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    Perché la Scozia non sarà mai la prossima Catalogna

    Nicola Sturgeon, leader del Partito Nazionale Scozzese. Credit: EPA/ROBERT PERRY

    La leader dello SNP scozzese sa che il secondo referendum non si farà. E soprattutto non ha alcuna vera intenzione di lasciare un'unione a 4 Stati come il Regno Unito per una a 27 come l'Ue. Infine, la Scozia non potrebbe nemmeno assumere l'euro: ecco perché non si potrà ripetere un nuovo caso Catalogna

    Di Bepi Pezzulli
    Pubblicato il 17 Dic. 2019 alle 17:20 Aggiornato il 17 Dic. 2019 alle 17:37

    Regno Unito: perché la Scozia non sarà mai la prossima Catalogna

    Nicola Sturgeon non è Braveheart: la leader dello Scottish National Party non ha alcuna vera intenzione di svincolare la Scozia dal Regno Unito delle 4 home countries, per consegnarsi all’Unione europea dei 27 Stati membri.

    La larga e convincente vittoria di Boris Johnson alle elezioni politiche generali, ha dimostrato che l’UK appariva più divisa nella narrazione dei giornali di quanto non sia poi stato alle urne. Analogamente, le presunte frizioni secessioniste in Scozia sono più tattiche che strategiche. Con il one nation conservative government, Londra ha recuperato la stabilità politica e una direzione di marcia chiara.

    La nazione era stata messa sotto stress da un regolamento di conti tutto interno al sistema, che mirava dritto al cuore della struttura di potere britannico. Il sentimento eurofilo non è mai stato troppo sviluppato in UK, ma l’esacerbarsi delle tensioni Brexit poteva essere l’opportunità per sottrarre ai Tory il ruolo di partito dello Stato e delle istituzioni, che i conservatori detengono – pur nell’alternanza di governo democratica – dai tempi di Winston Churchill.

    Sturgeon, come nel mercante di Venezia, vuole la sua libbra di carne. La leader dello SNP chiede il referendum per fare il prezzo, sapendo che il secondo referendum non si farà.

    Il primo ostacolo è di natura legale. Il parlamento devoluto di Holyrood non ha il potere di indire un referendum sull’indipendenza. Tale materia è riservata a Westminster, dove l’ampia maggioranza Tory è inequivocabilmente avversa ad un secondo referendum. Il referendum del 2014 era stato ammesso in quanto evento storico che non avrebbe più avuto luogo nella stessa generazione, e il risultato a favore della permanenza della Scozia nel Regno Unito fu ampio e netto.

    Johnson, dal canto suo, ha spiegato che non si può ripetere il voto fino a che non cambia il risultato. Il primo ministro ha notato che lo SNP, peraltro, è da tempi recenti divenuto eurofilo, ma non detiene la maggioranza nel parlamento locale, dove controlla 62 seggi su 129, e governa in quanto partito di maggioranza relativa.

    Il secondo ostacolo è di natura geopolitica. Dopo lo shock Brexit, Bruxelles non è disposta a sostenere movimenti separatisti. La Spagna e la Francia non offriranno sponde alla Scozia nella sua ricerca di adesione all’UE, per non rafforzare i separatisti interni Baschi, Catalani e Corsi, creando un pericoloso precedente. Non più tardi di agosto, il console spagnolo a Edimburgo Miguel Ángel Vecino Quintana e stato licenziato in tronco per aver asserito in una lettera al The National che “la Spagna non voterà contro l’ingresso della Scozia in UE”.

    Osta poi il diritto internazionale. Nel 2012, l’UE si era già espressa in via generale, affermando che sulla base del diritto comunitario ogni Stato di nuova formazione avrebbe dovuto fare una richiesta di adesione ex novo all’UE. La posizione di Bruxelles non è cambiata. I termini e le condizioni per il rientro della Scozia nell’Unione dovrebbero essere negoziati ab ovo secondo quanto disposto dall’art. 49 del Trattato di Lisbona.

    Ma l’ostacolo più grande è l’economia. I dati macro rendono problematico il cammino della Scozia verso l’adesione all’UE. Il debito pubblico scozzese su base pro forma è l’84 per cento del PIL, e il deficit il 4,4 per cento. Tali livelli sono significativamente più alti dei parametri del 60 per cento e del 3 per cento fissati nei criteri per la convergenza economica stabiliti dal Trattato di Maastricht.

    In caso di indipendenza, la Scozia non può dunque adottare l’euro. Se lo Stato britannico – che continua ad esistere – non accettasse un’unione monetaria, la Scozia dovrebbe battere moneta. In tal caso, Edimburgo potrebbe ancora utilizzare la sterlina britannica attraverso la cosiddetta “sostituzione di valuta”. Questo si verifica quando uno Stato sceglie di utilizzare una valuta estera in parallelo o al posto di una moneta nazionale, come ad esempio l’uso del dollaro da parte di Panama o dell’euro da parte del Montenegro.

    Tuttavia, cosa importante per la Scozia, lo Stato che ha scelto di utilizzare la valuta estera cede il controllo sulla sua politica monetaria e sui tassi d’interesse e non ha più accesso alla banca centrale come prestatore di ultima istanza al suo settore finanziario. Panama non ha alcuna influenza sulla politica economica, fiscale o monetaria degli USA e il Montenegro non ha alcuna influenza sulla politica economica, fiscale o monetaria dell’Eurozona; la sua situazione economica non è presa in considerazione nella definizione della politica monetaria della BCE per l’area dell’euro.

    Perdere la sovranità economica sarebbe uno strambo obiettivo per una campagna politica sovranista. L’obiettivo è aumentare gli investimenti pubblici e conquistare maggiori poteri devoluti. Lo SNP può fare il gioco vincente di chi sta all’opposizione e vive di trasferimenti fiscali. Legere et non intellegere neglegere est.

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