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Unorthodox, la sorprendente miniserie che ricostruisce da capo un’esistenza mai nata

Immagine di copertina

Unorthodox, la sorprendente miniserie che ricostruisce da capo un’esistenza mai nata

Organizzare e portare a termine una fuga non è mai cosa facile. C’era riuscito Clint Eastwood da Alcatraz e Kurt “Jena Plissken” Russell da Manhattan, ma stiamo parlando di due guasconi d’élite alle prese con il sistema carcerario stelle e strisce. Assai più complicato prendere il largo da una situazione familiare angosciante e opprimente, come se qualcuno ti stringesse forte alla gola per soffocare ogni tuo fiato. Nel 1994 il regista e creativo umbro Sandro Baldoni diresse un interessante film in tre parti dal titolo “Strane Storie”. Uno di questi racconti narrava le vicende di un uomo, perennemente in apnea, in corsa contro il tempo per riuscire a pagare la bolletta dell’aria che gli era stata tagliata dall’ente preposto all’erogazione dell’ossigeno. Più o meno la stessa sensazione di asfissia provata da Esther Shapiro detta Esty, protagonista di Unorthodox, sorprendente nuova mini serie tedesca griffata Netflix e composta da quattro episodi da cinquanta minuti l’uno.

Unorthodox, fuggire per ricominciare a respirare

Esty, che vive a New York nel quartiere di Williamsburg e fa parte della comunità ultra-ortodossa di ebrei chassidici, è una ragazza esile e timida, intelligente e gentile. Sostiene una vita difficile, tra culto esasperato della religione e arcaiche tradizioni, costretta a un matrimonio combinato e spossata dalla triste posizione di sudditanza nella quale sono collocate le donne nell’anacronistica società chassidica. La giovane si trova costretta ad andarsene precipitosamente, proprio per ricominciare a respirare, a sognare, a ricostruire da capo un’esistenza mai nata. Dall’America alla vecchia Europa, da New York a Berlino, con la testa coperta con una parrucca da poco e qualche spicciolo in tasca, la fuga dall’oppressione comincia sotto una cattiva luce.

Sola, senza un posto dove dormire, senza un amico, tuttavia Esty assapora comunque la libertà e la possibilità di essere chi e quello che vuole. Al di là della trama, a tratti commovente, che si fa scoprire gradualmente, Unorthodox analizza a fondo la difficoltà di scrollarsi di dosso le imposizioni culturali dettate dalla tradizione, il desiderio mai sopito di raggiungere obiettivi insperati, o, perlomeno, di provare a lottare per essi, la speranza di incontrare nuove persone con le quali confrontarsi e, infine, provare a ritrovare l’amore per una madre lontana da molto tempo. La serie è tratta dall’autobiografia di Deborah Feldman “ Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici Chassidiche”, che tra l’altro introduce il suo lavoro nell’affascinante e breve backstage che si può trovare in coda all’ultima puntata.

Unorthodox, lode all’esordio di Shira Haas

La presenza femminile in quest’opera è assolutamente massiccia, dalle due creatrici Anna Winger e Alexa Karolinski, alla bravissima regista Maria Schrader, già Orso d’argento, anche se davanti e non dietro alla macchina da presa, nel 1999 per “Aimée & Jaguar”. Una menzione speciale va soprattutto alla straordinaria attrice esordiente Shira Haas, più che credibile nella parte della protagonista Esty, in grado di regalare momenti recitativi alti e toccanti, accompagnata dall’ottimo Amit Rahav nei panni del marito Yanky, figura discutibile ma d’animo nobile. In definitiva Unorthodox piace molto, è scritta con il giusto pathos e scivola via d’incanto, come tutte le serie costruite sopra fondamenta narrative solide, accolta tra le luci e le ombre di una Berlino sofisticata e incantevole, in alcuni momenti silenziosa, audace, eternamente punk, ma sempre triste e molto grande, come diceva Dalla quando ci girava con Bonetti.

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