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Home » Economia

Stretta sul reddito di cittadinanza: basterà rifiutare un solo lavoro per perdere il sussidio

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Interruzione del sussidio dopo aver rifiutato una sola offerta di lavoro (ad oggi due è il massimo) e sistema “a scalare” dell’importo, che “non può essere a vita”: prende forma il nuovo reddito di cittadinanza, nelle parole del sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, che ricopriva lo stesso ruolo nel 2019 quando la misura veniva approvata dal governo gialloverde. Contrariamente rispetto a quando affermato dal vicepremier e suo collega di partito Matteo Salvini, che più volte ha fatto capire di voler finanziare la riforma delle pensioni con i soldi risparmiati dal reddito di cittadinanza, Durigon ha replicato: “Ma no, vogliamo solo dare una risposta diversa a chi può lavorare: dignità attraverso il lavoro”. Attraverso quello che lui stesso ha definito “un décalage”.

S&D

Funzionerà in questo modo. Dopo i primi 18 mesi, se il beneficiario non ha trovato un lavoro, viene sospeso dal sussidio e inserito per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro come corsi di formazione mirati. Durante questo periodo, dovrebbe venire retribuito attraverso le risorse del Fondo sociale europeo. Se dopo 6 mesi non è stato ancora trovato un lavoro, dice Durigon, si può fare domanda per ottenere di nuovo il Rdc, “ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi”. Se anche questo periodo dovesse rivelarsi infruttuoso, il beneficiario verrà sospeso per altri sei mesi, passati i quali potrà chiedere per l’ultima volta il sussidio, questa volta “solo per sei mesi e per un importo decurtato di un altro 25%”. Si arriverebbe quindi al dimezzamento della somma prevista in partenza.

Inoltre, al primo rifiuto decadrebbe il diritto al reddito. La proposta della “è più morbida di altre che circolano nella coalizione, ma si muove nello stesso solco”, sostiene il sottosegretario, che precisa come gli interessati dalla “stretta” sarebbero “un percettore su tre”. Sicuramente i 660 mila tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e probabilmente anche i 173mila che già lavorano, ma con retribuzioni così basse da ottenere il sussidio.

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