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Home » Ambiente

Che fine ha fatto la Xylella?

Immagine di copertina
Credit: Dimitris Vetsikas / Pixabay

Fra il 2014 e il 2017, l’emergenza Xylella ha terrorizzato l’olivicultura pugliese e italiana. Gli esperti prescrivevano misure catastrofiche come l’abbattimento di tutti gli alberi sani nel raggio di 100 metri intorno alla pianta malata. Si parlava perfino dell’espianto preventivo dei 60 milioni di ulivi del Salento.

S&D

Unica voce discordante quella del professor Marco Scortichini, all’epoca direttore del Centro di ricerca per l’agricoltura (Crea): Scortichini affermava che l’emergenza era affrontabile senza eradicazioni ma con l’iniezione di quei nutrienti che le piante non riuscivano più a ricavare da un terreno inaridito dall’uso eccessivo di prodotti chimici, vera causa del disseccamento.

In effetti le piante trattate in questo modo tornavano a rifiorire e non c’era più bisogno di estirparle e sostituirle con varietà a (presunta) prova di Xylella. Oggi, a distanza di anni, gli ulivi del Salento sono rigogliosi e produttivi quasi dappertutto.

Professor Scortichini cosa è successo all’emergenza Xylella?
“È successo che, vista la notevole diffusione della malattia ai tempi della sua scoperta nell’ottobre 2013, sulla base delle indicazioni dell’Unione europea, sono state individuate diverse aree geografiche da gestire differentemente. L’area più ampia, quella del Basso Salento, è stata dichiarata ‘infetta’ da Xylella fastidiosa e quindi l’eradicazione degli alberi non risultava più efficace per la gestione dell’epidemia. Inoltre, per impedire il diffondersi della malattia in aree allora indenni, furono create altre due zone a nord di quella infetta: l’area di ‘contenimento’, di ampiezza variabile e compresa tra il mare Adriatico e lo Jonio, dove, in caso di diagnosi positiva per il batterio, gli ulivi andavano eradicati e, infine, una zona ‘cuscinetto’, anche questa compresa tra i due mari, dove, oltre all’albero di ulivo risultato infetto, andavano eliminate tutte le piante potenzialmente ospiti del batterio in un raggio di 50 metri dalla pianta infetta”.

Il professor Scortichini

“In questi casi l’eradicazione, oltre all’ulivo, poteva interessare anche altre colture di pregio come il ciliegio e il mandorlo, nonché numerose specie ornamentali. In entrambe le aree andavano effettuate pratiche di contenimento dell’insetto vettore, la ‘Sputacchina’. Nel corso di questi anni le aree ‘contenimento’ e ‘cuscinetto’ si sono via via spostate sempre più a nord ed ora interessano anche alcuni Comuni della provincia di Bari, a testimonianza della difficoltà di contenere l’espansione del batterio solo mediante questo approccio”.

“Risulta evidente come il vettore, tra l’altro veicolato efficacemente da mezzi di trasporto quali autovetture, camion, bus e treni, possa continuamente alimentarsi dalle piante infette situate più a sud che contengono un’alta concentrazione del batterio, così da trasportarlo in aree ancora indenni”.

Questo approccio fallimentare ipotizzava l’abbattimento di milioni di ulivi, mentre lei proponeva una cura che permetteva di superare il disseccamento e il ritorno della pianta alla normalità. Ci può spiegare in cosa consiste?
“Per comprendere i motivi che hanno indotto a mettere a punto una strategia che riducesse la presenza della Sylella all’interno dell’albero, consentendo a quest’ultimo di vegetare e di continuare a produrre nonostante la presenza del batterio, bisogna avere chiaro le peculiarità della malattia riscontrate quando questa è stata evidenziata per la prima volta. Infatti, i dati ufficiali riportavano la diffusione dei disseccamenti su circa 10mila ettari di territorio nell’area intorno a Gallipoli. A tale estensione corrispondono circa un milione di ulivi e non le poche centinaia o migliaia di alberi che ancora si continua ad indicare come sorgente della prima infezione. A questo va aggiunto che Xylella fastidiosa sopravvive su decine di piante spontanee presenti in migliaia di esemplari nella stessa area e che l’insetto vettore che la trasmette è molto prolifico e di difficile contenimento”.

