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Home » Politica

Il costituzionalista Salvatore Curreri a TPI: “I Cpr non sono una soluzione neppure in Albania”

Immagine di copertina
Credit: AGF

Prima la Consulta e poi la Corte di Giustizia europea hanno sferrato un duro colpo ai Centri per migranti al di là dell’Adriatico. Meloni dà la colpa ai magistrati. Il costituzionalista Salvatore Curreri spiega a TPI cosa è andato storto e che fine faranno

Edi Rama, il premier dell’Albania, ogni volta che vede Giorgia Meloni si inginocchia pubblicamente. E a ben vedere tutta la storia dei centri per migranti (ora Centri di Permanenza per il Rimpatrio, Cpr) al di là dell’Adriatico, non è difficile capirne il motivo. Ma partiamo dall’inizio. Le strutture di Shëngjin e Gjader sono nate da un accordo tra i due Paesi, volto a esternalizzare la gestione dei flussi migratori, in particolare per quanto riguarda le persone intercettate in acque internazionali. L’intesa prevede che, dopo il soccorso in mare, i migranti vengano trasferiti in Albania, dove saranno sottoposti a procedure di identificazione e valutazione delle richieste di asilo, con la possibilità di essere trattenuti appunto nei Cpr.
Negli ultimi mesi, però, il progetto è tornato al centro del dibattito politico. Giorgia Meloni ha difeso l’accordo, ammettendo che «abbiamo perso due anni» ma rivendicando la bontà dell’iniziativa: «Quando entrerà in vigore il nuovo Patto Ue su migrazione e asilo, i centri in Albania funzioneranno come dovevano funzionare dall’inizio. La responsabilità non è la mia, arriveremo due anni dopo a fare esattamente quello che potevamo fare due anni prima». Un modo per ribadire che l’Italia, con il cosiddetto Piano Mattei e gli accordi bilaterali come quello con Rama, vuole costruire un modello di “gestione esterna” dei flussi migratori, spostando sempre più lontano i confini dell’Europa. Dall’altra parte, Elly Schlein ha attaccato duramente il progetto, definendolo «un insulto agli italiani» e «un’operazione illegale»: «Il governo con cattiveria butta 800 milioni di euro per i centri migranti in Albania, dove deportano le persone e poi le devono riportare indietro mentre ne calpestano i diritti». In un’altra occasione, ha rincarato la dose: «Sono vuoti e resteranno così, 800 milioni sprecati». Per la segretaria del Pd, l’accordo con l’Albania «viola il diritto internazionale» e rappresenta la prosecuzione di una politica «cattiva e inutile» in materia di immigrazione.

L’accordo Meloni-Rama
Il Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”, convalidato dalla Corte costituzionale di Tirana nel gennaio 2023 e ratificato dai Parlamenti dei due Paesi il mese successivo, prevede la cessione delle due aree situate a Shengjin e Gjader allItalia «a titolo gratuito» per cinque anni, rinnovabili tacitamente. Le due strutture, una destinata alle procedure dingresso, laltra alla permanenza in attesa della valutazione della domanda d’asilo e dell’eventuale rimpatrio, «sono gestite dalle competenti autorità della parte italiana secondo la pertinente normativa italiana ed europea».
Il protocollo interessa soltanto i migranti che saranno soccorsi in mare dalle autorità italiane, non dalle navi delle ong, e che provengono da Paesi che lItalia considera «sicuri» in virtù dellelenco stilato dal governo (un punto sul quale torneremo). Questi saranno trasferiti sulla nave militare Libra, dove avverrà un primo screening per dividere gli uomini adulti considerati non vulnerabili, che quindi potranno essere portati in Albania, e chi invece dovrà essere sbarcato in Italia (donne, minori, persone vulnerabili). In realtà, nei documenti di gara della prefettura di Roma ottenuti da Altreconomia si chiede al gestore del centro albanese di prevedere «progetti per la gestione del tempo libero dei minori» e «servizi di riabilitazione delle vittime di tortura o di situazioni di grave violenza» nel rispetto della «presenza di situazioni di vulnerabilità e dellunità dei nuclei familiari».
Attualmente i centri possono trattenere solo persone sulla cui testa pende un provvedimento di espulsione, ma che già erano detenute in altri centri italiani. In futuro, le strutture potrebbero tornare a ospitare migranti salvati in mare, ma tutto dipenderà da una sentenza della Corte di giustizia europea. Che non si è ancora pronunciata.

