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Home » Economia

“I ristoranti erano in crisi già da prima del Covid. Ora le oligarchie possono spazzare via tutto”

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Valerio Massimo Visintin, critico gastronomico del Corriere della Sera. Credit: ANSA

Intervista a Valerio Visintin, critico gastronomico del Corriere della Sera

Ristoranti che hanno tirato giù la saracinesca, altri che resistono. Proteste, la paura del futuro, gli affitti che non si abbassano, i debiti che aumentano, i ristori che non sono abbastanza. L’anno di pandemia ha picchiato duro sui ristoratori, su quelli che protestano senza agitare le piazze e su quelli che le piazze le agitano, qualcuno più per un suo tornaconto che perché non tornano i conti.

S&D

Tutto lecito, tutto comprensibile ma, per usare espressioni ormai familiari, la ristorazione aveva già molteplici patologie pregresse. Insomma, una buona parte della ristorazione è morta con il Covid, non strettamente “per”. Ne ho parlato con il critico gastronomico del Corriere della Sera Valerio Visintin.

Cosa ne pensa delle proteste dei ristoratori in piazza?
“Le proteste con toni eccessivi non vanno bene, generano assembramenti, sono a rischio infiltrazioni e non solo da parte della destra estrema ma anche della malavita organizzata. Poi è chiaro che l’esasperazione giustifica molto di quello che abbiamo visto. Capisco, sul piano umano, la partecipazione di molti ristoratori. Detto ciò, hanno molta più visibilità di tante altre categorie ugualmente in crisi”.

Il problema dei ristoratori in crisi è inevitabilmente esploso con la pandemia. La crisi però nel settore è endemica.
“Il punto è che molti ristoratori fallivano già da prima, era un settore fintamente florido. C’era un’espansione nel numero di insegne che non rispettava le regole del mercato, il rapporto domanda/offerta era completamente stravolto”.

Soprattutto in città come Milano.
“A Milano c’erano più posti a sedere nei ristoranti che tutti gli abitanti compresi i turisti. Prima della pandemia dicevo sempre che se fossero andati simultaneamente tutti i milanesi al ristorante compresi i bambini lo stesso giorno, sarebbero rimasti comunque dei ristoranti vuoti”.

Quanti ne chiudevano?
“L’aspettativa media di un ristorante non superava l’anno. Un fenomeno estrogenato. Dopo due settimane dal lockdown, infatti, molti ristoratori erano già con l’acqua alla gola”.
Perché?
“Perché è la prova del nove del fatto che queste aziende contino quasi esclusivamente sulla cassa e finiscano per accumulare debiti con grandissima rapidità, finendo poi per non pagare i fornitori e tutto il resto”.

Quello del ristorante è un modello economico molto complesso?
“Ci sono tantissime spese fisse, l’affitto nelle grosse città è insostenibile. A Bolzano l’affitto di un grande locale in centro è sui 10mila euro al mese, a Milano sui Navigli con 10mila euro ci affitti un buco. Aggiungi che su questo mercato si sono buttate a capofitto persone non preparate, ignorando che sia un lavoro difficilissimo, che non ti puoi inventare al momento. Si tratta di fare conti, scegliere la merce, gestire il personale, saper trattare con i clienti, un impegno enorme”.

C’era una selezione naturale anche prima?
“Sì. E c’è da tenere in considerazione che nel mondo della ristorazione ci sono importanti infiltrazioni della malavita organizzata. Nelle grandi città una ogni 5 nuove aperture aveva più o meno palesi vicinanze con la malavita, che è una spinta propulsiva dietro a tante aperture. Poi c’è anche quella che definisco ‘la malavita disorganizzata’, ovvero grossi imprenditori che dovevano riciclare denaro e si sono lanciati in molte imprese sospette nella ristorazione”.

Poi c’è la parte buona, sana della ristorazione.
“Ovvio che moltissimi ristoratori sono onesti, ma la quota del torbido non è irrilevante. Se a chi ho citato aggiungi quelli che magari finiscono o finiranno nelle maglie della malavita perché in difficoltà economica, soprattutto nei momenti complessi come questo…”.

Cosa pensa che accadrà nel settore?
“Ci sarà l’assalto nei ristoranti nei primi tempi, sicuramente tutta l’estate, perché si ha bisogno di riallacciare l’anello sociale, poi però la gente già provata dalla crisi finirà presto i soldi. Credo che i conti veri li faremo in autunno, quando non ci saranno tavoli all’aperto, quando ci saranno davvero pochi soldi. Ricordiamoci che tra i posti al chiuso il ristorante resta uno dei più pericolosi, non esiste alcun luogo in cui stai seduto una/due ore e anche più, senza la mascherina”.