Luglio 2019: a destra un’azienda olivicola a Nardò abbandonata a sé stessa dopo l’infezione da parte di Xylella fastidiosa; a sinistra un’altra azienda olivicola di 10 ettari curata con la strategia di difesa

In altre parole a un certo punto è diventato evidente come qualsiasi tentativo di eliminare totalmente il patogeno dall’area infetta fosse del tutto impossibile…
“Assolutamente. E a tale conclusione arrivava anche l’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che in un rapporto dedicato proprio alla Xylella concludeva che essa doveva ormai essere considerata come endemica nel Salento, cioè non più eliminabile. Ne consegue che andavano studiate e verificate le possibilità di contenimento dell’epidemia, al pari di altre malattie delle piante che, nel corso dei secoli, hanno invaso nuove aree di coltivazione. Un esempio noto a tutti è quello della Peronospera della vite, fungo patogeno arrivato dall’America in Europa verso la fine dell’Ottocento e considerato, a quel tempo, non curabile. Al contrario, oggi si dispone di facili tecniche di difesa in grado di contenere la malattia che, ovviamente, non è affatto scomparsa dai vigneti”.

Ecco, professor Scortichini, torniamo alla cura per la Xylella da lei scoperta…
“Per contenere la Xylella e stabilirvi un rapporto di ‘convivenza’ si è seguito un approccio sostenibile sia in termini di ambiente che di spesa per gli olivicoltori ma, soprattutto, si è scelta una strategia che consentisse a tutti di usufruire di un prodotto già in commercio e senza alcun obbligo di patentino per l’impiego di agrofarmaci. In caso di emergenze fitosanitarie, infatti, è fondamentale poter disporre di prodotti efficaci nel breve tempo, in quanto la ricerca e la messa a punto di nuovi prodotti è molto lunga”.

“Sulla base di studi effettuati negli Stati Uniti, che indicavano chiaramente come gli ioni di zinco e rame fossero quelli più efficaci per contenere il batterio, abbiamo utilizzato un biofertilizzante (impiegato anche in agricoltura biologica) che li contiene in piccole quantità ma in grado di uccidere Xylella anche con piccole dosi. Sulla base di uno studio triennale e di ricerche interdisciplinari effettuate da centri di ricerca e università italiani e americani, si è potuto stabilire che il prodotto svolgeva un efficace controllo anche sul terreno, in quanto capace di raggiungere il patogeno nella sua nicchia ecologica, lo xylema dell’albero”.

“I trattamenti anti Xylella fastidiosa consistono in semplici nebulizzazioni alla chioma con il biofertilizzante unitamente ad una gestione del terreno che ne preservi o aumenti la sua fertilità e a corrette pratiche di potatura dell’albero. Il costo del prodotto per tale utilizzo è molto basso, circa 3 euro ad ulivo, per 6 trattamenti all’anno”.

All’epoca venne approvato un “protocollo di difesa” nel Salento. Quanto è stato utilizzato dalle istituzioni pugliesi e quali risultati ha dato?
“Attualmente il ‘protocollo di difesa’ è impiegato su oltre 1.500 ettari tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto sia da piccoli agricoltori che in aziende di grandi dimensioni vincitrici di premi nazionali ed internazionali per la qualità dell’olio. In alcuni casi queste aziende rappresentano delle vere e proprie oasi produttive circondate da impianti limitrofi completamente disseccati. Esistono anche alcune associazioni di olivicoltori che hanno adottato questa cura proprio per non rinunciare all’eccellente qualità dell’olio delle varietà colpite dal batterio”.

