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    Noury (Amnesty) a TPI: “Governo fallimentare su Regeni e Zaky. L’ostilità alle Ong nasce con Minniti”

    "Sui migranti il benchmark non sono i governi Conte, ma i decreti Minniti: tutto quello che è accaduto dopo è stato in continuità con quelle norme. Il governo giallo-rosso pur con toni diversi resta coerente in una politica di ostacolo alle Ong. I cosiddetti 'decreti sicurezza' sono ancora lì", così il portavoce di Amnesty International Italia in un'intervista a TPI

    Di Fabio Salamida
    Pubblicato il 7 Ago. 2020 alle 13:15 Aggiornato il 8 Ago. 2020 alle 18:55

     

    Riccardo Noury (Amnesty International) a TPI

    Una nuova sede, molti attivisti in smart working nel rispetto delle direttive anti-Covid e tanti dossier aperti. Il lavoro di Amnesty International Italia non si ferma, gli occhi restano puntati sulle frontiere più difficili da attraversare, quelle lontane, quelle vicine e quelle invisibili, dove troppo spesso l’odio, l’indifferenza e l’intolleranza verso il prossimo alzano muri. Di frontiere e di tanto altro parla a TPI Riccardo Noury, portavoce per l’Italia della Ong che dal 1961 lavora per la difesa e la promozione dei diritti umani nel mondo.

    Nonostante durante la pandemia si siano registrati in Turchia molti omicidi e stupri ai danni delle donne, il Paese vorrebbe uscire dalla Convenzione di Istanbul. Non è la prima scelta assurda del governo di Erdogan, che recentemente ha mostrato i muscoli riconvertendo Santa Sofia in moschea. Due avvocati per i diritti umani (Ebru Timtik e Aytac Uysal ) sono in sciopero della fame e stanno per morire in ospedale, nei mesi scorsi la morte di Ibrahim Gokcek e degli altri membri della band Grup Yorum: come si può contrastare questa dittatura di fatto alle porte dell’Europa?
    Il fatto che sia il primo Paese a minacciare di ritirarsi da una convenzione il cui momento inaugurale è avvenuto nella sua città simbolo è un segnale terribile: magari Erdogan non avrà i numeri per farlo, ma già il fatto che se ne stia discutendo ha creato problemi, perché parliamo di un Paese dove la violenza sulle donne è endemica. La Turchia presenta da tempo una serie di anomalie: è uno Stato membro del Consiglio d’Europa che viola costantemente i diritti umani; è nella Nato e fa delle scelte strategiche potenzialmente in contrasto con l’alleanza atlantica; è uno Stato membro del Consiglio Europeo e della Nato che invade un altro Stato: fa parte di quel gruppo di Paesi che si sono conquistati una sorta di immunità e impunità in base all’importanza che hanno su singoli dossier.

    I rapporti di forza sono cambiati nel 2016, l’anno in cui l’Unione Europea fa un patto molto remunerato con la Turchia: milioni di euro in cambio di un servizio di ‘portineria’. Da quel momento l’Europa si è consegnata a Erdogan, che da allora ha un’arma di ricatto che ha riassunto con la frase ‘apriamo i rubinetti’, metafora di un paradossale traffico di esseri umani gestiti da uno Stato. Il presidente turco ha dimostrato di poterlo fare quando ha caricato migliaia di persone su dei pullman portandoli alla frontiera greca. Dal 2016 l’UE ha di fatto perso un peso politico e una capacità di interlocuzione e di pressione politica. Al di là dei doverosi interventi del Parlamento Europeo contro i processi politici nei confronti di difensori dei diritti umani e giornalisti, per il resto c’è troppo silenzio, il Consiglio Europeo dovrebbe decisamente fare di più.

