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Home » Ambiente

I vantaggi economici nascosti della direttiva Ue sulle case green

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Il nostro governo protesta. Ma fra bonus pubblici e risparmi in bolletta ristrutturare conviene. Basta fare due calcoli

Strasburgo, 19 gennaio 2023. Nell’aula del parlamento europeo prende la parola l’irlandese Ciàran Cuffe, e gli interpreti rimangono interdetti: il deputato verde, infatti, anziché parlare in inglese o in gaelico, usa l’italiano. Perché? Lo spiega lui stesso sul suo profilo Twitter: essendo il relatore della proposta di revisione della direttiva europea per la performance energetica degli edifici, della quale gli eurodeputati della destra italiana sono forsennatamente avversari, ha deciso di rivolgersi direttamente a loro e nella loro lingua, nella speranza che capiscano finalmente che la direttiva non rappresenta una «ecopatrimoniale» o una «tassa nascosta a carico delle famiglie», ma una incredibile occasione di crescita economica per il Paese e di risparmio per tutte le famiglie sui rovinosi consumi energetici. 

Con il provvedimento di cui Cuffe è relatore, l’Unione europea aggiorna la direttiva sull’efficienza energetica – risalente al 2012 – con gli obiettivi più ambiziosi stabiliti con il Green Deal Europeo e con il successivo RePowerEu, approvato in reazione all’invasione russa dell’Ucraina.

Per capirne l’importanza, bisogna tenere presente che gli edifici rappresentano una delle fonti principali di consumo energetico in Europa, e conseguentemente di costo per le famiglie italiane (quello che si spende per riqualificare un edificio non lo si spende in bollette). Aumentare l’efficienza energetica delle case contribuisce dunque a ridurre le emissioni, ma anche a far risparmiare le famiglie, contrastando la povertà energetica.

Quindi lungi dal determinare una tassa occulta sui proprietari: al contrario, contribuisce ad arricchirli liberando risorse e rendendoli meno vulnerabili ai prezzi volatili dell’energia. Senza dimenticare che sostiene anche la ripresa economica e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Ma vediamo più in dettaglio quali sono le norme contenute nella direttiva e perché l’ammodernamento ed efficientamento del parco immobiliare, oltre a migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente, permette a tutti i cittadini di avere sostanziosi risparmi.

Il provvedimento prevede norme minime di prestazione energetica per gli edifici meno efficienti (vale a dire quelli che rientrano nelle classi G o F) imponendo che vengano ristrutturati in modo da salire di almeno una classe nel loro Attestato di Prestazione Energetica (Ape) entro il 2027 e di due classi entro il 2030. Per gli edifici di nuova costruzione, invece, è richiesta fin da subito un’Ape che li ponga in classe A (sostanzialmente devono essere a emissioni zero). 

Questi interventi costano, è vero, ma gli interventi non vanno considerati come spese, bensì come investimenti che hanno tempi di ritorno estremamente rapidi e sostanziosi. I costi della ristrutturazione energetica si ammortizzano infatti sotto forma di risparmi in bolletta, che si rivelano presto molto superiori agli investimenti sostenuti per migliorare le prestazioni degli edifici.

Un’abitazione di classe energetica G consuma in media circa dieci volte più energia rispetto a un edificio in classe A (a zero emissioni) o a un edificio a energia quasi zero: ristrutturare questi edifici farà risparmiare milioni ai consumatori. Pensate a una bolletta da 300 euro mensili che dopo l’efficientamento energetico si riduca a 30 o 40 euro, poi moltiplicate questo risparmio per venti o trent’anni. E ancora: moltiplicate questi risparmi per circa trenta milioni di unità immobiliari (quante sarebbero quelle interessate alla riqualificazione energetica prevista dalla nuova strategia europea). Fatti questi calcoli, è evidente che non regge parlare di «ecotassa» o «imposta occulta». 

Ma non è tutto. La Commissione europea prevede misure di sostegno economico per queste ristrutturazioni, fornendo fino a 150 miliardi di euro dal bilancio dell’Ue per l’attuazione delle norme minime di prestazione energetica fino al 2030. Le fonti di finanziamento sono diverse e includono il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il dispositivo per la ripresa e la resilienza, grazie soprattutto a iniziative come “Renovate”.

Il nuovo Fondo sociale per il clima proposto attingerà inoltre 72,2 miliardi di euro dal bilancio Ue per il periodo 2025-2032 a sostegno delle famiglie che vivono negli edifici meno efficienti. Infine, la Commissione opera per rendere il quadro degli aiuti di Stato più in linea con le esigenze delle norme minime di prestazione energetica: i piani nazionali di ristrutturazione degli edifici devono garantire l‘impiego di fondi e un sostegno sufficienti allo scopo di fornire finanziamenti a livello nazionale per contribuire a mobilitare gli investimenti privati.

Ai fondi europei si possono quindi aggiungere ulteriori somme messe a disposizione dagli Stati, dalle Regioni e dai Comuni, il che può ridurre in alcuni casi a uno o due anni i tempi di ritorno degli investimenti per l’efficientamento energetico degli edifici. A partire da quel momento le famiglie e i consumatori raggiungerebbero rapidamente l’agognata situazione di sovranità energetica, e avrebbero energia pulita sicura e quasi gratuita per sempre.  

Un attestato di prestazione energetica alto spinge poi le banche e gli investitori finanziari a determinare un più elevato valore dell’immobile. Quindi, ricapitolando, chi ristruttura dal punto di vista energetico può contare su finanziamenti pubblici, godrà di risparmi in bolletta e vedrà aumentato il valore dell’immobile.

La revisione della direttiva impone anche agli Stati membri di eliminare gli ostacoli all’installazione dei punti di ricarica per chi risiede in edifici multifamiliari e affronta anche un altro importante ostacolo alla mobilità sostenibile: la mancanza di parcheggi sicuri per le biciclette.

Il provvedimento contiene infatti obblighi di posti per le biciclette negli edifici di nuova costruzione e ristrutturati e nei grandi edifici non residenziali già esistenti. E consente di reimmettere l’elettricità nella rete e utilizzare la batteria dell’auto come accumulatore. La ricarica intelligente agevola l’integrazione nella rete dell’energia da fonti rinnovabili, come quella eolica e solare, e contribuisce alla decarbonizzazione del sistema energetico.

Viene introdotto, inoltre, l’obbligo di installare punti di ricarica intelligenti, in linea con la proposta relativa alla direttiva sulle energie rinnovabili che permette di ricaricare le autovetture quando i prezzi dell’energia sono bassi o quando vi è molta disponibilità di energia da fonti rinnovabili.

Ma allora viene naturale domandarsi: se la direttiva sull’efficientamento energetico conviene non solo ecologicamente ma anche economicamente a utenti, consumatori e cittadini, perché il nostro Governo continua a osteggiarla? Se non difende gli interessi dei propri cittadini, gli interessi di chi sta difendendo?

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