“Altri agricoltori invece non hanno manifestato alcuna ritrosia all’abbandono e alla sostituzione dei loro ulivi secolari, suggestionati da una sorta di dogma messo in circolazione dall’accademia ufficiale che recitava ‘la Xylella non si cura’ o ‘con la Xylella non si può convivere’. Questo messaggio è stato e continua ad essere veicolato capillarmente agli olivicoltori e ai tecnici e ha avuto la tragica conseguenza di far abbandonare a sé stessi gli oliveti, trasformando gran parte del territorio salentino in una distesa di alberi disseccati, anche in considerazione della scarsità dell’impianto di nuovi varietà ritenute tolleranti al batterio. Insomma, non vedo che alternative possano esserci alla soluzione che prevede la cura efficace da noi proposta”.

Giugno 2022: l’azienda olivicola abbandonata è ora coltivata a pomodoro (in alto, a destra); l’azienda olivicola curata è sempre produttiva. Quest’immagine testomonia come sia profondamente cambiato il paesaggio salentino in seguito all’abbandono degli oliveti che si potevano curare

Tornando al “dogma” della impossibilità di cura per la Xylella, secondo alcuni esso è stato originato dal fatto che essendo molti degli studiosi che lo hanno proposto dei virologi, è stato commesso l’errore di proporre soluzioni efficaci per un virus, mentre la Xylella è un batterio, e si sarebbe dunque caduti nell’equivoco di considerare la Xylella eradicabile facendo ricorso alle tecniche antivirali, anziché curabile con pratiche antibatteriche. C’è del vero in questa critica?
“Sicuramente l’approccio che hanno i batteriologi in genere nei confronti delle possibilità di cura delle malattie causate da questi microrganismi è molto differente da quello dei virologi. Per restare nel settore della patologia vegetale, mentre per le malattie virali non si dispone ancora di nessun presidio in grado di contenere i virus una volta che hanno infettato la coltura, per i batteri fitopatogeni da tempo esistono una serie di prodotti di facile utilizzo in campagna che limitano la loro pericolosità”.

“Per i virus le pratiche di contenimento raccomandate si limitano all’eradicazione delle piante a seguito di diagnosi di laboratorio e, quando è il caso, alla lotta al vettore. Tale approccio è stato utilizzato anche per la gestione di Xylella, che per l’appunto è un batterio e, per quanto difficile raggiungerlo nella sua nicchia, se si dispone di prodotti efficaci risulta possibile contenerlo come la nostra cura ha dimostrato ampiamente. In altre parole, per il batteriologo la cura è uno degli aspetti da prendere sempre in considerazione e costituisce uno dei settori di ricerca più attivi dello specifico settore mentre per il virologo, la strategia più efficace rimane l’eradicazione”.

La vicenda Xylella ha avuto anche controversi risvolti giudiziari. Secondo alcuni le inchieste giudiziarie partite da Cataldo Motta e Valeria Mignone sono state impedite con la ragione della extraterritorialità degli istituti di studio coinvolti nell’introduzione del patogeno sul nostro territorio. Lei che ne pensa?
“A mio avviso in periodi emergenziali, specialmente per un territorio così importante e ricco di storia e cultura come quello degli oliveti salentini, dovrebbero essere previsti, nell’interesse di tutti, approcci collaborativi e non ostativi tra i ricercatori in modo da massimizzare la possibilità di apportare soluzioni al problema anche evitando eventuali deroghe e immunità che impediscano di riscontrare ed analizzare fatti utili alla comprensione del fenomeno, e di arrivare a soluzioni utili e rapide nell’interesse collettivo”.

Resta il fatto che gli ulivi trattati secondo le soluzioni proposte dall’accademia ufficiale oggi sono diventati legna da ardere, mentre quelli trattati con la cura proposta dal professor Scortichini oggi proliferano e producono, nonostante la Xylella.

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