Il mondo del delivery come si sta comportando?
“Un disastro. Molti si limitano a fare un’estensione della doggy bag, ti mettono il cibo nella vaschetta di alluminio. Quasi nessuno è attento alla questione ecologica, non usano i contenitori compostabili. Oppure capita soprattutto per i ristoranti di una certa levatura che ti mandino una marea di pacchetti e poi devi cucinare tu. L’altro giorno ho ordinato da un noto ristorante milanese in zona Tortona: la pasta la devi cucinare, la pizza te la devi cuocere…allora se devo spignattare vado al supermercato, che mi costa anche meno”.

Nella ristorazione c’è stato qualche segnale positivo perfino in pandemia?
“Molto poco, diciamo che le dark kitchen, le cucine pensate proprio per il delivery, se reggeranno, potrebbero diventare la versione moderna delle vecchie rosticcerie”.

Pariamo di ristoratori. C’è chi in questo periodo ha comunicato bene nel mondo della ristorazione?
“Molti tacciono, i più noti hanno paura di mostrare la loro fragilità e anche dell’eventuale contraccolpo che può arrivare da una frase detta male, perché sono ricchi e privilegiati e come tali vengono spennacchiati ogni volta che piangono. Io apprezzo il silenzio dei vari Cracco, ma anche uno come Oldani, che invece parla e dice cose molto ragionevoli, come anche Bartolini, a parte su una cosa”.
Cioè?
“Ha detto che i ristoranti di alta fascia sono sicuri. Una follia: che fai, apri i ristoranti solo per un ceto sociale?”.

Perché gli stellati sarebbero più sicuri?
“Perché, secondo lui, hanno più spazio e aereazioni migliori. Perché hanno più soldi, insomma. Rischia la lapidazione”.
A parte che non ha mai visto la metratura di certi all you can eat, grandi come Piazza Duomo…
“La verità è che stanno attraversando un’enorme crisi anche loro. I ristoranti d’alta cucina incassano mediamente 2.000 euro al giorno (se calcoliamo i 365 giorni l’anno), per cui è evidente che nessun ristorante d’alta cucina può sopravvivere già in tempi floridi. Gli stellati guadagnano su indotti vari quali sponsorizzazioni, eventi, consulenze, catering… ora che per loro si è chiuso anche quel rubinetto è un disastro”.

Accanto a chi chiude c’è sempre chi pensa di fare un affare rilevando ora un locale… Cosa ti senti di raccomandare a chi si lancia nell’impresa?
“Molto semplicemente di fare bene i conti, perché questo è un lavoro che va millimetrato e scandagliato in ogni sua angolatura”.
Su quale tipo di ristorazione vale la pena di investire?
“Funzionano le pizzerie e locali ibridi, quelli che mixano ristorazione veloce e cocktail, i classici beveroni su cui si guadagna molto. Funzionano le cicchetterie ovvero il modello ‘bicchiere con la tartina’ che riducono i costi e hanno molti clienti in piedi. È penalizzata la ristorazione che potrei definire da ceto medio, tanto più che sui format dei ristoranti c’è una forte incidenza della stampa”.

Cioè?
“Si parla sempre e solo delle novità, fossero anche una scemenza. Tutto quello che non si distingue dalla massa, anche se di qualità, non è notiziabile. Nessuno sulla stampa ne parla, a meno che dietro non ci sia un nome famoso”.

E la cucina etnica?
“Ci sono città in cui praticamente non esiste, lì si potrebbe seminare”.
Dici che aprire un vietnamita a Palermo funzionerebbe?
“Può essere”.

Cosa ti spaventa di questo momento?
“Le piccole oligarchie di imprenditori che potrebbero spazzare via tutto, magari con quelle catene orrende. Che potrebbero rimanere pochi ristoranti a conduzione familiare. Che tanti per aprire dovranno chiedere i soldi a qualcuno, e lo stesso vale per chi dovrà sopravvivere”.
Tutti quei ristoranti con affitti stellari in galleria a Milano sono sopravvissuti?
“E certo. Anche chi aveva minacciato chiusure è rimasto in piedi…”.

Leggi anche: Samba all’italiana: ecco perché inneggiare alle riaperture senza copertura vaccinale è propaganda (di Barbara Di Giacomo)

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