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Le tangenti di Fiat Chrysler in Usa e l’importanza di un’informazione libera

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Illustrazione di Emanuele Fucecchi

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S&D

Se negli anni del berlusconismo ruggente, quando – seppur più nelle piazze che in Parlamento – esisteva un’opposizione al governo del “caimano”, un’azienda legata a Berlusconi avesse patteggiato una multa salatissima per la corruzione di uno dei più importanti sindacati americani, beh credo che se ne sarebbe parlato a lungo nei dibattiti televisivi. Immagino attacchi politici e mediatici, progetti di legge (quantomeno annunciati) per affrontare il cancro delle tangenti, giornalisti d’assalto spediti alla ricerca di B. per domandargli “lei non sapeva nulla?”.

Erano altri tempi. Paradossalmente meno conformisti di quelli che stiamo vivendo. L’assembramento governativo con la conseguente tregua politica (rotta solo da “scaramucce”) pare abbia contaminato – o forse è avvenuto l’esatto contrario – anche gran parte del sistema mediatico nostrano. Un sistema, quello italiano, che si è progressivamente deteriorato per via dei conflitti di interesse mai risolti, della pavidità di alcuni (non tutti) direttori di giornale, per lo strapotere degli editori impuri, pezzi grossi dell’establishment che hanno deciso di acquistare giornali e radio non perché amanti della libera informazione o perché legittimamente interessai a guadagnarci su.

No, i potenti della terra possiedono i giornali per garantirsi un “media-dome”, una cupola mediatica a protezione dei loro innumerevoli business che nulla hanno a che vedere con l’informazione. Berlusconi pare che non stia bene (auguri di pronta guarigione) ma il berlusconismo è vivo e vegeto e si insinua in luoghi inimmaginabili. Per lo meno un tempo.

“Fca-sindacati, il caso dei pagamenti allo Uaw si chiude con una sanzione di 30 milioni”. Questo è il titolo che Repubblica.it ha scelto per descrivere il caso al quale mi riferisco: ovvero un maxi-patteggiamento che Fiat Chrysler ha accettato per porre fine ad uno scandaloso caso di corruzione sindacale. Nel titolo spariscono le parole corruzione, scandalo, cospirazione. Le tangenti diventano pagamenti ed una multa salatissima si trasforma in sanzioni. Il pezzo è abbastanza accurato ma è noto, il titolo conta, ahimè, molto più del testo. Non solo perché è il titolo ciò che più viene letto maggiormente ma perché è sui titoli degli articoli che si costruisce la rassegna stampa televisiva che, a sua volta, nella maggior parte dei casi, è la base sulla quale si scrive la scaletta dei talk-show politici. Ecco perché possedere un giornale, nonostante il crollo delle vendite, è ancora un buon affare per i “padroni del vapore”.

Il 17 agosto scorso Paul Bormandi, giudice federale di Detroit, ha approvato il patteggiamento tra Fiat Chrysler Usa (oggi parte di Stellantis, la multinazionale automobilistica che ha John Elkann come presidente) e la procura federale. Stellantis dovrà pagare allo Stato del Michigan 30 milioni di dollari perché alcuni dirigenti di FCA versarono oltre 3 milioni di euro in tangenti ai pezzi grossi del sindacato United Auto Workers (Uaw).

Fiat Chrysler, già gruppo Fiat, ha, di fatto – come titola Il Manifesto – corrotto il più grande sindacato automobilistico statunitense. Un mutuo da quasi 300.000 dollari di General Holiefield, all’epoca vice-presidente dello Uaw, venne estinto grazie ai denari provenienti da un fondo che doveva servire alla formazione professionale degli operai finanziato proprio da Fiat Chrysler. Altri leader del sindacato ottennero regali di lusso, auto, viaggi. Coloro che dovevano tutelare i lavoratori, soprattutto durante la delicata fase di contrattazione salariale tra i dirigenti di FCA (il gruppo Fiat aveva appena acquisito Chrysler), accettarono mazzette da parte di alcuni dirigenti della casa automobilistica. General Holiefield era il sindacalista responsabile del negoziato con Fiat Chrysler. E’ evidente che i soldi siano arrivati ad alcuni sindacalisti per ammorbidirli durante le trattative. Il tutto contro gli interessi dei lavoratori e a vantaggio dell’azienda. Film visti e rivisti ma sempre meno raccontati.

Adesso leggete questo titolo: “Detroit, bufera sull’ex dirigente Fca: lusso e bella vita in combutta con un sindacalista, grazie ai fondi per la formazione”. Roba populista/giustizialista si potrebbe dire. Ebbene è il titolo di un articolo pubblicato su La Repubblica il 28 luglio del 2017 quando il gruppo GEDI, editore del giornale, non apparteneva ancora alla EXOR, la finanziaria olandese il cui numero uno è proprio John Elkann, presidente, come già ricordato, di Stellantis, il gruppo che oggi controlla Fiat Chrysler e che, accettando il patteggiamento, ha di fatto ammesso le proprie responsabilità su “una delle maggiori, se non la maggiore, violazioni del Labor Management Relations Act” come ha sostenuto Erin Shaw, rappresentante della procura federale.

L’impresa italiana Fiat, di fatto, non esiste più. Tuttavia l’anno scorso Fiat Chrysler ha ottenuto un prestito da 6,3 miliardi di euro garantito dallo Stato italiano. Gualtieri, all’epoca ministero dell’economia disse: “verificheremo il rispetto impegni”. Beh, credo che accendere un faro sulle tangenti pagate dai dirigenti di Fiat Chrysler ai sindacati USA per piegarne le resistenze sia un dovere sia da parte del mondo politico che da parte di quello giornalistico. Qualcuno il faro lo acceso in effetti, molti altri hanno preferito accendere tenui fiammelle già spente nel giro di poche ore. E così difficilmente si parlerà del caso nei talk-show che stanno per iniziare, difficilmente verrà posta una domanda al riguardo ai politici che faranno a gare per parteciparvi, difficilmente – tra qualche settimana – la gran parte degli italiani si ricorderà di un fatto del genere.

Vi sono eccellenti giornalisti in tutte le testate italiane, La Repubblica inclusa. Ma chi nega che la proprietà influisca sulle priorità redazionali nega la realtà. L’accentramento del potere mediatico in poche mani è un dramma più grave oggi che durante i ruggenti anni del berlusconismo. Quantomeno che B. fosse proprietario di giornali e TV lo sapevano tutti. Oggi milioni di lettori o internauti ignorano a chi appartengano decine di giornali, web-tv, radio e siti-web che leggono o frequentano giornalmente. Viviamo nell’era dell’infodemia. Siamo bombardati da centinaia di informazioni (spesso false e tendenziose) ma ignoriamo l’essenziale. Ed è essenziale conoscere nel dettaglio i padroni delle testate che ci bombardano quotidianamente.

The Post Internazionale nei prossimi giorni lancerà un settimanale cartaceo. E’ una scommessa. Credo, onestamente, che vi sia un disperato bisogno di informazione libera e di giornali che siano dipendenti dai lettori. Chi vive esclusivamente (o quasi, dato che esistono le pubblicità) in virtù delle scelte dei lettori è evidentemente più incline al coraggio, all’onestà intellettuale e all’anti-conformismo di chi sa che può restare in vita anche se non vende in edicola ma sa vendersi altrove.

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Leggi anche: Perché facciamo un nuovo settimanale (di Giulio Gambino) / Stiamo arrivando: il video teaser con le firme di The Post Internazionale (TPI)

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