Costi elevati
Quanto ci costa tutto ciò? La spesa complessiva per il 2024 è stata aumentata a quasi 172 milioni di euro, mentre quella complessiva sui cinque anni a circa 680 milioni di euro. Questa stima è stata confermata il 16 ottobre dello stesso anno dal ministro dellInterno Matteo Piantedosi: in un question time alla Camera, ha detto che la spesa prevista per i centri in Albania è di 134 milioni di euro allanno per cinque anni. Fatta la moltiplicazione, si ottengono 670 milioni di euro complessivi. «A seconda della variabilità del funzionamento delle strutture legata allandamento dei flussi migratori», lo stanziamento «potrà anche rivelarsi superiore ai costi effettivi», ha comunque sottolineato Piantedosi. Per il momento, dunque, questa cifra non corrisponde a soldi già tutti spesi ma è legata allattuazione dellaccordo tra Italia e Albania fino al 2028. In più, per ora la stima va rivista al ribasso, visto che i costi sostenuti questanno sono inferiori rispetto al previsto, a causa del ritardo nellapertura dei centri.

Dalla teoria alla pratica
A ottobre e novembre 2024, per due volte, le navi della nostra Marina Militare e della Guardia di Finanza hanno trasbordato persone migranti in Albania. Ma, dopo pochi giorni, sono state costrette a riportarle in Italia su ordine dei giudici nostrani. Il motivo ruota attorno alla definizione di «Paese sicuro». LItalia considera sicuri anche Stati come Tunisia, Egitto e Bangladesh, da dove sono arrivati i primi migranti trasportati in Albania. Ma i giudici europei non sono daccordo. La Corte di Giustizia dell’Ue ha sentenziato che un Paese, per essere considerato sicuro, lo debba essere in ogni parte del suo territorio e per ogni categoria di persone. Egitto e Bangladesh, ad esempio, non garantiscono i diritti degli oppositori politici di alcune minoranze, come la comunità Lgbtqia+. Ed ecco perché le persone provenienti da quei Paesi, come stabilito dai giudici italiani, sono state tutte ritrasferite dallAlbania allItalia nellarco di pochi giorni.
Non è detto che in futuro lUnione europea non cambi opinione sui Paesi sicuri. Una nuova sentenza è infatti attesa questanno e il Governo spera che sia indulgente con la lista di Paesi sicuri stilata dallItalia, per decreto, nellottobre 2024. Intanto, però, Gjader è diventato lundicesimo Cpr italiano e il primo costruito fuori dai confini nazionali. Al suo interno si trovano detenute, senza dover scontare pene, solo persone destinatarie di provvedimento di espulsione.

Il verdetto di luglio
Ma veniamo ai giorni nostri. A inizio luglio, il trattenimento delle persone straniere nei Cpr italiani e nelle strutture in Albania è tornato al centro del dibattito politico e mediatico. Lo scorso 3 luglio, infatti, la Corte costituzionale ha depositato la sentenza in risposta al dubbio di costituzionalità sollevato dal Giudice di pace di Roma, che si era trovato a decidere se convalidare o meno il trattenimento di alcune persone straniere in un Cpr. In particolare, il giudice aveva chiesto alla Corte di chiarire se questo rispettasse o meno larticolo 13 della Costituzione, che ammette restrizioni della libertà personale «nei soli casi e modi previsti dalla legge».
Nella sentenza, la Consulta ha effettivamente riscontrato che il trattenimento nei Cpr implica un «assoggettamento fisico allaltrui potere» e che i «modi» in cui avviene la limitazione della libertà personale non sono adeguatamente disciplinati dalla legge come esige la Costituzione. Eppure ha giudicato inammissibile il ricorso dicendo che «non è ad essa consentito porre rimedio al riscontrato difetto, ricadendo sul legislatore il dovere ineludibile di introdurre una normativa compiuta, la quale assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona trattenuta». In altre parole: sui Cpr c’è un vuoto di tutela contrario alla Costituzione, ma spetta al Parlamento porre rimedio con una legge, non ai giudici.

