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Home » Politica

Cannabis, eutanasia e giustizia: i referendum al vaglio della Corte Costituzionale. Cosa succede il 15 febbraio

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Il 15 febbraio è la data in cui la Corte Costituzionale darà il suo parere sugli otto referendum abrogativi per i quali la Cassazione ha dato il via libera dopo la verifica sulla raccolta delle firme: si tratta del referendum sulla giustizia, che comprende sei quesiti e per il quale sono state raccolte 4.275.000 firme (di cui 18mila digitali), di quello sull’eutanasia, sottoscritto da 1.222.000 persone (di cui 388.000 in formato digitale) e di quello sulla Cannabis, con 630mila firme raccolte (di cui 606.880 digitali).

Ma cosa prevedono i quesiti referendari e cosa succederà il prossimo 15 febbraio?

Referendum sulla giustizia

Il referendum sulla giustizia prevede sei quesiti ed è stato promosso dalla Lega insieme al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. Il primo riguarda la responsabilità civile dei magistrati, che si chiede venga equiparata a quella degli altri funzionari pubblici; il secondo la separazione delle carriere sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti. Il terzo referendum verte invece sulla custodia cautelare ovvero la custodia preventiva di un imputato in attesa di sentenza, se si ritiene che possa esserci pericolo di fuga o inquinamento prove. Se vincesse il sì al referendum il carcere preventivo ci sarebbe solo in caso di pericolo per reati gravi.

Il quarto quesito chiede di abolire la legge Severino, nello specifico la parte in cui si parla di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva: i firmatari vogliono che il giudice decida caso per caso. Il quinto referendum riguarda l’abrogazione del vincolo delle firme per la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura: attualmente infatti un magistrato che voglia candidarsi deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme, il che – secondo i promotori – significa dover ottenere l’appoggio di una delle correnti interne. Il quesito referendario mira, dunque, a permettere a tutti i magistrati di candidarsi, senza dover sottostare al condizionamento delle correnti. Il sesto, infine, interviene sulla valutazione dei magistrati: radicali e Lega vogliono che anche i membri non togati votino per la valutazione dei magistrati.

Il referendum sulla Cannabis

Il referendum sulla cannabis, promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e dai partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani, interviene sul Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope. Esso propone che venga depenalizzata la coltivazione e che si elimini il carcere per condotta illecita della cannabis, con eccezione ovviamente dell’associazione finalizzata al traffico illecito.

In caso di esito positivo del referendum, non ci sarebbe più la sospensione della patente come sanzione amministrativa per chi possiede una piccola quantità di sostanza stupefacente per uso personale. La guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di cannabis continuerebbe “comunque ad essere sanzionata penalmente dall’art. 187 del Codice della Strada”.

Il referendum sull’eutanasia

Il referendum sull’eutanasia legale, promosso, tra gli altri, dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito Radicale, propone di modificare l’articolo 579 del Codice penale, quello relativo all’”omicidio del consenziente“, eliminando alcune parti del testo in modo da legalizzare di fatto l’eutanasia. Oggi, infatti, il medico che somministra un farmaco mortale al paziente che ne fa richiesta è punito con la reclusione in carcere dai 6 ai 15 anni, mentre viene trattato come omicidio comune e viene punito con una pena più severa quello commesso nei confronti di un minorenne, di una persona inferma mentalmente o se il consenso dell’interessato viene estorto con metodi violenti o ingannevoli. Se vincesse il sì, la legge punirebbe solo l’eutanasia di un soggetto consenziente – e con la pena prevista per l’omicidio comune, 21 anni di reclusione o più – nei casi particolari (quando la vittima è minorenne, incapace, oppure il consenso è stato estorto in modo illecito). Sarebbe invece riconosciuta come legittima negli altri casi.

Cosa succede il 15 febbraio?

Martedì 15 febbraio i referendum approderanno al plenum dei 15 giudici costituzionali, sotto la nuova presidenza di Giuliano Amato, per deciderne il destino: ammissibili, in parte ammissibili, oppure del tutto da bocciare. Non è detto che la decisione venga presa il giorno stesso: l’esito verrà trasmesso alla fine della riunione della Consulta, che potrebbe terminare anche il giorno successivo.

La Consulta dovrà verificare che il quesito non sia relativo a una legge per cui il referendum non è praticabile e che la domanda rivolta ai cittadini sia formulata in modo chiaro e comprensibile. Se i referendum verranno ammessi, il voto potrà svolgersi nel periodo dell’anno che va dal 15 aprile al 15 giugno. Trattandosi di referendum abrogativi, sarà necessario il raggiungimento del quorum del 50% degli aventi diritto affinché sia valido. Se i cittadini si esprimeranno in maggioranza per l’abrogazione, ciascuna legge dovrà essere subito “amputata” della parte indicata nel quesito referendario: il Presidente della Repubblica dovrà dichiarare con un decreto l’avvenuta abrogazione (potrebbe rinviare l’efficacia abrogativa fino a un massimo di 60 giorni, per dare tempo alle Camere di provvedere su eventuali lacune prodotte dal vuoto normativo); da quel momento, la disposizione abrogata non avrà più vigore.

In occasione della riunione settimanale in vista delle prossime udienze, tra cui proprio quella di martedì 15 febbraio sull’ammissibilità di otto referendum, Amato ha rivolto un saluto agli assistenti di studio parlando dei referendum. “È banale dirlo, ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare a ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”, ha dichiarato.

“Davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: o cercare qualunque pelo nell’uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione, perché il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare”, ha aggiunto il presidente Amato.

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