Come rinasce Kobane dopo l’Isis
Il giornalista Agostino Amato è appena rientrato da Kobane dove ha realizzato un fotoreportage sulla ripresa della vita in città
Sabah ha 33 anni ed è nata a Kobane. Qui ci è tornata da sola perché la sua famiglia è ancora rifugiata in Turchia. Casa sua, oggi, è completamente distrutta. Scappando dalle violenze dell’Isis, non è riuscita a salvare niente. Ma come tanti altri, Sabah è ben decisa a ricominciare, anche se si rende conto che non sarà facile e che avrà bisogno di aiuto.
Lo scorso fine gennaio i curdi hanno liberato Kobane dall’assedio dell’Isis. A un mese dalla liberazione, però, la città è ridotta a un cumulo di macerie. La parte che non è stata rasa al suolo non ha né acqua né elettricità. In città non sono presenti associazioni umanitarie o Ong straniere, alle quali peraltro non è permesso superare il confine dalla Turchia.
Si vive tra macerie, bombe inesplose e trappole lasciate dall’Isis. Nelle campagne intorno alla città non è sicuro percorrere strade che non siano già state battute. Eppure, gli abitanti che perlopiù si erano rifugiati in Turchia, stanno iniziando a tornare. L’unico forno della città lavora, instancabile, per garantire gratuitamente pane per tutti.
Il proprietario ha riaperto non appena la guerra è finita: prima per i combattenti, poi per i primi che tornavano. È convinto che in poco più di un mese potrà cominciare a vendere il pane. I primi negozi, quelli che non sono stati rasi al suolo, iniziano a riaprire. Sono riusciti a farsi portare un po’ di prodotti dalla Turchia.
Da poco ha anche aperto una scuola, dove viene insegnata la lingua madre, il kurmanji, il dialetto curdo fino ad ora vietata dal regime siriano. Ci sono circa cento studenti. Gli insegnanti, uomini e donne, spesso molto giovani, prima della guerra facevano altro. I docenti professionisti non sono ancora tornati.
Le lezioni si svolgono in un clima gioioso fra risate e scherzi, ma la struttura che è stata adibita a scuola è crivellata da buchi di proiettili. Alcune pareti sono mezze distrutte. I bambini si divertono passando attraverso i buchi nelle pareti piuttosto che usare le porte. Le lezioni per ora sono solo di curdo, musica e ginnastica.
La speranza per i cittadini è che nel giro di un mese il numero di insegnanti e di studenti sia ben maggiore e si possa ricominciare a insegnare anche le altre materie. La presenza del Ypg e del Ypj è ancora massiccia. Molto spesso si incontrano combattenti in giro per la città, molti dei quali giovani.
Anche la presenza di armi è molto alta, quasi tutti ne possiedono una e il motivo è per tutti lo stesso: poter difendere se stessi e la propria città nell’eventualità di un ritorno dell’Isis. Gli abitanti di Kobane vogliono ricominciare: la guerra è ancora vicina, il fronte instabile e non sarà facile. Ma fanno di tutto per tornare alla vita normale: per costruire una realtà politica e sociale fondata sulla tolleranza, sull’uguaglianza tra uomini e donne, sulla diffusione della cultura.
— Cos’è l’Isis, senza giri di parole
La battaglia per la liberazione di Kobane ha avuto grande eco in tutto il mondo e si sta profilando come simbolo nella formazione del Rojava, la nuova esperienza di autogoverno curdo basata sulla democrazia diretta e l’egualitarismo. È così che recita il preambolo del contratto sociale del Rojava:
“Noi, popoli delle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Jazira e Kobane, una confederazione di Curdi, Arabi, Siriaci, Aramaici, Turkmeni, Armeni, e Ceceni, liberamente e solennemente approviamo ed adottiamo questa Carta. Nel perseguimento della libertà, della giustizia, della dignità e della democrazia ed ispirata dai principi di uguaglianza e sostenibilità ambientale, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, fondato sulla mutua e pacifica coesistenza e sull’intesa tra tutte le componenti della società. La Carta tutela le libertà e i diritti umani fondamentali e ribadisce il diritto dei popoli alla autodeterminazione.”