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    Un bisonte e un paio d’occhiali da sole: così sottovoce Biden torna a fare affari con Putin

    I presidenti di Stati Uniti e Russia, Joe Biden e Vladimir Putin al summit di Villa La Grange, a Geneva, in Svizzera, il 16 June 2021. Credit: EPA/DENIS BALIBOUSE / POOL/ANSA
    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 17 Giu. 2021 alle 11:18 Aggiornato il 17 Giu. 2021 alle 13:12

    Regole: è questa la parola chiave dell’incontro andato in scena ieri a Ginevra tra i presidenti di Stati Uniti d’America e Russia, Joe BidenVladimir Putin, conclusosi in un sostanziale pareggio quasi come in una noiosa partita di fine campionato, capace però di offrire importanti spunti per la stagione calcistica successiva. Ed è così, tra un bisonte di cristallo e un paio di occhiali da sole, che ricomincia il dialogo tra Washington e Mosca.

    È stato proprio l’inquilino della Casa bianca a sottolineare l’importanza di ristabilire una certa prassi per i rapporti futuri. “Ho detto a Putin che ci sono delle regole di base che vanno rispettate”, ha spiegato Joe Biden nella propria conferenza stampa a margine dei colloqui con il presidente russo nella splendida cornice di Villa La Grange. Il summit è servito a far ripartire i contatti tra Washington e Mosca, all’insegna di una politica di piccoli passi apparentemente adottata dalla nuova amministrazione americana.

    Il vertice è stato da un lato una concessione al Cremlino e dall’altro un atto dimostrativo per gli alleati europei. Restando comunque un avversario, Vladimir Putin torna così ad apparire un interlocutore degli Stati Uniti, a tre anni dall’ultimo bilaterale ufficiale con un presidente americano, andato in scena a Helsinki nel luglio del 2018 con Donald Trump e a cui seguì soltanto una breve conversazione privata a margine del G20 di Osaka del giugno del 2019.

    Il primo incontro di Joe Biden da presidente con il capo del Cremlino ha riservato molte meno sorprese rispetto al precedente di tre anni fa, ma per capire quanto accaduto ieri in Svizzera conviene agire per sottrazione partendo proprio da quell’ultimo vertice. In fondo, durante la propria conferenza stampa è stato proprio Vladimir Putin a confrontare il tycoon con l’attuale presidente.

    “Il suo predecessore aveva una visione diversa: questo (presidente degli Stati Uniti – ndr) ha deciso di agire in modo differente e la sua risposta è stata diversa da quella di Trump”, ha rimarcato il capo del Cremlino, definendo l’attuale inquilino della Casa bianca un “politico di grande esperienza”.

    Da Helsinki a Ginevra: cos’è cambiato tra Stati Uniti e Russia da Trump a Biden

    Anche in un vertice internazionale, il linguaggio del corpo offre una serie di indizi per comprendere cosa stia succedendo tra gli interlocutori. Come testimoniano le immagini degli incontri – al di là delle distanze obbligate dai motivi sanitari in tempi di pandemia e dei differenti momenti e scelte fotografiche – l’atteggiamento dei due presidenti americani di fronte a Vladimir Putin, che appare comunque rilassato, sembrano diversi: più coinvolto Donald Trump e più composto e distaccato Joe Biden.

    Una postura confermata anche dalle varie dichiarazioni e da quanto avvenuto nel corso dei due summit, che hanno seguito spartiti diametralmente opposti, a esclusione della durata. Entrambi i vertici infatti non hanno superato le due ore e mezza di colloqui diretti, ma con una differenza sostanziale.

    L’incontro di Helsinki del 2018 tra Donald Trump e Vladimir Putin doveva durare non più di 90 minuti, mentre i colloqui tra i due leader andarono avanti per oltre un paio d’ore. Il summit Usa-Russia di Ginevra, inizialmente suddiviso in tre differenti sessioni, aveva invece una durata prevista tra le quattro e le cinque ore, scesa poi a poco meno di 160 minuti a seguito della cancellazione di una tornata di dialogo.

    Al di là della supposta simpatia reciproca tra l’ex presidente americano e il capo di Stato russo, il segnale arrivato in Svizzera non sembra incoraggiante per il futuro dei rapporti tra Washington e Mosca. Ridurre i colloqui da tre a due sessioni potrebbe infatti nascondere la volontà dell’amministrazione statunitense di dare un basso profilo al summit. Secondo l’ex ambasciatore americano in Russia, Alexander “Sandy” Vershbow, “mantenere breve l’incontro potrebbe aver avuto lo scopo di dimostrare che gli Stati Uniti non sono pronti a normalizzare le relazioni (con la Russia – ndr) o di creare l’apparenza di un ‘business as usual‘ in questo primo vertice”.

