decennio in corso si stima che saranno installate in Europa 60 milioni di ulteriori pompe di calore (passando da 17 milioni del 2021 ai 77 milioni nel 2030). In Italia si prevedono invece 10 milioni di pompe di calore in più installate entro il 2030, si passerebbe così dagli 1,6 milioni del 2020 a 11,6 nel 2030.

Ricetta
Produrre pannelli fotovoltaici e batterie in Europa oggi è notevolmente più oneroso rispetto a realtà come appunto la Cina: si pensi ai costi da sostenere per l’investimento iniziale e per i consumi energetici necessari, ma anche ai tempi della burocrazia e alla mancanza di professionalità specializzate.

Questo scenario, però, non è ineluttabile: lo studio realizzato da Fondazione Enel e Ambrosetti stima che una serie di scelte oculate e strategiche potrebbe permettere all’Ue e all’Italia di coprire entro il 2030 con la propria produzione manifatturiera interna oltre il 50% del proprio fabbisogno di pannelli fotovoltaici, circa il 90% della domanda di batterie e oltre il 60% di quella di pompe di calore.

In particolare, nel report si suggeriscono alcune linee guida. Primo: un utilizzo più efficace dei fondi pubblici disponibili (695 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027) per finanziare le tecnologie a “emissioni nette zero”. «Malgrado la retorica comune secondo cui le istituzioni europee sottospendono rispetto ai loro concorrenti internazionali – si legge nel documento – il denaro pubblico è disponibile, ma deve essere gestito in modo più diretto ed efficace per garantire lo sblocco della rinascita industriale nel settore verde entro un arco di tempo ragionevole».

Secondo punto: intervenire su «un migliore coordinamento delle attività di ricerca attualmente sparse in tutto il continente e un maggiore sforzo per sviluppare un approccio circolare a livello di settore basato su tassi di riciclo e sostituzione più elevati». Quindi più cooperazione e più economia circolare. Terzo: la definizione di un quadro fiscale e regolatorio «trasparente e stabile».

Considerando sia i benefici netti determinati dalla riduzione delle importazioni di prodotti e tecnologie dall’estero, sia i benefici diretti, indiretti e indotti derivanti dalla creazione di filiere locali, gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi del Net Zero Industry Act – si legge nel rapporto di Fondazione Enel e Ambrosetti – potrebbero creare un ritorno economico fino a 640 miliardi di euro da qui alla fine del decennio.

Secondo Valerio De Molli, managing partner e Ceo di The European House-Ambrosetti, «per cogliere appieno i benefici dell’attuale transizione energetica, non basta fare massicci investimenti nelle infrastrutture, ma è anche necessario sviluppare le competenze locali e rafforzare le filiere industriali “green”. Questo processo – conclude De Molli – consentirà di sostenere la crescita attesa per i prossimi anni, riducendo al contempo la dipendenza tecnologica da Paesi terzi».

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