    A un anno dai fatti del Papeete Beach e dalla caduta del “Conte 1”, sulle politiche migratorie l’attuale governo sembra in totale continuità con quello precedente. Amnesty in questi giorni sta lanciando la campagna di solidarietà “Iuventa 10” per chiedere alla procura di Trapani di archiviare l’inchiesta contro i 10 membri dell’equipaggio della nave di ricerca e soccorso sequestrata tre anni fa, accusati di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”. Se condannati, rischiano fino a 20 anni di carcere. Intanto, come ogni estate, aumentano gli sbarchi e le campagne d’odio dei cosiddetti “sovranisti” si fanno più martellanti: cosa chiedete a Giuseppe Conte?
    Quella su Iuventa è l’inchiesta più lunga nella storia dei procedimenti giudiziari contro le Ong e anche la prima che è stata avviata. Dopo tre anni abbiamo dieci persone che si trovano ancora a doversi difendere da un’accusa gravissima basata sul niente: un niente fatto delle dichiarazioni di un ‘infiltrato’ sulla nave, delle fotografie che i nostri studiosi di oceanografia forense hanno smentito e della ricostruzione falsa secondo cui sarebbero state riconsegnate le barche ai trafficanti di esseri umani. Come in ogni estate, ormai da molti anni a questa parte, sono aumentati gli attraversamenti, ma comunque andrà a finire, il numero di sbarchi di quest’anno resterà assolutamente imparagonabile per difetto a quello di anni come il 2016 e il 2017 e questo per ovvie ragioni: è diminuita la capacità di soccorso, è aumentata la capacità della Guardia Costiera libica di intercettare i migranti e riportarli in terra ferma e sono aumentati i morti in mare.

    Io continuo a pensare che il benchmark non siano il ‘Conte 1’ o il ‘Conte 2’ ma i decreti Minniti, tutto quello che è accaduto dopo è stato in continuità con quelle norme, una continuità che ha attraversato il governo ‘giallo-verde’ in maniera più aspra – tant’è che alcuni comportamenti dell’allora ministro degli Interni sono al vaglio dei giudici – e attraversa quello “giallo-rosso”, che pur con toni diversi resta coerente in una politica di ostacolo alle Ong. I cosiddetti ‘decreti sicurezza’ sono ancora lì e noi continuiamo a pensare che tutte le norme che violano i diritti umani contenute in quelle leggi vadano cancellate.

    Purtroppo il criterio della temperanza che si tende ad applicare un po’ a tutto, dalla legge contro l’omotransfobia e la misoginia temperata, allo ius soli temperato non è applicabile per quelle leggi, perché hanno fatto scempio di diritti e di protezione. In ultimo, non vorremmo che si aprisse a breve la stagione di una nuova narrazione falsa che legherà i migranti a un’eventuale seconda ondata del virus, già Minniti in una recente intervista ha parlato di ‘evidenza’. E poi c’è il modo inquietante con cui diverse regioni stanno disaggregando dati dei nuovi contagi, specificando quali sono i casi ‘di importazione’. La verità è che quando un migrante sbarca in Italia, gli viene immediatamente fatto il tampone, cosa che non accade a un turista del nord che magari va a fare le vacanze in Calabria e potrebbe essere un asintomatico; e i focolai che riguardano i migranti spesso dipendono dalle condizioni indecenti in cui vengono tenute quelle persone.

    Recentemente eravate in piazza con altre organizzazioni per manifestare contro il rifinanziamento della guardia libica votato dal Parlamento.
    La preparazione della situazione attuale con la Libia data a un quarto di secolo fa. Con la scusa di lavorare per avere un rapporto migliore con Gheddafi e arrivare all’accordo del 2008 che chiuse la dolorosa pagina coloniale. Prodi, Dini, Amato, D’Alema e naturalmente Berlusconi, si sono fatti artefici di una normalizzazione dei rapporti con quel Paese che sottintendeva già il tema delle migrazioni. Un accordo che è stato portato avanti da tutti i governi che poi si sono succeduti, fino all’alleanza sancita dal Governo Gentiloni che ha reso l’Italia complice di crimini di diritto internazionale. Non basta quindi andare alla casella precedente per capire da cosa nasce l’attuale situazione.