    Se i colloqui di Helsinki e Ginevra hanno avuto tutto sommato una durata simile, il contesto attraverso cui si è giunti ai due incontri non poteva essere più diverso. Il vertice in Finlandia seguì infatti un mese di eclatanti gesti e dichiarazioni di Trump contro gli stessi alleati degli Stati Uniti.

    In occasione del G7 organizzato in Quebec nel giugno del 2018, stando a fonti diplomatiche citate dai media statunitensi, l’ex presidente americano sarebbe giunto persino a riconoscere che “la Crimea è russa perché lì parlano russo”. In seguito, Trump attaccò prima l’Unione europea, suggerendo all’allora premier britannica Theresa May di far causa a Bruxelles per lo stallo sui negoziati per la Brexit, e poi gli alleati della Nato, affermando che non pagavano abbastanza per la propria difesa e minacciando ritorsioni.

    Nel corso dell’incontro con Vladimir Putin l’ex inquilino della Casa bianca sembrò quindi accettare in toto la versione del capo del Cremlino sulle presunte interferenze russe nelle elezioni americane, accusando l’FBI e in sostanza le istituzioni americane di aver logorato i rapporti con Mosca. Il tutto durante una conferenza stampa congiunta, che invece l’attuale presidente statunitense ha rifiutato. L’intero scenario risulta infatti praticamente invertito nel 2021.

    Durante il suo primo tour diplomatico in Europa da presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha invece cercato di riunire gli alleati dell’America. Dal G7, alla Nato fino all’Ue, l’attuale inquilino della Casa bianca ha incassato l’appoggio alle proprie proposte sia in termini di piani fiscali, strategici che infrastrutturali, arrivando a incontrare Vladimir Putin dopo averlo dichiarato un “assassino“.

    Il vertice con il presidente russo ha infatti voluto mostrare Joe Biden come il leader dell’Occidente incaricato di confrontarsi con uno dei suoi maggiori avversari. Nel corso dei colloqui poi, invece di accogliere le tesi di Vladimir Putine lungi dallo scusarsi per le proprie dichiarazioni quantomeno irrituali per la diplomazia, il presidente americano ha lanciato una serie di accuse a Mosca in tema di attacchi informatici sulla base di quanto affermato dall’intelligence e dalle istituzioni americane.

    Per dirla con l’ex ambasciatore americano Vershbow, Joe Biden “ha di fatto sfidato Vladimir Putin“. E non è una novità, almeno per la politica degli Stati Uniti nel continente europeo.

    Il nemico preferito: la Russia

    Proprio al vertice di Helsinki, Putin dichiarò che “la Guerra Fredda” era “ormai una cosa del passato”, mentre oggi sembra affacciarsene un’altra all’orizzonte, almeno nel Pacifico. Checché se ne dica però l’Europa continua sempre a mantenere il proprio attento sguardo rivolto verso la Russia, un atteggiamento prevalente persino tra i più fidati alleati militari di Washington come il Regno Unito.

    Il focus della Nato non si è affatto spostato su Pechino, ma resta saldamente concentrato su Mosca. A dimostrarlo è il documento finale del vertice di Bruxelles, che in 79 punti cita la Cina 10 volte dedicandole interamente soltanto due passaggi (i punti 55 e 56), di cui l’ultimo riservato al dialogo. Di contro, la Russia è citata 62 volte all’interno di ben 19 punti del documento, di cui 12 interamente dedicati al contrasto alla postura internazionale e all’assertività del Cremlino in Europa.

    Dall’Artico all’Ucraina, dagli attacchi informatici ai diritti umani: non a caso l’incontro tra i presidenti di Stati Uniti e Russia ha toccato i principali temi al centro dell’elaborato comunicato uscito dal vertice Nato. Eppure, nonostante le tante rimostranze di Biden – dai cyber-attacchi al caso Navalny – l’inquilino della Casa bianca sembra aver imparato dagli errori dei propri predecessori, limitando le proteste a pochi temi, rinunciando ad accelerare l’ingresso di Kiev nell’alleanza atlantica e optando per un negoziato basato sulla politica dei piccoli passi.

    Partire da una lunga lista di reclami, come avvenne nel 2009 nel primo vertice tra Putin e Obama, si è vieppiù rivelato una perdita di tempo per entrambe le parti. Come sottolineato in un recente editoriale del Washington Post, “le amministrazioni americane precedenti avevano una lunga lista di obiettivi e si incontravano ripetutamente con i funzionari russi, sperando – spesso invano – di trovare eventuali settori di cooperazione”.

