Per il nostro Paese, il riferimento è la Legge 185 del 1990, che vieta l’export di materiali di armamento verso Paesi “in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”.
Una definizione che rischia di essere oggi piuttosto datata, vista la notevole diffusione di conflitti ibridi, in cui non sono sempre chiare le parti in gioco. Risulta ambiguo sostenere che l’Arabia Saudita andrebbe considerata come coinvolta in un conflitto armato perché interviene insieme ad altri Paesi a sostegno del governo dello Yemen, mentre non dovevano esserlo considerati Francia e Regno Unito che bombardarono unilateralmente la Libia e tutti quelli che lo fanno adesso, così come quelli che lo hanno fatto in Siria.
A inizio settembre era stato comunque il ministro Elisabetta Trenta a chiedere alla Farnesina di valutare il rispetto della norma circa le forniture dirette all’Arabia Saudita. Aveva prontamente risposto il sottosegretario agli Esteri in quota Lega Guglielmo Picchi, dichiarando la legittimità delle vendite in questione, invitando tra l’altro ad essere “consapevoli di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale” nel caso di una “diverso indirizzo politico”.
L’affermazione di Conte di fine anno nell’impegnarsi a cessare la vendita di armi non è in fondo così chiara, soprattutto non è stata contestualizzata: il riferimento è alla guerra in Yemen o all’export militare verso l’Arabia Saudita nel suo complesso?
In quest’ultimo caso, un’eventuale interruzione dei rapporti sarebbe in netta controtendenza rispetto alle scelte degli altri grandi paesi, ed escluderebbe un importante comparto industriale da un mercato in costante ascesa. Sarebbe una scelta politica forte.
I numeri infatti ricordano quanto questo business conti nel mondo. Nel 2017, secondo i dati dell’autorevole istituto di Stoccolma Sipri, l’Arabia Saudita è stato il terzo Paese al mondo per spesa militare dopo Stati Uniti e Cina, con quasi 70 miliardi di dollari spesi nel settore, il 9,2 per cento in più rispetto all’anno prima.
Riad occupa però il secondo gradino del podio per quanto riguarda l’import nel periodo 2013-2017, seconda solo all’India. Principali partner sono gli Stati Uniti, Regno Unito, e Francia, che coprono rispettivamente il 61 per cento, il 23 per cento e il 3,6 per cento del complessivo import della difesa saudita. Guardando il lato dell’export, l’Arabia è la prima destinazione dei prodotti militari made in Uk (assorbendo il 49 per cento delle esportazioni britanniche nel settore) e made in Usa (con il 18 per cento).
Qui l’inchiesta “Doppia ipocrisia” sulla triangolazione della vendita di armi all’Arabia Saudita in cui è coinvolta l’Italia.