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Home » Ambiente

Quello che non sapete sulla carne sintetica

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Credit: AP

L’impatto sull’ambiente. Gli effetti sulla salute. I costi economici. Il dilemma etico. Abbiamo messo a confronto le bistecche sintetiche con quelle tradizionali. Ecco cosa abbiamo scoperto

Lo scorso 28 marzo il Governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato un disegno di legge che vieta la produzione in Italia di carne sintetica. La proposta dovrà essere discussa in parlamento, ma intanto l’annuncio ha acceso il dibattito mediatico e politico intorno a questo tipo di alimento. Ma cos’è davvero la carne sintetica, come si produce, e quali sono i vantaggi e gli svantaggi rispetto alla carne tradizionale?

S&D

La carne sintetica viene prodotta in laboratorio partendo da un campione di cellule staminali prelevate da un animale. Le cellule raccolte ricevono una soluzione nutritiva che ne stimola la replicazione e vengono poi inserite in un macchinario, chiamato bioreattore, dove continuano a crescere. In seguito, le nuove cellule vengono stimolate a differenziarsi tra muscoli, grassi e tessuti connettivi, utilizzando delle “impalcature” (scaffolds) che agiscono in modo simile a uno stampo.

L’intero processo non dovrebbe superare le 6-8 settimane. La carne così prodotta è, a tutti gli effetti, carne “vera”, che non va quindi confusa con le sue alternative vegetali già diffuse in tutto il mondo e anche in Italia. Se la carne sintetica è uguale alla carne tradizionale a livello alimentare, ci sono tuttavia grandi differenze tra i due sistemi di produzione dal punto di vista ambientale, sanitario, etico e anche economico. 

Scelta green?
L’allevamento di animali ha un grande impatto ambientale: è responsabile di circa il 15% delle emissioni di gas serra e occupa circa il 35% della superficie abitabile del pianeta, contando sia i terreni destinati al pascolo che quelli per le coltivazioni necessarie al sostentamento degli animali.

Anche l’impronta idrica è significativa: per produrre un chilo di carne bovina servono in media 15mila litri di acqua, per quella di maiale 6mila e per il pollo più di 4mila. Solo il 6%, però, è acqua “blu”, ovvero acqua dolce sottratta ad un bacino idrico. 

Quale sarebbe l’impatto ambientale della produzione su larga scala di carne sintetica rispetto alla carne tradizionale? Ci sono moltissime incertezze che rendono difficile questo confronto, soprattutto perché spesso si cerca di paragonare scenari futuri e ipotetici.

Da una parte l’industria della carne tradizionale sta cercando di diventare più sostenibile, con alcuni ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2030. Dall’altra, la produzione di carne sintetica al momento non è molto efficiente, a causa delle piccole dimensioni della maggior parte degli stabilimenti; ma è difficile stimare quanto potrebbe migliorare grazie a economie di scala e ulteriori innovazioni tecnologiche.

La maggiore sfida ambientale per la carne coltivata riguarda l’energia: la sua produzione ne richiede infatti moltissima, soprattutto per mantenere nei bioreattori la temperatura e le condizioni che favoriscono la crescita delle cellule. La sua impronta ambientale dipende quindi molto dalla fonte dell’energia impiegata. 

Alcuni studi, come quello riportato dal Good Food Institute, hanno provato a confrontare le due industrie. Quella della carne sintetica potrebbe produrre tra i 2,2 e i 24,8 chilogrammi di CO₂ equivalenti (CO₂e) a seconda di quanta energia rinnovabile viene utilizzata.

I CO₂e sono una misura usata per comparare l’impatto sul riscaldamento globale di diversi gas, che indica quanta anidride carbonica sarebbe necessaria per produrre lo stesso effetto. Per contro, la produzione di pollo oscilla dai 2,7 chili di CO₂e (fissati dall’obiettivo per il 2030) ai 9 riportati nel 2018; quella di maiale tra 5,1 e 11,4, mentre la carne bovina è tra il 34,9 e il 98,6. Il vantaggio della carne sintetica sembra quindi netto rispetto a quella bovina, ma meno scontato per le altre.

I terreni utilizzati invece, come è facile intuire, con il passaggio alla carne “da laboratorio” si ridurrebbero di molto: tra il 60% e il 95%. Infine, per quanto riguarda l’acqua i risultati non sono particolarmente positivi: la carne sintetica prodotta grazie a energie rinnovabili userebbe tra il 50 e l’80% in meno di acqua blu rispetto alla carne bovina, ma il 22% in più del pollo e il 40% in più del maiale. Dal punto di vista ambientale il verdetto è chiaro: meglio non mangiare carne, qualunque sia la sua provenienza. 

Rischio malattie
Ma il consumo di carne da allevamento rappresenta anche un rischio crescente per la salute. L’uso e abuso di antibiotici negli animali contribuiscono alla diffusione di batteri antibiotico-resistenti, che possono trasmettersi anche a noi quando consumiamo carne o latte infetti.

Non solo: il concime infetto può diffondersi alle coltivazioni che lo usano come fertilizzante, e quindi anche al prodotto alimentare finale, come la verdura (anche se questa trasmissione è meno probabile). Questi batteri rendono certe infezioni molto più difficili da curare, sia negli uomini che negli animali.