    Sin dai tempi della campagna elettorale invece, la squadra di Biden ha sottolineato la volontà della nuova Casa bianca di instaurare una relazione tra Stati Uniti e Russia diversa non solo dai tempi di Trump ma anche da quelli di Obama. Il tentativo dell’ex presidente democratico di ripristinare i rapporti con Mosca sulla base degli interessi reciproci è generalmente considerato poco più di una pia illusione negli ambienti diplomatici statunitensi.

    Al contrario, l’amministrazione Biden sembra voler negoziare con il Cremlino soltanto su una serie di obiettivi raggiungibili, senza porsi irrealistici traguardi.

    Cosa è emerso di concreto al summit tra Usa e Russia: una serie di piccoli passi

    Pur chiudendosi senza fuochi d’artificio, questo primo interlocutorio vertice tra gli attuali presidenti di Stati Uniti d’America e Russia non è stato inconcludente. L’incontro tra Joe Biden e Vladimir Putin si è risolto infatti con una serie di piccoli accordi preliminari sui temi della cyber-security e del controllo degli armamenti, in attesa di un possibile “scambio di prigionieri”, come ai tempi della Guerra fredda.

    Al di là delle regole stabilite per le future relazioni, Biden ha presentato a Putin un elenco di sedici entità definite “infrastrutture critiche” dichiarandole “off-limits” agli attacchi informatici e minacciando ritorsioni in caso di aggressioni. Da parte sua, il presidente russo ha accettato la costituzione di un summit di dialogo tra i rispettivi esperti di sicurezza informatica, negando però ogni responsabilità per i recenti cyber-attacchi negli Stati Uniti.

    Putin ha poi annunciato l’avvio di una serie di consultazioni con Washington sul futuro del trattato New START per la riduzione delle armi atomiche, dopo che i due presidenti hanno adottato una dichiarazione congiunta sulla stabilità nucleare volta a scongiurare una guerra atomica, mantenendo però la propria posizione sul caso Navalny, senza così offrire concessioni agli americani su un tema molto caro alla Casa bianca.

    Inoltre, in occasione del summit, il servizio penitenziario russo ha consegnato al ministero degli Esteri di Mosca una lista di 17 cittadini statunitensi attualmente detenuti nel Paese: un gesto interpretato come distensivo negli ambienti diplomatici americani. Le autorità russe interessate non hanno infatti escluso che la consegna di questo documento sia collegato a un possibile “scambio di prigionieri” tra Stati Uniti e Russia, frutto dei colloqui a Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin.

    Ad ogni modo, i traguardi raggiunti nel corso del vertice in Svizzera hanno tutti carattere transitorio nel quadro di uno scenario in continua evoluzione e tutt’altro che disteso. “Ho detto a Putin che la mia agenda non è contro la Russia, è per gli americani”, ha ribadito Joe Biden nel corso della propria conferenza stampa, auspicando un futuro di “stabili e prevedibili” rapporti con il Cremlino, ma solo a determinate condizioni. “Se Mosca minerà gli interessi statunitensi, risponderemo”.

    Ed è forse questa minaccia (o promessa, a seconda dei punti di vista) il punto critico massimo raggiunto da un vertice tutto sommato ordinario, definito “positivo” dal presidente americano e animato da uno “spirito costruttivo” dal capo del Cremlino.

    Chi vince e chi perde nell’incontro tra Biden e Putin a Ginevra

    Il match si conclude così di fatto in un pareggio: 1 a 1 e palla al centro. A parte un nuovo paio di occhiali da sole da pilota personalizzati e una scultura in cristallo di un bisonte, regalatigli da Biden, dal summit di ieri Vladimir Putin ha ottenuto un palcoscenico in cui la Russia è tornata all’apparenza ad essere considerata pari agli Stati Uniti, che hanno invitato Mosca a riprendere i colloqui.

    Il Cremlino ha sottolineato in ogni modo il fatto che il vertice sia stato un’idea di Washington e che non è stato chiesto dalla Russia. Inoltre, Mosca incassa la rinuncia della Casa bianca alle sanzioni contro la società responsabile della realizzazione del gasdotto North Stream 2 tra Russia e Germania, anche se a ben guardare la scelta di Washington sembra più una concessione a Berlino.

    Da parte americana invece, secondo l’ex ambasciatore statunitense Vershbow, Joe Biden riporta in patria “una settimana di colloqui di successo” tra G7, Nato e summit Ue-Usa, in cui è riuscito a imporre l’agenda della nuova amministrazione americana all’Europa, potendo dire di aver affrontato a viso aperto il presidente russo.

    Insomma, la partita finisce 1 a 1 senza grandi colpi di scena, ma con una serie di interessanti spunti per il futuro.

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