Questione di costituzionalità
Sul punto abbiamo chiesto lumi al professor Salvatore Curreri, costituzionalista e professore di diritto costituzionale alluniversità di Enna. «La Corte Costituzionale ha avuto il merito di porre all’attenzione del legislatore le attuali condizioni di “detenzione degli stranieri” in questi Cpr, perché certamente, sulla base della sentenza della Corte, il legislatore/Governo dovranno muoversi. Il Governo sostiene che loro avevano già in animo di intervenire. In realtà non sembrava che il governo si stesse muovendo in questo senso, ma a questo punto ci si attende un intervento sul tema», spiega a TPI.
Secondo il professor Curreri, la Corte Costituzionale avrebbe potuto fare un passo in più: «La Corte sostanzialmente dice, se mi consente una battuta, “potrei ma non voglio”. Ossia la Corte riconosce la situazione di incostituzionalità riguardante lattuale disciplina che determina le modalità di trattenimento nei Cpr delle persone migranti, e lo fa in virtù del fatto che tale disciplina è contenuta in fonti di carattere secondario, cioè in regolamenti e poi in provvedimenti prefettizi e quindi in violazione della riserva di legge. La Corte dice chiaramente che qui si tratta di provvedimenti limitativi della libertà personale. Nel senso che nell’articolo 13 della nostra Costituzione si afferma che questi ultimi devono essere disciplinati per legge. Ecco, dopo aver detto tutto questo, dopo aver posto le premesse per un’aspettativa di dichiarazione di incostituzionalità, poi la Corte si ferma, perché dice che non può intervenire a risolvere con una sentenza questo problema perché non può sostituire allattuale disciplina un’altra che andrebbe a colmare questo vuoto».

La palla al Governo
«A questo punto – prosegue Curreri – la Corte passa la palla al legislatore. Io personalmente mi sono permesso di criticare questa soluzione per due motivi. Il primo è che la Corte avrebbe anche potuto dichiarare la incostituzionalità, per così dire, secca di questa disposizione. Cioè non è che la Corte si deve sempre addossare il compito di sostituirsi al legislatore. Quando può certamente è opportuno che lo faccia con la sentenza sostitutiva. Per esempio anche nella sentenza sull’aiuto al suicidio in cui la Corte di fatto si è sostituita al legislatore indicando le condizioni in cui l’aiuto al suicidio non è penalmente perseguibile. Però non è che in nome della leale collaborazione la Corte si deve sempre addossare questo fardello per cui non può dichiarare incostituzionale la disposizione se non riesce a correggerla. Avrebbe potuto tranquillamente dichiarare incostituzionale la disposizione e a quel punto il Governo sarebbe stato a maggior ragione legittimato a intervenire subito con un decreto legge. Di decreti legge se ne fanno centinaia, ormai se ne fanno due o tre al mese e forse in questo caso un decreto legge sarebbe stato certamente rispondente ai presupposti di necessità durgenza richiesti dalla Costituzione, il Governo avrebbe potuto subito intervenire per rimediare». Ma Curreri va avanti, «la seconda soluzione è la cosiddetta incostituzionalità prospettata. Cioè la Corte talvolta, è successo per esempio anche con l’aiuto al suicidio, dice: “Attenzione qui c’è una situazione di incostituzionalità, io non te la dichiaro subito, ti do un anno per intervenire, dopodiché se tu entro un anno non intervieni, intervengo io”. Quindi la Corte avrebbe potuto essere da questo punto di vista un po’ più attiva, un po’ più incisiva».