Anche l’uso preventivo degli antibiotici – impiegati quando siamo più a rischio di contrarre infezioni, come in occasione di un intervento chirurgico – sta diventando meno efficace.

La somministrazione di antibiotici agli animali è diminuita del 50% in Italia dal 2010 al 2020, ma è difficile eliminarla del tutto: gli antibiotici servono a evitare che le infezioni si diffondano (cosa molto facile, considerati gli spazi ristretti in cui spesso vivono gli animali da allevamento), ma a volte sono anche impiegati per stimolare la crescita, per poter quindi ricavare un maggior profitto da ogni esemplare. 

La carne sintetica, invece, in genere non utilizza antibiotici. E dal momento che viene coltivata in un ambiente sterile, si riduce di molto il rischio di esposizione a patogeni che possono causare malattie di origine alimentare.

Questo è un vantaggio da parte del consumatore ma uno svantaggio per la produzione: gli standard richiesti nei laboratori saranno probabilmente sempre simili a quelli necessari per la farmaceutica, ovvero più stringenti – e quindi più costosi – rispetto all’industria alimentare tradizionale.

L’attenzione dovrebbe rimanere sempre altissima, poiché una sola cellula infetta contagerebbe tutte le altre nella stessa coltura, e di conseguenza tutto il prodotto andrebbe perduto. 

I diritti degli animali
Infine, non va sottovalutato l’aspetto etico. Una delle ragioni per cui moltissime persone scelgono di non mangiare carne (e spesso anche pesce) è evitare la sofferenza degli animali, oltre alle ragioni ambientali. Un problema che non si pone per la carne sintetica: un unico prelievo iniziale è sufficiente per creare una cosiddetta linea cellulare immortalizzata, che teoricamente può essere impiegata all’infinito.

Va sottolineato però che la soluzione nutritiva impiegata per far crescere la carne sintetica spesso include, tra le altre cose, un siero di origine animale, di solito ricavato dal sangue. Quello più popolare, perché migliore dal punto di vista nutritivo, è il siero fetale bovino, ovvero il sangue raccolto dal feto di bovine gravide durante la macellazione.

Si tratta di un prodotto secondario dell’industria – vale a dire che nessun animale viene ucciso specificatamente per ricavarne questo siero – ma in un certo senso rende la carne sintetica dipendente dall’industria tradizionale e dalla macellazione.

Fino a pochi anni fa erano necessari fino a 50 litri di questo siero per produrre un solo hamburger, ma ormai diverse compagnie sono riuscite a sostituirlo con uno di origine vegetale, e ci si aspetta che le altre facciano lo stesso prima di cominciare a vendere i loro prodotti. 

Investimenti
Gli elevati costi di produzione rappresentano il principale ostacolo alla coltivazione di carne sintetica su larga scala. Secondo un’analisi di Bloomberg del 2020, coltivare un chilo di carne costerebbe tra i 400 e i 2mila dollari. I costi sono già scesi moltissimo, dal momento che fino a pochi anni fa si parlava di almeno 200mila dollari al chilo.

La domanda è se continueranno a calare o meno. Il gruppo di ricerca Good Food Institute ritiene sia possibile scendere fino a circa 6 dollari al chilo nei prossimi anni. Anche secondo la catena di supermercati svizzera Migros, che sta investendo molto nel settore, entro cinque anni si potrebbe arrivare a prezzi comparabili alla carne tradizionale.

Non tutti sono d’accordo, però: secondo alcuni esperti per riuscire a raggiungere questi prezzi sarebbero necessari degli incredibili passi in avanti nella ricerca, che al momento non sembrano all’orizzonte. Anche per questo, alcuni ipotizzano che la carne sintetica potrebbe avere più probabilità di arrivare sul mercato (o di arrivarci prima) se venisse utilizzata insieme ad altri ingredienti come proteine vegetali o mischiata con carne tradizionale. 

Nonostante queste difficoltà, peraltro, l’interesse nel settore cresce di anno in anno. Aumenta il numero di aziende che se ne occupano (già più di 100 nel 2021) e si intensificano gli investimenti. Nel 2021 a livello globale le compagnie e start-up di carne sintetica hanno ricevuto investimenti pari a 1,38 miliardi di dollari, concentrati soprattutto negli Stati Uniti e in Israele.

Ma anche l’Europa si sta muovendo: nel 2022 gli investimenti nel settore sono cresciuti del 30% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 120 milioni di euro. 

Per adesso l’unico Paese che ha approvato la vendita di carne sintetica (pollo, per la precisione) è stato Singapore nel 2020. Negli Stati Uniti l’agenzia federale Food and Drugs Administration ha valutato due prodotti di carne di pollo sintetica e ha dato il via libera alla produzione: sarà poi un’altra agenzia statunitense ad occuparsi dell’approvazione alla messa in vendita e dei controlli alimentari, ma la direzione sembra chiara.

L’Unione europea non ha approvato nessun prodotto di carne sintetica al momento: se lo facesse, sarebbe comunque possibile importarlo e consumarlo in Italia, nonostante il divieto. Ma è probabile che per questo ci voglia ancora qualche anno, anche perché i controlli del settore alimentare sono molto rigidi, con regole in generale più stringenti rispetto alla maggior parte degli altri Paesi.

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