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Democrazia senza popolo e Movimento reazionario di massa (di M. Smeriglio)

Immagine di copertina
Credit: ansa foto

L’assalto alla CGIL è fascista, un atto squadrista pianificato e gestito da neofascisti dichiarati. Un atto gravissimo contro una delle forze sane del Paese. Su questo non ci sono dubbi. È di tutto il resto che dovremmo discutere. Le elezioni ad esempio. Siamo assolutamente soddisfatti per i risultati sin qui raggiunti nelle grandi città.

Ma non basta. Non basta perché la distanza dalla dinamica elettorale appare aumentare ad ogni tornata. Così come l’astensionismo. Se osserviamo il risultato elettorale da dentro la bolla degli “inclusi” , di chi è dentro le dinamiche politiche e sociali, la soddisfazione è massima. Ma se allarghiamo lo sguardo la storia cambia. Più della metà dei potenziali elettori, morsa dal disincanto, non usa le urne e semplicemente le ignora.

Chi partecipa al voto si divide in due, tre o quattro poli a seconda della piazza. Più di un pulviscolo invisibile di altre proposte. Anche quando si vince, si rimane minoranza del corpo elettorale e sociale del Paese. Una sorta di democrazia senza popolo, di vittorie senza spinta emotiva costruite grazie alla forza della leadership. Come accade a Milano, Bologna, Napoli, grazie a Sala, Lepore, Manfredi.

Una surroga importante, ma che non risolve la questione di fondo. Nel mentre, cresce la bolla degli “esclusi”, cresce anche per le difficoltà del M5S di continuare a dialogare con questi mondi. Mondi indifferenti alla costruzione della opinione pubblica mainstream fatta di quotidiani che vendono sempre meno e che contano sempre di più, di talk con una compagnia di giro inossidabile, di opinionisti che parlano solo alla bolla che li contiene e che sostanzialmente non vedono tutto il resto.

Ciononostante, in questi anni, con il detonatore no-vax è cresciuta una comunicazione fuori dai circuiti tradizionali che oggi raggiunge una quota consistente della popolazione. Un flusso di comunicazione confuso, con fonti estemporanee, pregno di pregiudizi, di capri espiatori, di stregoneria digitale ma dannatamente efficace. Le 10-15mila persone in piazza del Popolo sono una sberla che non dobbiamo sottovalutare. Per queste persone, no vax, no green pass, fake news supporters etc. noi siamo il sistema. E contro il sistema serpeggia il furore.

Possiamo risolvere questa vicenda agendo esclusivamente sulla leva repressiva. Oppure possiamo provare a capire, dividere, scomporre, dialogare quando è possibile, contrastare strada per strada quando necessario. I fascisti non sono una parte del tutto, sono la parte egemonica che ha trasformato questo coacervo di umori in movimento reazionario che parla alle masse. Sono egemoni anche per il portato di fondo delle culture complottiste e dei risentimenti che animano queste realtà. Compresa la pretesa di una libertà ipertrofica, individualista, incapace di concepire la responsabilità e lo spazio pubblico. Possiamo ignorare tutto ciò, perché l’aspetto formale della dialettica democratica è salvaguardato e delegare ancora una volta alla magistratura la soluzione. Oppure possiamo immergere la testa in quella pozza nera per provare a capire come intervenire, disarticolare. Non per bontà, ma perché una democrazia fragile, con base popolare ristretta, preoccupa.

Non bastano gli editoriali, gli sproloqui televisivi per convincere migliaia di persone che usano altre fonti. Un popolo degli abissi che ha un suo linguaggio, suoi “valori”, che semplicemente non vediamo. Non sono una piccola minoranza, ma un pezzo del Paese che è fuori dai circuiti democratici, dalla rappresentanza, dalla dialettica tra punti di vista diversi. Li incontriamo in famiglia, al bar, sul posto di lavoro.

La verità è che avremmo dovuto dare un premio al M5S per aver contenuto e riorganizzato questa domanda ruvida di cittadinanza, almeno fino a un certo punto. Invece abbiamo deriso i pentastellati e li abbiamo bombardati fino a fiaccarne la credibilità di cui godevano nel mondo di sotto. Pagano e paghiamo tutti la loro ascesa al governo, fatto importante, che però ha sguarnito questo fronte.

E ora questo grumo emotivo è di nuovo senza interlocutori. Non proprio il massimo per una democrazia che deve includere per non essere corrosa dalle fondamenta. Un lavorio invisibile che ne mina consistenza e credibilità. Serve fermezza, serve dare battaglia, difendere con le nostre mani presidi democratici e sindacali, ma serve anche il coraggio di nominare il problema. Una democrazia che si fa bastare la base elettorale dei consapevoli, che non si muove sull’asse dell’alternativa di governo, che pratica l’autonomia e l’autosufficienza del Palazzo, è una democrazia debole esposta agli eventi dunque a rischio. Questo il tema che dovremmo affrontare nei prossimi mesi.

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