La sentenza europea
C’è poi il problema della cosiddetta “Esternalizzazione dei migranti”, rispetta il diritto internazionale? Su questo punto Curreri afferma che «il problema dei criteri con cui si identificano i Paesi sicuri diventa decisivo, dirimente per la procedura accelerata che viene applicata in questi casi». Il primo agosto sul tema si è espressa la Corte di Giustizia europea. Al momento in cui scriviamo, il testo completo della decisione non è ancora disponibile ma la Corte ne ha anticipato i punti principali con un comunicato stampa e la sentenza è arrivata come un macigno sul governo Meloni. Secondo i giudici in Lussemburgo, spetta a un giudice la valutazione sui «Paesi sicuri» di origine ai quali rinviare i migranti e nell’elenco non ci può essere chi «non offra a tutta la sua popolazione una protezione sufficiente». Una pronuncia che suona come uno stop ai centri di Shengjin e Gjader, dove le autorità italiane trasferiscono i migranti soccorsi nel Mediterraneo e provenienti da Paesi ritenuti sicuri, in attesa di giudizio accelerato sulle loro richieste d’asilo.
Questa regola è decisiva nei casi in cui la domanda di protezione internazionale di un cittadino straniero viene respinta attraverso la cosiddetta procedura accelerata di frontiera”, che si applica quando il Paese di provenienza è stato inserito in una lista di Paesi sicuri da uno Stato membro. I giudici hanno chiarito che ogni Stato dellUe può decidere autonomamente quali Paesi inserire in questa lista, anche con una legge, ma questa decisione non è insindacabile: deve poter essere controllata dai tribunali. Inoltre, le fonti di informazione usate per stabilire che un Paese è sicuro devono essere disponibili sia per i richiedenti asilo sia per i giudici, in modo da permettere un esame completo e una reale tutela dei diritti. La Corte di Giustizia ha precisato che, fino allentrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla procedura dasilo, prevista per il 12 giugno 2026, un Paese non può essere considerato sicuro se non lo è per tutti i suoi abitanti e in tutte le sue aree. Con il nuovo regolamento, invece, gli Stati potranno introdurre eccezioni e considerare sicuro un Paese anche solo per determinate categorie di persone, superando lattuale requisito di sicurezza generale.
La pronuncia era particolarmente attesa in Italia. Il Governo incassa il colpo, ma non arretra e si apre l’ennesimo scontro con la giustizia – stavolta europea – perché per l’esecutivo «rivendica ancora spazi che non le competono, a fronte di responsabilità politiche. Così si indeboliscono il contrasto all’immigrazione illegale di massa e la difesa dei confini». Dal governo è poi filtrata la rassicurazione che i centri in Albania «continueranno a operare come Cpr, come già accade da alcuni mesi». A Gjader, infatti, dallo scorso aprile, è operativo un centro che accoglie migranti trattenuti nei Cpr italiani, mentre quello per richiedenti asilo a cui si applica la procedura accelerata di frontiera – oggetto della sentenza – è oggi inattivo.

Futuro incerto
Qual è il futuro di questi centri? Secondo Curreri, le strutture verranno mantenute. «Spero che il Governo faccia seguito alle promesse e decida di sanare la situazione di incostituzionalità rilevata dalla Consulta. Dopodiché, pensare di risolvere il problema dei migranti aumentando i centri di permanenza per il rimpatrio è una soluzione, secondo me, miope. I numeri ci stanno dimostrando che non è quella la strada principale, la strada sta nell’eventuale possibilità di orientarli verso la domanda di lavoro che molte imprese hanno. Il problema dell’immigrazione è un problema epocale che va risolto in maniera strutturale. Anche con il cosiddetto piano Mattei. Ma è comunque un problema che riguarda lEuropa».

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