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Tutto molto bello: Bruno Pizzul, l’uomo che rivoluzionò le telecronache calcistiche

Immagine di copertina
Bruno Pizzul in una foto del 2017. Credit: Nicola Marfisi / AGF

Sommo maestro di competenza calcistica, Bruno Pizzul ci ha lasciati questa mattina a Gorizia tre giorni prima del suo 87esimo compleanno. Nato a Udine l’8 marzo 1938, Pizzul, dopo essersi diplomato al liceo classico e, successivamente, laureato in giurisprudenza, si barcamenò tra il sogno di diventare calciatore professionista, sfiorando la Serie A nel 1958 con il Catania, e l’insegnamento di materie letterarie alla scuola media di San Lorenzo Isontino. A incanalare definitivamente la sua vita professionale fu, nel 1969, un concorso per giovani radiocronisti della sede Rai del Friuli Venezia Giulia, vinto il quale si trasferì a Milano. Rimase, tuttavia, sempre legatissimo alla sua terra natale, il cui dialetto amava usare negli incontri con i suoi amici più cari a cominciare da Enzo Bearzot, Cesare Maldini e Dino Zoff. Pur vivendo in città, non prese mai la patente, preferendo andare al lavoro alla Rai di Corso Sempione in bicicletta e utilizzando, quando proprio necessario, la moglie Maria come autista

Il primo ruolo in cui Pizzul viene ricordato dal grande pubblico fu quello di uomo della moviola alla Domenica Sportiva, in cui si alternava con Carlo Sassi. A farlo conoscere ai calciofili, però, fu la decisione presa dalla Rai, all’inizio della stagione 1972/73, d’introdurre, affidandola a lui, la telecronaca d’un tempo d’una partita di Serie B sul secondo canale alle ore 18.20, a mo’ di traino per quella successiva di Serie A in programma alle 19.05 sul primo. Fu in questo salottino per intenditori che Bruno spiccò il volo, dando vita a un tipo di telecronaca in cui miscelava, con pacato equilibrio, innovazione e competenza. Emerse subito lampante la sua diversità dallo stile decisamente antiquato dei suoi predecessori, Nicolò Carosio e Nando Martellini. Nel giro di poco tempo espressioni quali “in seconda battuta” o “stop con aggancio a seguire” entrarono a far parte del lessico calcistico comune. Se è pur vero che questi suoi tecnicismi sono ormai abusati dai telecronisti odierni, quello che, però, nessun suo epigono è mai riuscito a riprodurre è il modo sobrio in cui Pizzul riusciva a coinvolgere lo spettatore con accenni sintetici ancorché coloriti, quali “va per le terre” o “rilancio alla viva il parroco”. Con mio padre, anche lui giornalista, amavamo disquisire su questo suo lessico particolare, non troppo dissimile da quello di Sandro Ciotti, altro sommo cantore del pallone, seppure alla radio.

Non mancava a Pizzul l’entusiasmo, sempre esibito in modo misurato. Questa sua peculiarità venne a galla in un’occasione insolita: il giorno della gara in linea di ciclismo maschile dei Giochi Olimpici del 1996 ad Atlanta. Con una scelta ispirata era stato deciso che, ad affiancare quel giorno Adriano De Zan, fosse proprio lui. Fu un’eccezione che confermava la regola in quanto a lui non piacevano le seconde voci, ritenendo giustamente che la sua conoscenza del calcio fosse tale da poter gestire una telecronaca da solo. Nell’occasione, però, lui, amante della bicicletta, manifestò pubblicamente la sua emozione, considerando un grande onore commentare un evento così importante insieme al divino Adriano, quasi quella telecronaca fosse destinata a diventare un pezzo unico, un affresco dipinto a quattro mani da Michelangelo e Raffaello.

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