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“Noi, giovani innovatori, vi raccontiamo ciò che servirebbe all’Italia”

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Gian Luca Comandini e Elena Lavezzi

“C’è tantissimo mercato ancora da conquistare”: il futuro dell’innovazione in Italia è tutto da immaginare. TPI ne ha parlato con due giovani imprenditori di successo: Gian Luca Comandini – classe 1990 e fondatore, a 23 anni, di una delle più importanti agenzie di comunicazione digitale in Italia– ed Elena Lavezzi – classe 1987, regional manager per il sud Europa della startup fintech Revolut (nonché unica italiana ad aver lavorato in tre “unicorni”)

“Tra trenta o quarant’anni, il mondo non sarà quello che studiano oggi i giovani italiani nei libri di scuola. Sarà totalmente diverso, e noi non stiamo assolutamente preparando le nuove generazioni. Bisogna cominciare ad insegnare loro dalle elementari il bilinguismo, la programmazione, la blockchain, il mindset imprenditoriale”.

Ne è sicuro Gian Luca Comandini, 29 anni e una fama da imprenditore digitale che lo segue da quando, a 23 anni, ha fondato You&Web – oggi una delle principali agenzie di comunicazione digitale della penisola.

Membro di Mensa International, che riunisce le persone con il quoziente intellettivo più alto al mondo, e opinionista spesso presente nei talk show italiani quando si parla di temi quali marketing e blockchain, da anni Comandini si misura in particolare con un tema: lo stato dell’innovazione in Italia.

“Possiamo anche innovare, ma se non prepariamo le nuove generazioni, ci troveremo sempre ciclicamente davanti a un enorme contrasto generazionale”, dice a TPI una volta emerso dal proprio speech all’evento TEDx organizzato a inizio novembre a Treviso.

Da anni, Comandini serba nel cassetto un sogno: diventare Ministro dell’Innovazione. Un ruolo ricoperto, fin ora, soltanto da due persone nell’intera storia della repubblica italiana: Lucio Stanca, dal 2001 al 2006, e ora Paola Pisano, scelta dal Governo Conte bis per creare e guidare, partendo quasi da zero, il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

Non è una novità che l’innovazione – e gli universi contenuti in questa categoria altrimenti fin troppo generica, dalla fintech alla blockchain – in Italia stenti ad occupare il ruolo che in tantissimi altri paesi anche vicini (si pensi a Francia, Malta e Svizzera) già gioca da anni. Sia nelle leggi di bilancio che nel discorso pubblico. Così, se la finanziaria approvata a dicembre 2019 ha introdotto incentivi per l’assunzione di “Innovation Manager” che guidino la trasformazione digitale e stanziato qualche timido fondo per la ricerca, a Parigi da due anni ha aperto l’incubatore di startup più grande al mondo e Malta ricostruisce il proprio GDP puntando tutto sugli investimenti stranieri e la blockchain. Per non nominare nemmeno, chiaramente, giganti come gli Stati Uniti o l’India.

Il problema da noi è a monte, ritiene Comandini: “Chi governo ha tutt’altro tipo di competenze e interessi, quindi non sa parlare di una cosa che non conosce. Soltanto chi è nato con queste competenze, chi conosce questa materia e si sporca le mani tutti i giorni con le tecnologie emergenti può legiferare in ambito, capire quanto investire. Altrimenti ci si arriva solo a spanne: magari lanciamo come una grande notizia il fondo d’investimento da qualche milione di euro senza accorgerci che di lato a noi c’è la Francia che ci ha investito miliardi. Qui invece c’è una distanza enorme tra chi legifera e non c’entra niente con il settore e chi ci sta dentro”.

Si sfocia così in uno dei fenomeni che sistematicamente investe i giovani italiani: quello dei cervelli in fuga. “Come è ovvio che sia, le menti più brillanti delle nuove generazioni partono sfiduciate. Neanche ci provano a cambiare il paese o ad arrivare ad essere loro i decisori del domani. Vanno direttamente in un altro paese che sta vicino e funziona meglio”, dice Comandini.

Come mantenere le eccellenze in Italia? “Dando loro la speranza”, risponde, semplicemente. “Basta davvero solo la speranza. La speranza che se hanno un’idea, qui possono fare un percorso che permetta loro di concretizzare quell’idea. Questa speranza in Italia oggi non c’è. Cerchiamo di far capire che lo Stato può essere un investitore e che attraverso una tassazione agevolata possa far venire voglia a tanti privati di investire qui in Italia – altri paesi europei già lo fanno. Noi non siamo neanche capaci di usufruire dei bandi europei perché non li sappiamo compilare!”

“Dobbiamo investire molto di più su programmi formativi scolastici e universitari basasti su tecnologie emergenti. Portare licei ed università pubbliche ad avere una percentuale di corsi su intelligenza artificiale, robotica, nanotech, fintech, blockchain… Perché abbiamo la sicurezza, guardando i dati, che tra qualche anno altissime percentuali dei lavori disponibili saranno in quell’ambito”.

Qualcuno che cavalca già quest’onda, naturalmente, c’è. Una di loro è Elena Lavezzi, 32 anni e una carriera brillante che l’ha portata ad essere l’unica italiana a ricoprire ruoli di responsabilità in ben tre “unicorni” – come vengono chiamate, in gergo startup, quelle aziende private che arrivano ad avere una valutazione uguale o maggiore al miliardo di dollari. Oggi, Lavezzi è regional manager responsabile dell’Europa meridionale per la startup inglese Revolut, che offre servizi di tipo bancario e ambisce a “democratizzare i servizi bancari” rendendoli più accessibili.

Quando si parla di Italia, la giovane manager è ottimista: “C’è tantissimo spazio di crescita, tantissimo mercato ancora da conquistare”, dice a TPI, anch’essa dopo aver raccontato la propria storia e il proprio lavoro alla platea di TEDx Treviso. “Quello che piacerebbe a me sarebbe vedere delle realtà che sono in grado non solo di realizzarsi nel mercato italiano ma anche di “scalare” altrove, in altri paesi. Ma penso che ne vedremo sempre di più, e spero di vedere nascere anche in Italia degli unicorni – come li vediamo in Francia, Spagna, Olanda, Inghilterra… Ma è una cosa che sicuramente arriverà, perché l’ecosistema sta crescendo molto”.

Nel 2019, le startup in Italia sono diventate più di 10mila e, secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Startup hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con l’associazione Italia Startup, sono delle realtà in costante crescita sia per numero che per fatturato. Oltre 700 milioni i finanziamenti raccolti – in crescita del 17% rispetto al 2018 – distribuiti in maniera omogenea tra le varie realtà.

Per chi volesse darsi a questo mondo in costante evoluzione, Lavezzi ha qualche consiglio: “Sicuramente l’essere sempre molto flessibile, pronto ad adattarti ai cambiamenti costanti. Non avere paura di sporcarsi le mani: sono realtà in cui spesso i team locali sono molto snelli, e dunque è inevitabile che tutti debbano fare tutto – la piramide gerarchica è molto piatta. Si lavora e si collabora insieme sempre. Tutte le persone che vivono queste realtà – anche da dipendenti, come sono io – devono avere uno spirito imprenditoriale molto spiccato. Perché di fatto devi creare nel tuo paese qualcosa da zero”.

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