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Referendum sulla Costituzione

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Un voto sulla Costituzione, ma anche sulla legittimazione del governo militare di al-Sisi, deciderà le sorti dell'Egitto

Più di 52 milioni di egiziani sono attesi alle urne il 14 e il 15 gennaio per il referendum sulle modifiche alla Costituzione volute dal presidente ad interim, il generale Abdel Fattah al-Sisi, e dal suo governo. Se approvato, il nuovo testo sostituirà la controversa carta costituzionale approvata poco più di un anno fa, sette mesi prima che il presidente Mohammed Morsi fosse estromesso dai militari.

S&D

Le modifiche sono state redatte da un comitato di 50 membri che comprendeva solo due rappresentanti dei partiti islamici. Nella nuova carta, l’Islam rimane la religione di Stato e i principi della Sharia sono ancora la fonte principale della legislazione. Ma una disposizione della Costituzione 2012, che dava una definizione dettagliata dei princìpi, è stata rimossa. Il nuovo testo esclude che possano essere formati partiti che discriminino sulla base di religione, sesso, razza o geografia, mentre il testo precedente, escludeva solo discriminazioni sulla base della religione. La nuova Costituzione, inoltre, rafforza il potere dei militari. In base al nuovo testo, essi avrebbero infatti il potere di nominare il ministro della Difesa per i prossimi otto anni e il bilancio militare sarebbe escluso dal controllo civile.

Ma il voto rappresenta soprattutto per il generale al-Sisi il primo test elettorale dal colpo di Stato che lo ha portato al potere. La vittoria dei “sì” e un affluenza rispettabile avrebbero l’effetto di conferire legittimità all’attuale governo, indebolendo l’argomento degli islamici, secondo i quali Morsi è il presidente legittimo eletto della nazione.

“Non è solo un referendum sulla Costituzione”, ha detto l’analista ed editorialista Makram Mohammed Ahmed, vicino ai militari, “Riguarda molte cose, tra cui al-Sisi e la lotta contro la violenza da parte di militari”. Per questo, il governo ha iniziato una massiccia campagna per il voto favorevole, mentre secondo quanto denunciato da Human Rights Watch sette attivisti pacifici sono stati arrestati per la loro campagna per il “no”.

Con la posta in gioco così alta, le autorità hanno intrapreso una massiccia operazione di sicurezza volta a proteggere i seggi e gli elettori, che secondo i funzionari militari coinvolgerà 160 mila soldati. Ma il rischio di proteste e scontri rimane molto alto. Venerdì scorso tre persone sono morte negli scontri tra sostenitori e oppositori dell’ex presidente Morsi.

Intanto, secondo quanto riportato dai media egiziani, il generale al-Sisi ha dichiarato la sua disponibilità a candidarsi alla presidenza, qualora il popolo lo richieda e l’esercito sia pronto a sostenerlo. Il generale è stato l’attore principale nel colpo di Stato dello scorso mese di luglio, che ha portato alla deposizione dell’allora presidente Mohammed Morsi.

Morsi sta ora affrontando una serie di accuse penali, insieme a molti altri leader del movimento dei Fratelli Musulmani di cui fa parte. Il processo si sarebbe dovuto aprire questa settimana, ma l’udienza è stata rinviata al primo febbraio a causa del maltempo che avrebbe impedito all’ex presidente di raggiungere Il Cairo.

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