    Patrick Zaki sta scontando altri 45 giorni di detenzione preventiva, sul caso Regeni l’Egitto promette collaborazione ma è tutto fermo. Perché nessuno si muove? Non sembra forse che l’Italia abbia un atteggiamento quasi servile verso l’Egitto?
    Decisamente. Con l’Egitto i dossier sono plurimi: c’è il tema immigrazione ma anche rapporti commerciali e il contrasto al terrorismo. Tutte questioni anche importanti che però fanno passare in secondo piano quella più importante, ovvero i diritti umani. E questo amareggia. Anche in questo caso bisogna tornare indietro: se per analizzare i rapporti tra Italia e Egitto prendiamo come punto di partenza l’omicidio di Giulio Regeni e arriviamo all’arresto di Patrick Zaki e i suoi successivi sei mesi di detenzione, noi vediamo una continuità di atteggiamenti di timidezza e una strategia fallimentare, ovvero quella di ottenere risultati a costo politico zero. Quando nelle varie audizioni Conte e Di Maio ci dicono che durante gli incontro con le autorità egiziane fanno il nome di Giulio Regeni a noi non basta: vorremmo anche sapere cosa gli viene risposto, ammesso che gli venga risposto qualcosa.

    La campagna martellante anti-migranti e anti-Ong di Salvini, Meloni & co. ha prodotto ostilità di una parte dell’opinione pubblica verso chi lavora ogni giorno per portare assistenza e salvare vite in ogni angolo del pianeta. Cosa risponderesti a chi oggi disprezza questo lavoro e chi lo svolge?
    C’è stato un momento, tra la primavera e l’estate 2017, in cui prima il post di Di Maio di aprile (“chi paga questi taxi del Mediterraneo?”, ndr) e poi i regolamenti restrittivi firmati da Minniti in agosto, hanno dato vita a una narrazione di delegittimazione che poi è diventata di criminalizzazione verso l’etichetta ‘Ong’. Al di là dell’odio che si manifesta online, in fondo anche abbastanza circoscritto, il tema più ampio è la sfiducia che si è venuta a creare in una parte dell’opinione pubblica: siamo passati dall’essere ‘angeli del mare’ ad ‘angeli del male’. A chi pensa che sia un crimine aiutare chi si trova in difficoltà in mezzo al mare o a terra, in prossimità delle frontiere, vorrei dire che forse l’esperienza della pandemia dovrebbe aver insegnato quello di cui si dovrebbe avere realmente paura: una pandemia deve far paura, persone in difficoltà e chi prova ad aiutarle non devono far paura. Nei prossimi mesi Amnesty International chiederà giustizia per tutte quelle persone a cui in Italia è stato negato il diritto alla salute.

    Ormai da anni Amnesty si occupa di odio in rete, monitorando i profili di politici e personaggi influenti e stilando un rapporto. Cosa sta cambiando nel mondo virtuale?
    L’ultima rilevazione ha dato conto di un fatto che era evidente, ovvero la misoginia dominante. Si attaccano quelle donne che ricoprono ruoli che si ritiene non debbano ricoprire: la cantante che tra un brano e l’altro dice qualcosa, la giornalista che invece di stare in cucina si occupa di migranti e così via: se un uomo sale sulla nave di una Ong al massimo gli viene detto che è pagato da Soros, se è una donna la ricoprono di insulti sessisti. I politici hanno cambiato i toni, fanno più attenzione alle parole, restando un centimetro prima del discorso d’odio che poi viene sviluppato dai loro follower: in questo c’è una maggiore scaltrezza rispetto a prima. Tutto questo viene camuffato dalla ‘libertà di espressione’, quando in realtà è solo diffondere odio.

    Leggi anche: 1. Egitto, altri 45 giorni di carcere per Patrick Zaky. Amnesty: “Decisione inumana” 2. Bellanova a TPI: “Sanatoria migranti flop? Macché, i numeri parlano. E ora cancelliamo i decreti sicurezza” 3. Ascanio Celestini a TPI: “Italiani di destra perché più ricchi dei migranti. Salvini è il testimonial di questa malattia” 4. Turchia, la figlia di Erdogan contro il padre per difendere le donne e la Convenzione di Istanbul

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