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    [Retroscena] Con le dimissioni di Di Maio, Salvini perde il suo “uomo forte” nel Movimento 5 Stelle

    Luigi Di Maio e Matteo Salvini

    L'ex "capo politico" del Movimento 5 Stelle non aveva mai fatto mistero di una certa "comunanza di vedute" con il leader della Lega, soprattutto su temi chiave come i migranti

    Di Fabio Salamida
    Pubblicato il 22 Gen. 2020 alle 21:03 Aggiornato il 23 Gen. 2020 alle 21:35

    Dimissioni Di Maio, ora Salvini perde il suo “uomo forte” nel M5S

    Le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del Movimento 5 Stelle sono tutto fuorché un fulmine a ciel sereno: erano state ipotizzate già all’indomani delle elezioni europee, quando il partito della Casaleggio Associati lasciò per strada sei milioni di voti rispetto al boom delle politiche e fu superato da un Partito Democratico ancora convalescente.

    Trentatré anni e una scalata politica senza precedenti nella storia della Repubblica, in pochi anni dagli spalti dello Stadio San Paolo di Napoli alla Farnesina, passando per Palazzo Chigi, Di Maio rinuncia allo scettro di comando dopo mesi di pressioni, dopo il fallimento dell’esperienza di governo con la Lega e soprattutto dopo una sequela di sconfitte che portano la sua firma (Abruzzo, Sardegna Basilicata, Piemonte, europee).

    Spesso irriso dagli avversari per i suoi congiuntivi sbagliati e per alcune celebri gaffe come Pinochet in Venezuela e “Ping” Segretario generale del Partito Comunista Cinese, dai suoi è stato accusato in modo più o meno esplicito di aver gestito il Movimento in modo poco collegiale, di aver accentrato su di sé troppe cariche, ma soprattutto – rigorosamente a microfoni spenti – di essere stato “l’uomo forte” di Matteo Salvini nel Movimento sia durante che dopo l’esperienza del governo “gialloverde”.

    Le mura di Montecitorio ancora sussurrano della sua disperata resistenza contro la decisione ormai presa altrove di dar vita al governo “giallorosso” e dei suoi attriti con il premier Giuseppe Conte, che invece facilitò e non poco l’alleanza di governo con il Partito democratico in accordo con Beppe Grillo e Davide Casaleggio. C’è chi giura che il forte legame di amicizia unito a una certa “fascinazione” verso Matteo Salvini abbiano pesato non poco sulle scelte politiche. 

    Retroscena a parte, una certa comunanza di vedute tra “Giggino”, quello che voleva fare il premier e il leader della Lega era emersa in varie occasioni, soprattutto su temi caldi come i migranti. L’ormai ex “capo politico” del Movimento 5 Stelle definì le navi delle Ong che salvano esseri umani nel Mediterraneo “taxi del mare”, appoggiò con convinzione i cosiddetti “decreti sicurezza” ed ebbe un ruolo tutt’altro che secondario nel salvataggio dell’amico dal processo sul caso Diciotti.

    Nei “giorni danzanti” del Papeete Beach, si racconta che Di Maio fu l’ultimo ad abbandonare la suggestione di un secondo governo con la Lega, probabilmente inebriato dell’idea di poter varcare la soglia della casa di famiglia di Pomigliano D’Arco da presidente del Consiglio, una carica che gli fu offerta proprio da Salvini.

    Con l’eccezione dell’Umbria, partita già scritta e laboratorio assai inadatto a sperimentare possibili alleanze con il Pd di Zingaretti, Di Maio non ha mai nascosto la sua contrarietà a possibili intese locali con i dem. Si dimette da “capo politico” quattro giorni prima dei test elettorali in Emilia-Romagna e Calabria, regioni in cui ha di fatto condannato all’irrilevanza il Movimento 5 Stelle.

    E ora che succede? Molto dipenderà dai risultati di domenica (che non potranno non avere ricadute sul governo) e soprattutto sull’entità del più che probabile tracollo pentastellato. Un’eventuale sconfitta per pochi decimali di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna, unita a un risultato più deludente del previsto di Simone Benini, il candidato grillino sconosciuto persino al “facilitatore” delle campagne elettorali grilline, il mitico Danilo Toninelli, aprirebbe uno scontro all’interno della maggioranza sulla scelta della “corsa solitaria” del Movimento 5 Stelle.

    E anche in Calabria, dove la vittoria della destra si annuncia assai netta, bisognerà contare i voti di Francesco Aiello per capire se un’eventuale convergenza su Pippo Callipo – figura molto gradita agli esponenti M5S della regione – avrebbe o meno cambiato l’esito della partita. Una cosa è certa: da oggi il “capo politico” del Movimento 5 Stelle non è più un amico del leader della Lega e l’alleanza di governo con il Partito Democratico potrebbe evolversi in qualcosa di più organico, soprattutto in vista dei prossimi cruciali appuntamenti elettorali. E chissà che questo non possa annunciare l’ennesima inaspettata “scissione” di questa pazza legislatura.

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