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Home » Politica

Referendum: ecco perché ha vinto il progetto di Silvio Berlusconi

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L’ultima tornata referendaria, sepolta sotto l’ormai consolidata astensione di massa ben oltre il normale 50% degli elettori, ha confermato una verità non difficile da decifrare: il progetto di Silvio Berlusconi è andato a segno

L’ultima tornata referendaria, sepolta sotto l’ormai consolidata astensione di massa ben oltre il normale 50% degli elettori, ha confermato una verità non difficile da decifrare. Il progetto di Silvio Berlusconi è andato a segno. I quarant’anni della tv commerciale del Cavaliere, il suo esperimento politico durato vent’anni al governo (con saltuarie interruzioni) favorito dalla demolizione sistematica delle ideologie, prodotto e insieme conseguenza della scomparsa dei partiti di massa, ha consegnato al Terzo Millennio un popolo di italiani menefreghisti, di apologeti del nulla, di settari inconsapevoli, di inquilini sordi e ciechi di una società liquefatta, facili prede delle lusinghe dell’uomo forte di turno.

Sparito l’ancoraggio ideologico, scompaginati i parametri della politica tradizionale, livellato al livello più basso il grado di coscienza sociale dei cittadini, il risultato è la cacofonia di una babele indistinta di voci prive di reputazione e attendibilità, pilotate da cinici agit prop men che acculturati, propalatori protervi e senza vergogna di indigeribili slogan propagandistici, pappagallini ammaestrati dal potere a fare da amplificatori del pensiero unico e dominante.

Il progetto Berlusconi risulta appunto vincente perché ha omologato l’opinione pubblica apparentemente spaccata in fazioni e invece appiattita su canoni di insipienza e di ignoranza impensabili fino a una quarantina di anni fa. Salutate nel giubilo la fine delle ideologie, con la fine dell’Urss festeggiata la fine della contrapposizione dei due blocchi (Usa e Urss e rispettivi satelliti) contrapposti, inesorabilmente ci siamo ritrovati, non soltanto noi italiani, ad annaspare nel mare indistinto del relativismo, un abisso in cui tutto è permesso e niente è proibito e la legge del più forte viene adoperata come il passpartout per la verità assoluta e inconfutabile.

Lo stigma berlusconiano che sopravvive e prospera seppure sotto mentite spoglie ha mediamente ridotto la massa degli italiani alla dimensione di quel ragazzino di 12 anni, non troppo intelligente al quale Berlusconi si proponeva di rivolgersi con le sue televisioni commerciali. Il codazzo di attricette, menestrelli, guitti reclutati per i polpettoni scadenti delle tv commerciali (e, ahimè anche per la Rai, un tempo scrigno di cultura), esposti audacemente alla stregua di modelli da imitare, ha fatto presa specie sulle ultime generazioni (ma non soltanto) generando un italiano sostanzialmente apolitico, imbevuto di pregiudizi e incapace di esercitare un controllo critico sulla realtà che lo circonda.

Berlusconi non aveva coltivato un vero progetto politico, ne aveva asservito uno a suo esclusivo vantaggio personale e a presidio della salvezza delle sue indebitatissime aziende a rischio fallimento. Per realizzarlo aveva bisogno di normalizzare gli elettori, intontendoli di promesse irrealizzabili, amplificate dai suoi maggiordomi dell’informazione, blandendoli e indicando loro strade fiorire solo di rose.  Ci è riuscito.

Licio Gelli invece con la sua Loggia P2 il progetto politico autoritario e repressivo lo aveva bene scolpito in testa. Se fosse vivo il Venerabile probabilmente giudicherebbe il terreno propizio per trasformarlo in realtà: un’Italia già in mano ai sovranisti postfascisti, disarticolata socialmente, la presunta sinistra delle barbe finte annidate nel Pd della povera Schlein  (Daniele nella fossa dei leoni renziani) condannata ad ululare alla luna e prossimamente costretta, spero di sbagliarmi. ad accogliere in coalizione i centristi dei gemelli del non gol, al secolo Renzi e Calenda. “L’ascia convinse gli alberi che era una di loro perché aveva il manico di legno” (proverbio turco). Capito il trucco?

Si parva licet, permettetemi una breve digressione in materia. La vittoria di Silvia Salis nella corsa alla sindacatura di Genova, è stata salutata come il frutto dell’alleanza allargata ai due, anzi tre, nani della sarchiaponica area centrista: Renzi, Calenda e quelli di + Europa. Tutti insieme riuniti sotto la lista Riformiamo Genova i tre partiti bonsai hanno raccolto il 2.38% dei voti.  Un’inezia. Eppure si sono intestati la vittoria genovese del campo progressista. E strologano di modello da trasferire in campo nazionale. Dio scampi e liberi!

È una fake news. La coalizione che sosteneva Salis ha raccolto 124mila voti, contro i 108mila dell’alleanza di destra del vicesindaco uscente Piciocchi. Senza i lillipuziani del centro, il centrosinistra avrebbe comunque conquistato palazzo Tursi. Stesso identico risultato se gli elettori dei centrini (meno di tremila) si fossero spostati tutti su Piciocchi. La controprova? Alle regionali dell’ottobre 2024, a Genova il sindaco Marco Bucci (poi vittorioso e transitato a guidare la regione Liguria), era stato battuto dallo sfidante Andrea Orlando per 121mila voti a 103mila. Morale: a Genova il campo progressista sarebbe comunque in vantaggio sul centrodestra che aveva governato la città per otto anni. A prescindere dalla composizione della coalizione.

Per una delle alchimie della politica peggiore, la giunta Salis, appena varata, ha premiato i centrini assegnandole due assessorati: uno ad Azione (Lodi) e uno ad Italia viva (Viscogliosi, già eletta nella lista di  Bucci). Al M5Stelle che aveva ottenuto il doppio dei voti (5,1%) è stato concesso un solo assessorato: Beghin. La matematica in politica a volte diventa un’opinione.

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