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Trump gioca a fare la guerra, ma a rimetterci la vita sono 176 innocenti su un aereo

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Ora che le responsabilità riguardanti l’abbattimento dell’aereo civile in Iran sono state ampiamente accertate, restano alcune considerazioni da fare, notevolmente trascurate dai media nazionali e internazionali.

Innanzitutto l’effetto provocato dalle decisioni di chi in società verrebbe definito “un emerito incapace”. In questo caso il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.

Con una sola decisione quest’uomo è riuscito non solo a portare all’eliminazione di un generale con il facile ausilio di un drone, ma anche alla distruzione totale di un volo con 176 passeggeri. 176 vite sono state distrutte così. In un attimo. Polverizzate.

Con i necessari distinguo dati dai limiti spazio-temporali, su quell’aereo avremmo potuto esserci noi. Basta solo immaginarlo. Immaginare che quella mattina avremmo potuto svegliarci all’alba per lasciare un luogo e raggiungerne un altro.

Per tornare al lavoro, per riabbracciare un affetto lontano, per rivedere il posto dei propri sogni. In questo caso, il Canada. 176 vite sono state eliminate in un attimo, come per un battito di ciglia. E a nessuna di loro è stato concesso il tempo per accorgersene.

Donald Trump rappresenta il nulla salito al potere. Una condizione in grado di consegnare all’insussistenza coloro sui quali si abbatte. Attraverso una concatenazione di eventi. Come generalmente avviene nel caso di queste decisioni, ad andarci di mezzo è sempre la società civile. Con il suo carico di progetti, idee e pensieri a cui non viene dato seguito. Per puro arbitrio.

Donald Trump, come altri politici sparsi nel mondo, è in grado di scatenare un conflitto, anche di breve durata, per capriccio. Per un intrattenimento da rimandare poi su Twitter, alla vista del pubblico.

È a questa pochezza che ci stiamo abituando? Nonostante l’esempio negativo di altri eventi storici, 176 esistenze oggi possono sparire nel nulla. Si tratta di una dissoluzione di vite che passa per via politica.

E se questo accade vuol dire che già di per sé l’idea di quelle esistenze è insussistente, inconsistente nella mente di chi non solo aziona i missili ma scatena conflitti sull’onda dei propri impulsi. Generalmente, tutti uomini.

Questo genere di arbitrato del male, compiuto per volontà, sconsideratezza e di cui magari ci si pente, rappresenta oggi una delle forme più deteriori dell’esercizio dell’aggressività sulla terra. Perché dà libero sfogo alla violenza, incenerendo senza offrire al pensiero la possibilità di interporsi.

Questo male viene compiuto sotto gli occhi di tutti, a fasi alterne, come se per questa condizione dovesse apparire più accettabile. A deliberare su esistenze che possono essere frantumate sono quindi nel presente politici imprudenti e aggressivi, mentre dall’altra parte troviamo cittadinanze distratte, assuefatte, abituate presto o tardi a mettersi l’anima in pace. Ovvero a rassegnarsi.

In tal senso non vi è una chiara presa di posizione rispetto al futuro. Si tira piuttosto a campare, che è esattamente il modo per spargere intorno molto più malessere. Livore. Questa condizione, quella di vivere senza rendersi bene conto di quanto accade costituisce la malattia principale dei nostri tempi.

Al punto tale che si potrebbe sparire senza accorgersene. Per questo ci vorrebbe una maggiore radicalità di pensiero e di attenzione rispetto a sé stessi, che non significa attardarsi con i selfie, alla ricerca di improbabili e mai definitive conferme, ma coltivare il proprio campo, sottrarlo all’arbitrio altrui, vedersi, immaginarsi in un mondo, in una dimensione più sfolgorante e migliore di questa.

Le possibilità sono infinite, purché ci si sottragga alle grinfie di un potere che non sapendosi occupare della vita, infierisce e si accanisce su di essa. Persino in democrazia.

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