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Comunque vadano le elezioni, una cosa è certa: oggi l’Europa politicamente non esiste

Immagine di copertina
Credit: AP

Così com’è, l'Ue è funzionale quasi solo agli interessi degli Stati Uniti

Fra due settimane si vota e più che la canonica domanda “per chi?”, per la prima volta ci poniamo un quesito ancora più angosciante: per cosa? Per cosa dovremmo votare, infatti, l’8 e il 9 di giugno?

Ursula von der Leyen, recentemente ospite della trasmissione di Fabio Fazio, ha affermato che la prossima maggioranza da cui vorrebbe essere sostenuta, in caso di rielezione alla guida della Commissione europea, dovrebbe essere composta da deputati europeisti, filo-Ucraina e a favore dello Stato di diritto.

Due delle tre caratteristiche ci sembrano scontate, la terza costituisce, invece, il motivo per cui sarebbe opportuno che la signora in questione andasse a ricoprire un altro incarico.

E non perché siamo filo-Putin o perché non comprendiamo il dramma del popolo ucraino, ma per le ragioni esattamente opposte. Proprio perché sono due anni che ci sgoliamo a sostenere che la guerra sia una follia a prescindere e che un conflitto diretto con la Russia potrebbe condurre l’umanità alla catastrofe, riteniamo infatti che una delle principali responsabili del vassallaggio dell’Unione europea nei confronti degli anglo-americani debba passare la mano. 

E no, non ci auguriamo nemmeno che sia sostituita da Draghi, dato che il nostro potrebbe arrecare, in tal senso, danni addirittura maggiori.

Armata Brancaleone
Duole dirlo, ma l’Europa, al momento, non esiste. Non a caso, Lucio Caracciolo ha affermato che a giugno non assisteremo alle elezioni europee, come vengono pretenziosamente definite, ma alla sarabanda di ventisette Stati che votano contemporaneamente. E basta seguire il dibattito pubblico, non solo in Italia, per rendersi conto che non esista un’opinione pubblica europea. 

Sarebbe bello, difatti, se si dibattesse su pace e guerra, sul futuro delle energie rinnovabili e su come rendere il nostro continente il più avanzato sul piano dei consumi e dei diritti sociali e civili; peccato che all’interno di quest’Armata Brancaleone, di cui quest’anno si celebra il ventennale di un allargamento sbagliato nei modi, nei tempi e negli interpreti, abbiano, all’opposto, parecchia voce in capitolo anche Paesi che non rispettano uno solo dei parametri che abbiamo stabilito per delineare il nostro modello di convivenza. 

Si cita spesso l’Ungheria, probabilmente perché Orbán è smaccatamente putiniano, dunque ritenuto sacrificabile, ma che dire di alcuni Paesi dell’Est in cui ogni forma di fascismo viene accettata e incentivata? E davvero le colonne del Vecchio Continente, Francia e Germania, possono ritenersi al riparo da questi fenomeni? Stando ai sondaggi, non si direbbe.

Come ripetiamo da tempo, la globalizzazione liberista è un dio che ha fallito, tanto che persino un analista mainstream come Martin Wolf, storica firma del Financial Times, ha da poco pubblicato un saggio in cui si interroga su come salvare il capitalismo democratico dall’implosione.

Verrebbe voglia di rispondergli che l’espressione “capitalismo democratico” è un ossimoro ma, ammesso e non concesso che i due termini possano coesistere, siamo arrivati al punto che non sia rimasto più nulla da salvare.

E se non vogliamo che il nuovo ordine globale, che di fatto sta già sorgendo, sia interamente a trazione sino-russa, con gli Stati Uniti costretti a gestire il proprio declino, ossia ad assistere al proprio disfacimento sotto l’egida trumpiana, e l’Europa condannata a un ruolo ancillare, dobbiamo essere noi europei a prendere le redini dell’Occidente e a far finalmente sentire la nostra voce. 

 Assenza
Invece accade il contrario. L’Unione europea non esiste. Ormai siamo ben oltre la battuta, attribuita a Kissinger, secondo cui non si sa chi si debba chiamare quando si voglia parlare con l’Europa; siamo all’irrilevanza. Anche, se non soprattutto, per colpa della gestione von der Leyen, sull’Ucraina non abbiamo detto mezza frase sensata in un biennio. 

Dapprima, abbiamo tacciato i pacifisti di essere dei nefandi alleati di un autocrate che essi hanno sempre combattuto. Poi, ci siamo imbarcati in un’ondata di auto-sanzioni, che hanno finito con lo schiantare l’economia europea mentre la Russia cresce alla grande e ha rafforzato i propri rapporti con le potenze emergenti (circa quattro miliardi di abitanti contro i poco più di ottocento milioni dei contraenti del Patto Atlantico).

Infine, abbiamo traslato l’idea di Europa nella Nato, bacchettando chiunque facesse notare che il rafforzamento della seconda rendesse automaticamente impossibile l’affermarsi della prima, inibendo oltretutto la possibilità di dar vita a una difesa europea, di cui si è cominciato a parlare solo nell’ultimo anno, cioè quando si è capito che Biden avesse i mesi contati alla Casa Bianca.

Per non parlare poi della nullità europea su Israele, resa ancor più palese dalla recente, ignominiosa astensione di molti Paesi della Ue in merito all’ammissione a pieno titolo della Palestina alle Nazioni Unite. 

Torna in mente uno slogan di ventitré anni fa: «Voi G8, noi sei miliardi». Oggi assistiamo a uno sparuto gruppo di Stati, in profonda crisi demografica, che si schiera contro centoquarantatré nazioni, dichiarando sostanzialmente guerra al mondo e non rendendosi neanche conto di quanto tutto ciò sia ridicolo.

E domani?
Le prospettive, purtroppo, non sono rosee. Forse, si riuscirà in qualche modo ad allestire l’ennesimo caravanserraglio con dentro tutte le forze della conservazione, sempre più indistinguibili e arroccate in difesa di una cittadella ormai assediata, ma questa rischia di essere la fine dell’Europa in atto, dopo che ci siamo già abbondantemente giocati quella in potenza. 

Chi volete che si appassioni, infatti, a un progetto ormai naufragato, a una costruzione senza fondamenta solide, a una fortezza ampiamente espugnata dalla realtà, con una guerra al proprio interno che non fa altro che fomentare un conflitto potenzialmente devastante alle porte, una marea di malessere e disperazione proveniente dall’Africa che prova ad arginare chiudendosi in se stessa e finanziando ogni sorta di ceffo per fermare i migranti e un’assoluta incapacità di cambiare? 

Come pensate che possa sopravvivere quest’abitazione dal tetto scoperchiato quando stanno per arrivare al potere partiti come quello della Le Pen in Francia e un gruppo neo-nazista in Germania?

Ci si può sempre affidare ai miracoli, ma temiamo che non funzionino più. E non funzionano più soprattutto per colpa del fu versante progressista: il socialismo francese, la sinistra italiana, le socialdemocrazie scandinave e quella tedesca, tutti attori consunti e privi di identità che ripetono a pappagallo slogan privi di senso.

Più armi, meno welfare, i governi col pilota automatico, il riformismo, trasformatosi nel tempo da strumento per migliorare le condizioni dei più deboli in flagello per la collettività, e altre follie del genere: sono trent’anni che questa galassia brancola nel buio e imita gli avversari. E sono trent’anni che perde e si perde. 

Ora siamo al redde rationem. Voteremo, ancora una volta, per senso del dovere, per non darla vinta a una simile classe dirigente, ma quest’Europa è finita e bisogna prepararsi ad affrontare gli scenari peggiori.

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