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    Profughi siriani in un limbo: spinti dalla Turchia, respinti dalla Grecia

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 2 Mar. 2020 alle 19:49 Aggiornato il 2 Mar. 2020 alle 19:51

    Profughi siriani in un limbo: spinti dalla Turchia, respinti dalla Grecia

    La nuova ondata migratoria ai confini tra Turchia e Grecia spaventa l’Europa dopo che il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha aperto la strada verso l’Europa ai quasi 4 milioni di rifugiati ospitati da Ankara.

    Alle porte della Grecia ci sono circa 117mila persone ammassate alla frontiera, secondo i numeri forniti da Ankara, pronte a entrare in Europa con la speranza di trovare una nuova vita. A frenare la loro avanzata c’è la polizia greca che con ogni mezzo sta provando a contenere i migranti.

    Su un altro confine, quello tra Siria e Turchia, centinaia di migliaia di persone che sono fuggite dalla guerra, e che vivono in condizioni estreme, affollano i campi profughi. Il rischio di epidemie è altissimo, le organizzazioni umanitarie non riescono più a controllare la situazione.

    Questa tragedia è il risultato della bomba umanitaria esplosa nei giorni scorsi, con la Grecia in fiamme. “Pensavano che stessimo bluffando, ma quando abbiamo aperto le porte sono cominciate ad arrivare le telefonate…”, ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan parlando della sua decisione di lasciar passare i migranti verso l’Ue dopo l’uccisione di 34 suoi soldati in Siria, dove Ankara lamenta un mancato appoggio europeo.

    “Alle 13:50 (le 11:50 in Italia) il numero dei migranti che lasciano il nostro Paese attraverso Edirne (la provincia di frontiera turca con Grecia e Bulgaria, ndr) sono 117.677”. Lo scrive su Twitter il ministro dell’Interno di Ankara, Suleyman Soylu. La cifra è di circa dieci volte superiore a quella riferita dalle autorità di Atene e dalle ong internazionali.

     

    Ma come si è arrivati fino a questo punto?

    Le cose sono cambiate giovedì 27 febbraio, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato di aver aperto i confini del paese ai migranti intenzionati a raggiungere l’Europa. L’annuncio del presidente turco è arrivato poche ore dopo che 36 soldati turchi erano stati uccisi vicino a Idlib, l’unica zona della Siria ancora sotto il controllo dei ribelli, dove la Turchia sta cercando di fermare l’avanzata del regime siriano e del suo principale alleato, la Russia.

    La Turchia vuole impedire che i tre milioni di abitanti di Idlib, fra cui molti ribelli, scappino in Turchia, vuole inoltre mantenere un avamposto in funzione anti curda – ma anche per resistere al consolidamento del regime siriano di Assad. Per questa ragione nei giorni scorsi il governo turco aveva chiesto un sostegno di tipo militare alla NATO, senza successo.

    In passato, la Turchia ha ripetutamente minacciato di “aprire le porte” dell’Europa ai migranti, gli osservatori lo vedono come un modo per esercitare pressioni sui paesi dell’Unione europea ancora traumatizzati dalla crisi migratoria dell’estate 2015. Diverse centinaia di migliaia di persone, in gran parte in fuga da conflitti in Medio Oriente, sono poi arrivate in Europa attraverso la Turchia. Ora Erdogan è passato dalle minacce ai fatti.

    Il ricatto di Ankara sulla pelle dei migranti

    Nel marzo 2016, la Turchia e l’Unione europea (UE) hanno firmato un controverso patto per i migranti che ha ridotto drasticamente il numero degli attraversamenti verso la Grecia. Contestualmente, però, Atene e l’Ue hanno registrato un aumento degli arrivi negli ultimi mesi.

    Allo stesso tempo Ankara ha ripetutamente chiesto ulteriori aiuti europei per far fronte al disastro umanitario a Idlib, dove quasi un milione di persone sono fuggite dai bombardamenti del regime di Damasco e del suo alleato russo, rifugiandosi nel principalmente vicino al confine turco.

    “Stiamo già dando il benvenuto a quasi quattro milioni di rifugiati e non abbiamo i mezzi o le risorse per consentire l’ingresso nel nostro territorio di un milione di persone in più”ha dichiarato venerdì il direttore delle comunicazioni per la presidenza turca, Fahrettin Altun.

    La Turchia ospita 3,7 milioni di rifugiati, non solo siriani ma anche provenienti da altri Paesi come l’Afghanistan; ma in precedenza aveva impedito loro di partire per l’Europa dopo aver sottoscritto un accordo con l’Ue ancora nel marzo 2016 e poi rinnovato.

    Erdogan però ha accusato Bruxelles di aver infranto le promesse fatte nel 2016, quando Ankara aveva accettato di contribuire a “rafforzare” il confine sud-occidentale dell’Unione europea, di fatto trattenendo i migranti in cambio di 3,6 miliardi.

    In sostanza, molti hanno interpretato la decisione di Erdoğan di aprire i propri confini come un modo per portare avanti i propri interessi: per ottenere un aiuto in Siria, per chiedere ancora più soldi all’Unione Europea – Erdoğan si lamenta da tempo che i 6 miliardi stiano arrivando troppo lentamente – o ancora per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica turca dalla difficile situazione a Idlib, facendo leva su un sentimento anti rifugiati sempre più diffuso fra la popolazione turca.

    La violenta risposta della Grecia

    La Grecia sta tentando in ogni modo di tamponare questa “emorragia”. Atene ha quindi deciso di rafforzare le pattuglie alle frontiere marittime e terrestri e di sospendere le richieste di asilo per coloro che entreranno illegalmente nel Paese, ha spiegato il portavoce del governo Stelios Petsas. A sostenere la Grecia nel contenimento dei flussi arriva anche Frontex, l’agenzia europea per il controllo dei confini, che ha avviato un intervento rapido alle frontiere marittime nell’Egeo.

    La polizia greca sta utilizzando gas lacrimogeni per respingere i migranti. I lacrimogeni sono stati lanciati contro un gruppo di alcune centinaia di migranti, tra cui donne e minori, che stavano attraversando a piedi il confine di Edirne-Pazarkule, prima di essere respinti da lacrimogeni e cariche della polizia. A riportare la notizia l’inviata sul posto della Cnn turca.

    È tornato a ingrossarsi anche il flusso di migranti verso Lesbo, l’isola greca vicina alle coste turche dove già si trovano decine di migliaia di richiedenti asilo, che periodicamente riescono a raggiungere le sue coste partendo dalla Turchia con piccole imbarcazioni. Sull’isola la situazione era già tesa da settimane: una parte degli abitanti sta protestando per la decisione del governo greco di costruire un nuovo centro per migranti sull’isola oltre a quello stracolmo di Moria. Ieri un gruppo di abitanti ha cercato di impedire lo sbarco di un gommone di migranti, mentre in serata un gruppo di persone ha dato fuoco a una delle strutture locali dell’agenzia ONU per i rifugiati.

    L’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) ha invece condannato le azioni dei soldati greci al confine con la Turchia, sostenendo in una nota che “tutti gli Stati hanno il diritto di controllare le loro frontiere e gestire i movimenti irregolari, ma allo stesso tempo devono astenersi dall’uso eccessivo e sproporzionato della forza”. E critica il governo di Atene anche per la decisione di sospendere la concessione dell’asilo politico: “Né la Convenzione del 1951 sulle status dei rifugiati, né le leggi dell’Ue rappresentano una base legale per sospendere le domande di asilo”.

    L’immobilismo dell’Europa

    “Sostegno per gli sforzi che la Grecia sta mettendo in campo per proteggere i confini europei” è arrivato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha anche annunciato che martedì si recherà in visita al confine tra Grecia e Turchia insieme al primo ministro greco. Tutti e tre i presidenti Ue (Parlamento, Commissione e Consiglio) martedì raggiungeranno la frontiera terrestre tra Grecia e Turchia.

     

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